Where were you when I was burned and broken?
While the days slipped by from my window watching
And where were you when I was hurt and I was helpless?
‘Cause the things you say and the things you do surround me
While you were hanging yourself on someone else’s words
Dying to believe in what you heard
I was staring straight into the shining sun
Coming back to life, Pink Floyd
The division bell album, 1994
La prossimità alla causa e la vicinanza, a nche geografica, alle situazioni che richiedono sostegno, sono tra le principali motivazioni che spingono le persone a donare. Il presentarsi di situazioni di emergenza, tuttavia, tende a cambiare la sensibilità attorno a questi aspetti e a mobilitare in massa donatori di ogni tipo a sostegno di popolazioni o aree geografiche vittime di eventi imprevisti o di eccezionale magnitudine.
Dal 1 al 18 maggio, nelle province di Bologna, Forlì, Cesena e Ravenna, sono piovuti su un’area di 16mila chilometri quadrati la quantità di acqua che di solito cade in sei mesi. L’alluvione ha purtroppo causato diversi morti, oltre 36mila sfollati e si stima che i danni siano di circa EUR 8,8 miliardi. L’evento ha immediatamente attirato i riflettori mediatici e si è attivata una vera e propria gara di beneficienza alla quale hanno contribuito singoli cittadini, enti privati, aziende, onlus, enti statali. È normale che a meno di due mesi di distanza all’evento non sia ancora possibile avere dei riscontri ufficiali su quanto accaduto, ma è probabile che la strutturale difficoltà nell’ottenere chiarezza sui fondi raccolti, quelli stanziati e quali attività sono state completate, sussisterà anche nei prossimi mesi o anni. Nelle situazioni di emergenza, infatti, il caos aumenta, il livello di trasparenza (già poco pronunciato in questo mondo) diminuisce e la tracciabilità degli interventi ne risulta di conseguenza alterata. Situazioni di questo tipo non sono casi isolati, ma affliggono la gestione di ogni aiuto di stampo umanitario in contesti di emergenza.
Nella Side View di questa settimana, approfondiamo quindi gli aspetti che differenziano i progetti focalizzati sullo sviluppo da quelli che si attivano in risposta a situazioni di emergenza, portando alla luce come, in questi ultimi casi, il livello di attenzione e analisi rispetto all’ente da supportare debba essere superiore: il rischio, nella peggiore delle ipotesi, è di arrivare ad essere addirittura dannosi nei confronti di chi, invece, ha bisogno più che mai di supporto.
Cooperazione allo sviluppo ed aiuto umanitario in caso di emergenza: quali sono le differenze?
Nell’ambito della cooperazione, gli aiuti volti a risolvere casi di emergenza e quelli destinati allo sviluppo non sono la stessa cosa: hanno infatti mandati, strumenti e orizzonti temporali diversi.
Il concetto di sviluppo si riferisce a un processo a lungo termine finalizzato a migliorare la qualità della vita dei beneficiari e promuovere il progresso socio-economico di una comunità, di una regione o di un paese. L’obiettivo è quello di creare condizioni sostenibili sia economicamente sia socialmente e, soprattutto durature cosi da consentire alle persone di vivere una vita dignitosa, avere accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’occupazione, all’energia, all’acqua potabile e ad altri servizi essenziali. L’approccio allo sviluppo può includere la promozione della democrazia, dei diritti umani, della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale.
L’aiuto umanitario in caso di emergenza, d’altra parte, si riferisce a situazioni critiche e impreviste che richiedono una risposta rapida per affrontare situazioni di crisi, come conflitti armati, disastri naturali, epidemie o crisi umanitarie. Le emergenze possono provocare gravi danni alle infrastrutture, alla salute, all’economia e al benessere delle persone coinvolte. In tal caso, la risposta alle emergenze umanitarie mira a salvare vite, alleviare sofferenze e fornire assistenza immediata alle persone colpite: accesso a cibo e acqua, cure mediche d’urgenza, rifugi temporanei e protezione.
Tuttavia, va notato che spesso i due approcci non sono nettamente separati e possono sovrapporsi, poiché le emergenze possono influire negativamente sul progresso dello sviluppo di una comunità o di una nazione, oppure perché un’emergenza non viene risolta e si cronicizza, diventando parte del tessuto sociale.
Fondi investiti in contesti di emergenza e fondi investiti sullo sviluppo
Sono diverse le fonti che contribuiscono al finanziamento dello sviluppo, tra cui gli investimenti nazionali, l’assistenza ufficiale allo sviluppo (AOS), gli investimenti privati, le organizzazioni internazionali e le istituzioni finanziarie multilaterali. Investimenti di questa natura possono coprire una vasta gamma di settori, come l’istruzione, la sanità, l’agricoltura, l’energia, l’infrastruttura e altri aspetti che contribuiscono al progresso a lungo termine delle società. Rispetto a questi, gli investimenti nel settore dell’emergenza tendono ad essere significativamente più alti. Ciò è principalmente dovuto al fatto che le crisi umanitarie richiedono risposte immediate e risorse considerevoli per salvare vite, fornire assistenza umanitaria e mitigare gli impatti negativi.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e le sue agenzie, come il Programma alimentare mondiale (WFP), l’Ufficio per la coordinazione degli affari umanitari (OCHA) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), sono attive nel campo dell’assistenza umanitaria e dell’emergenza in tutto il mondo. Queste agenzie svolgono un ruolo cruciale nella mobilitazione dei finanziamenti. Purtroppo, però, se valutiamo quanti fondi vengono investiti e quali sono i risultati raggiunti rischiamo di restare fortemente delusi.
Possiamo prendere OCHA come punto di riferimento principale, l’agenzia che ha focus unico sulle emergenze. Questa finanzia i progetti tramite il Country-Based Pooled Funds (CBPF), un fondo che permette ai donatori di allocare i propri contributi in attività di natura esclusivamente umanitaria. In questo modo, nel momento in cui si scatena un’emergenza o una crisi in atto deteriora maggiormente, OCHA può attingere direttamente al fondo e velocizzare i meccanismi di coordinamento e assistenza. C’è un fondo dedicato ad ogni specifica crisi: Palestina, Sud Sudan, Siria, etc etc. Ogni anno ne viene aperto uno, che viene abbinato ad un piano strategico e a un ciclo di progetto studiato ad hoc che stabilisce le priorità su cui intervenire, che dovrebbero essere prevedibili, poiché sono crisi complesse ovvero causate e aggravate da più fattori.
La metodologia applicata per donare fondi si basa di un meccanismo simile alle gare d’appalto, per cui le organizzazioni locali inviano una proposta di finanziamento al fondo che poi seleziona i progetti in base a quanto sono in linea con obiettivi strategici definiti da OCHA. Già da questo, appare evidente il controsenso: trattare le emergenze come dei fenomeni prevedibili e pianificabili.
Nel report relativo all’utilizzo dei fondi del 2019 vediamo addirittura l’educazione annoverata tra i settori emergenziali. L’educazione ha un ciclo progettuale che dura dai 5 ai 15 anni, come può essere considerata emergenza? Come sarà possibile pianificare un progetto legato all’istruzione attingendo da fondi e piani che durano un anno? Probabilmente si raggiungeranno dei risultati insoddisfacenti, temporanei.
In altri termini, temi legati all’assistenza umanitaria e all’emergenza vengono trattati come se fossero dei problemi legati all’ambito dello sviluppo.
Guardiamo, ad esempio, al caso della Palestina, che è uno scenario geopolitico instabile e caratterizzato da una serie di emergenze complesse che si sono susseguite ed esacerbate per 55 anni, dove quindi c’è costante necessità di assistenza umanitaria. In questo caso il piano di OCHA per il 2023 consiste di 209 progetti con un costo di USD 502 milioni per soddisfare le esigenze di 1,6 milioni di persone, tra cui 1,1 milioni di rifugiati e 500.000 non rifugiati che vivono a Gaza e in Cisgiordania.
Un elemento di criticità è rappresentato dal modo in cui i fondi vengono ripartiti: mediante l’erogazione di contanti ai singoli beneficiari annoverata sotto il nome di “Multi-cluster/Multi-Purpose Cash”, come vediamo nella tabella qui sotto.
In tal caso, il sostegno economico in questa modalità rischia di essere di scarso supporto durante un’emergenza: infatti, in un momento caotico dove è di base difficile tracciare trasferimenti di grandi somme su canali ufficiali, è quasi impossibile monitorare efficacemente l’utilizzo dei contanti dati ai beneficiari perché non vengano spesi in altre attività, addirittura illecite in alcuni contesti (utilizzo di droghe, alcool, estorsione, etc.).
Al momento, OCHA gestisce 18 fondi con ingenti cifre che sono difficili da rendicontare e monitorare e ha collaborato con più di 1.000 organizzazioni non governative e fondazioni dal 2014 ad oggi.
Rischi collegati al donare in emergenza
Le situazioni di emergenza suscitano sempre non solo attenzione immediata e senso di urgenza, ma anche e soprattutto empatia. La comunicazione mediatica, spesso poco delicata, è tuttavia efficace nel suscitare le reazioni emotive del pubblico e dei potenziali donatori.
Proprio per questo è necessario fare attenzione, in quanto vi sono dei rischi ricorrenti che caratterizzano la maggior parte degli interventi in emergenza:
- Mancanza di trasparenza e responsabilità: vi è il rischio che le donazioni non vengano utilizzate in modo efficace o efficiente. Alcune ONG potrebbero non disporre di strutture di governance adeguate, di sorveglianza finanziaria o di processi di rendicontazione trasparenti, il che può sollevare preoccupazioni sulle modalità di allocazione e di utilizzo dei fondi.
- Frodi e truffe: in tempi di emergenza, la buona volontà delle persone può essere sfruttata attraverso la creazione di ONG false o sollecitando donazioni sotto falsi pretesti o piattaforme non controllate. È importante ricercare e verificare la legittimità delle ONG prima di fare donazioni per assicurarsi che siano affidabili e affidabili.
- Disallineamento con le esigenze e il contesto locali: le donazioni che non sono ben coordinate o non si allineano con le reali esigenze sul campo possono essere inefficaci o addirittura dannose.
- Sostenibilità e impatto a lungo termine: le situazioni di emergenza spesso richiedono un soccorso immediato, ma è anche fondamentale considerare gli sforzi di sviluppo e recupero a lungo termine.
- Spese generali e amministrative: le ONG hanno bisogno di risorse per operare efficacemente, e una parte delle donazioni può andare verso i costi amministrativi e le spese generali. Mentre è importante garantire l’efficienza, è anche necessario capire che alcuni costi sono necessari per l’attuazione efficace dei programmi.
Per mitigare questi rischi, è dunque consigliabile effettuare una due diligence prima di donare. Ricercare e scegliere ONG rispettabili con un track record di trasparenza, responsabilità e implementazione efficace del programma. Verificare la legittimità delle organizzazioni, rivedere i loro rendiconti finanziari e considerare la ricerca di raccomandazioni da fonti attendibili o piattaforme online che valutano la credibilità e l’efficacia delle ONG.
Due casi da tenere a mente
Un caso degno di nota, che ha guadagnato notevole attenzione a causa della cattiva gestione dei fondi in un contesto di emergenza, è la risposta al terremoto del 2010 ad Haiti. A seguito della devastante catastrofe, sono stati devoluti da governi, organizzazioni e individui da tutto il mondo, un totale di USD 3.593.395.652 nell’arco del solo 2010. Sono state tuttavia espresse preoccupazioni circa l’efficacia e la responsabilità degli aiuti forniti.
L’ONU ha istituito l’Appello Flash Umanitario di Haiti poco dopo il terremoto, che inizialmente ha richiesto USD 575 milioni per sostenere le necessità umanitarie immediate per un periodo di sei mesi. Questo appello è stato successivamente rivisto e aumentato a USD 1,44 miliardi per affrontare gli sforzi di recupero e ricostruzione a lungo termine ad Haiti. Alla Conferenza su Haiti dei donatori tenutasi a New York, gli Stati Uniti hanno promesso USD 1,15 miliardi negli anni fiscali 2010 e 2011 per la ricostruzione in attesa di finanziamenti supplementari da parte del U.S. Congress. Questo impegno si aggiunge ai quasi USD 1,1 miliardi che gli Stati Uniti hanno già contribuito agli sforzi di soccorso e recupero, che includono USD 623 milioni da USAID e 459 milioni dal Dipartimento della Difesa.
Su iniziativa di Obama, Clinton e George W. Bush è stato istituito il Clinton Bush Haiti Fund e che ha raccolto oltre USD 36 milioni da companies nord-americane e più di 200,000 individui per la ricostruzione – oltre al miliardo di dollari che i cittadini americani avevano già donato da gennaio attraverso le Nazioni Unite. (BOX)
Il caso della risposta al terremoto di Haiti ha evidenziato l’importanza della trasparenza, della responsabilità e di un efficace coordinamento negli sforzi di aiuto di emergenza. Ha sottolineato la necessità di una pianificazione accurata, solidi sistemi di monitoraggio e valutazione, e una stretta collaborazione tra governi, ONG e comunità locali per garantire che i fondi siano gestiti in modo efficiente ed efficace in tempi di crisi. Alcuni dei motivi per cui la risposta è stata ampiamente criticata includono:
- Capacità e sfide infrastrutturali: Haiti, prima del terremoto, stava già affrontando sfide economiche e di sviluppo significative, tra cui infrastrutture deboli, capacità governative limitate e debolezze istituzionali. Questi fattori di fondo hanno aggravato le difficoltà nell’erogazione degli aiuti in modo efficace ed efficiente.
- Coordinamento e leadership: l’assenza di una struttura di leadership centralizzata ed efficace ha reso difficile coordinare e dare priorità agli sforzi di aiuto, con conseguenti inefficienze e duplicazioni. Questo è uno scenario classico che si verifica in condizioni di emergenza.
- Corruzione e cattiva gestione: sono emersi rapporti che evidenziano casi di corruzione, cattiva gestione e mancanza di responsabilità nella gestione dei fondi da parte delle grandi organizzazioni umanitarie. Sono state espresse preoccupazioni circa la distribuzione degli aiuti, la trasparenza delle procedure di appalto e l’utilizzo delle risorse. Tali questioni hanno minato la fiducia del pubblico e ostacolato l’impatto della risposta. L’instabilità che è stata creata 12 anni fa non è stata ancora risanata e ha lasciato Haiti fortemente indebolita e vulnerabile alla prossima emergenza.
- Mancanza di coinvolgimento della comunità: la risposta è stata criticata per non aver sufficientemente coinvolto e responsabilizzato le comunità locali nei processi decisionali e nell’attuazione delle iniziative di aiuto. Ciò ha limitato la sostenibilità sociale degli interventi e la pertinenza degli stessi, influenzando gli sforzi di ripresa a lungo termine.
Le prove di questi problemi possono essere trovate in vari rapporti, valutazioni e indagini condotte da organizzazioni indipendenti, agenzie governative e attori umanitari.
Un caso analogo in Italia, in cui sono emerse preoccupazioni circa la gestione dei fondi e l’efficacia della risposta, è il terremoto che ha colpito le regioni centrali d’Italia nel 2009 e gli eventi successivi. Attorno alle risposte si sono sviluppate una serie di criticità simili a quelle che si sarebbero viste un anno dopo ad Haiti, seppur in scala ridotta, tra cui:
- prevenzione e sensibilizzazione: il terremoto è avvenuto al termine di uno sciame sismico di 6 mesi, durante i quali la Commissione Grandi Rischi, una struttura di collegamento tra la Protezione Civile e la comunità scientifica, e la Protezione Civile assicuravano la comunità locale di escludere l’eventualità di un terremoto;
- risposta ritardata e inadeguata: ci sono state critiche sulla tempestività e l’adeguatezza della risposta iniziale da parte delle autorità nella gestione dell’emergenza;
- controversie sulla ricostruzione e l’edilizia abitativa
- questioni di governance e responsabilità.
I dati ufficiali relativi alle donazioni fanno riferimento a quelle gestite attraverso i canali della protezione civile, non tengono dunque in considerazione le donazioni fatte dai singoli filantropi o da ONLUS.
Fonte: Open Data Ricostruzione, Gran Sasso Institute
È importante notare che, nonostante i problemi di cui sopra, non sono mancati esempi di sforzi positivi compiuti per sostenere le comunità colpite: purtroppo però, a distanza di 13 anni le condizioni della città sono ancora pessime, se messe in relazione ai fondi stanziati.
Sono state stimate ancora 10547 pratiche da presentare, per un totale di importi da richiedere pari a EUR 2 miliardi. Considerando questa stima la percentuale di completamento è pari al 56%.
Fonte: Open Data Ricostruzione, Gran Sasso Institute
In conclusione, non possiamo non ricordare che donazioni ed investimenti in contesti di emergenza sono un carburante fondamentale per alimentare la macchina a sostegno delle popolazioni colpite da una catastrofe naturale o da un evento imprevisto. È importante però che la fase emergenziale sia collegata alla fase di sviluppo: quando si progetta come intervenire in un contesto umanitario si deve tenere a mente che la fase successiva a quella critica sarà una fase di ricostruzione.
La situazione di emergenza che caratterizza il progetto di intervento non deve essere una giustificazione per agire in modo disordinato e disorganizzato: resta fondamentale avere una strategia, un budget flessibile collegato ad un cronogramma, che siano applicati degli strumenti specifici nella pianificazione e che i beneficiari siano coinvolti e abbiano modo di esprimere i propri bisogni.
Nel caso in cui si decida di semplicemente donare a un ente che opera nel settore emergenziale bisogna comunque prestare una grande attenzione, non bisogna cedere all’istinto di voler aiutare chi è in difficoltà senza un ragionamento strutturato: bisogna studiare il progetto con attenzione, capirne i meccanismi, eventualmente essere accompagnati nella donazione da un esperto. Questa attenzione ripaga il donatore ma soprattutto il beneficiario.
Approfondimento a cura di Beatrice Marzi
Lugano, 02/07/2023