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Karma Police

What’s there?

(I may be paranoid, but not an android)

What’s there?

(I may be paranoid, but not an android)

When I am king

You will be first against the wall

With your opinion

Which is of no consequence at all

Karma police

“Ok computer” album

Radiohead, 1997

(foto: The Great Gatsby, film)

“Il governo dei manganelli e dei plotoni di esecuzione, della carestia artificiale, dell’imprigionamento in massa e della deportazione di massa, non solo è inumano (nessuno se ne preoccupa più di tanto ai giorni nostri), ma è palesemente inefficiente, e in un’epoca di tecnologia avanzata l’inefficienza è un peccato mortale. Uno Stato totalitario davvero efficiente sarebbe quello in cui l’onnipotente potere esecutivo dei capi politici e il loro corpo manageriale controllano una popolazione di schiavi che non devono essere costretti ad esserlo con la forza perché amano la loro schiavitù.” (Aldous Huxley, Il mondo nuovo)

“Nulla sarà più come prima”: quante volte l’abbiamo sentito dire in questi tempi di pandemia? Il mondo post-Covid, ha ribadito il circo politico-mediatico, dovrebbe trovare una “nuova normalità”. E questo è davvero ciò che sta accadendo: gli spostamenti, le relazioni interpersonali e gli incontri pubblici sembrano dover lasciare il posto al distanziamento sociale e ad una sorveglianza potenzialmente drastica. In tale contesto, il World Economic Forum (WEF) in collaborazione col Fondo Monetario Internazionale, ha lanciato un’iniziativa chiamata “The Great Reset” con l’obiettivo di ricostruire il sistema economico e sociale globale al fine di renderlo più sostenibile. Questo cambiamento è presentato come necessario a causa del crollo dell’economia mondiale, a sua volta conseguenza del lockdown generale.

Nel suo libro COVID-19: The Great Reset, il fondatore e presidente esecutivo del WEF Klaus Schwab scrive che la crisi da Covid-19 dovrebbe essere considerata come un’opportunità “per fare il tipo di cambiamenti istituzionali e scelte politiche che metteranno le economie sulla strada verso un futuro più giusto e più verde”. Possiamo riassumere l’agenda del Grande Reset in quattro punti principali:

1. Decarbonization. Da qualche anno ormai, non si fa che parlare di climate change. Già prima dello scoppio della pandemia, il Fondo Monetario Internazionale aveva parlato di una “crisi che richiede azioni immediate da parte di tutti i livelli di governo” e la Banca Mondiale aveva stanziato 50 miliardi per promuovere una nuova “finanza climatica” meglio nota come “Green New Deal”. In altri termini, si tratta di una transizione dal neoliberismo sfrenato degli ultimi decenni ad un sistema economico più regolamentato, dove i governi nazionali ma soprattutto le grandi organizzazioni transnazionali come il FMI devolvono i loro finanziamenti in modo selettivo a quelle imprese che rispettano certi parametri ecologici attraverso tecnologie innovative ed una gestione più efficiente

2. Digitalization. L’agenda del Grande Reset promuove il concetto di Quarta Rivoluzione Industriale. Con esso si intende una svolta del sistema industriale verso una completa digitalizzazione sia della catena produttiva sia di quella per la distribuzione di beni e servizi. Per Schwab, la Quarta Rivoluzione Industriale “modificherà l’essenza stessa dell’esperienza umana.” L’idea di fondo è massimizzare l’efficienza produttiva e di consumo. Grazie alla robotica, ai sensori di nuova generazione, all’intelligenza artificiale e all’uso integrato dei big data, ogni aspetto della nostra vita sarà monitorato ed ottimizzato.

3. Transhumanism.  La tecnologia non si limiterebbe a trasformare il mondo intorno a noi e gli oggetti che utilizziamo, ma andrebbe progressivamente a modificare anche il nostro corpo e la nostra mente.

4. Stakeholder Capitalism. Un sistema in cui le società non sono più orientate a perseguire esclusivamente il profitto ma a servire gli interessi di tutti: clienti, fornitori, dipendenti, azionisti e comunità locali lottando contro le disuguaglianze di genere, di razza e di reddito.

L’intenzione di Schwab, con il sostegno della Silicon Valley (Google, Facebook, Amazon e Apple sono partner strategici del WEF), è di favorire il superamento del sistema neoliberista, del cui fallimento la crisi del 2008 è l’esempio più eclatante. Il sistema a guida finanziaria e non più produttiva si è dimostrato irriformabile, ha distrutto l’ordine sociale basato sul reddito da lavoro, ha saccheggiato il capitale aziendale ed umano delle imprese, ha inasprito le diseguaglianze. C’è stato un grande trasferimento di ricchezza dalle classi medie occidentali a quelle asiatiche ed all’interno dei Paesi occidentali dal basso verso l’alto concentrando la ricchezza nelle mani di pochi. Questo e molto altro ancora, ha dato vita alle reazioni politiche e sociali rappresentate dai populismi e dai sovranismi. Il tutto, mentre il mondo cambiava radicalmente i suoi equilibri con l’emergere della Cina come grande potenza economica e tecnologica.

Si tratterebbe quindi di resettare tutto e avviare un nuovo capitalismo inclusivo: le imprese non devono più considerare il profitto come scopo principale della loro attività, ma devono includere anche la “protezione dell’ambiente” e la “dignità e il rispetto del lavoro”. Gli azionisti sono solo uno dei cinque stakeholders delle imprese, assieme ai consumatori, ai lavoratori, ai fornitori e alle comunità locali. Tanto è bastato al Financial Time per parlare di svolta etica del capitalismo.

L’obiettivo strategico è quello di procrastinare l’avvento del multipolarismo, possibilmente senza una nuova guerra mondiale e coinvolgendo la Cina. Schwab e la Silicon Valley ritengono infatti che la Cina di Xi Jinping, che dal 2018 ha inaugurato ufficialmente la Nuova Era del primato mondiale han, sia integrabile in questo progetto di neofeudalesimo digitale. A conferma di ciò, il relatore più noto alla presentazione virtuale del Great Reset nel giugno 2020 è stato Ma Jun, del Comitato Finanziario Verde cinese (sempre Partito Comunista Cinese). Ma Jun è anche consigliere speciale del governatore della Banca popolare cinese e prima del suo intervento alla presentazione del Great Reset, è stato introdotto come membro del Congresso Nazionale del Popolo. Ma Jun ha insistito sul fatto che la ripresa post-covid deve essere “più ecologica di tutte le precedenti riprese”, grazie al finanziamento di progetti green che devono raggiungere una proporzione “più elevata di quanto non sia mai stato nel corso della storia”.

Questo programma, si caratterizza per una sorta di “socialismo aziendale” sul modello dirigista cinese, non solo per l’uso di una retorica derivante dall’ideologia socialista (equità, uguaglianza economica, bene collettivo, destino condiviso, ecc.) ma anche perché la realtà ricercata è di fatto il controllo monopolistico della produzione attraverso l’eliminazione dei produttori non conformi alle metriche sulle performance aziendali (Stakeholder Capitalism Metrics), cioè una tendenza al monopolio sulla produzione.

Guardando oltre la cortina fumogena dei buoni propositi, il progetto si propone di determinare a priori le esigenze ed i desideri dei consumatori limitando la produzione a quei beni e servizi che soddisfano le esigenze del programma. Le normative imposte cancellerebbero letteralmente le piccole e medie imprese e porterebbero verso un sistema statico con una casta di ricchissimi oligarchi aziendali in cima e una maggioranza sottostante finalmente felice grazie ad un reddito di base universale.

Il Grande Reset implementerebbe il sistema politico più o meno come ha fatto la Cina, con la sorveglianza intelligente delle città abilitata dal 5G, l’equivalente di punteggi di credito sociale, passaporti medici e altri mezzi di controllo sociale e politico: una sorta di tech-totalitarismo socialista.

In un post sul sito web del WEF, la parlamentare ed ex ministro dell’ambiente danese Ida Auken dice chiaramente: “Benvenuti nell’anno 2030. Non possiedo nulla e non ho una vera e propria privacy. Non posso andare da nessuna parte se non sono registrata. So che, da qualche parte, tutto ciò che faccio, penso e sogno è registrato”.

Alla fine, dire “socialismo con caratteristiche cinesi” o “capitalismo con caratteristiche cinesi” equivarrebbero alla stessa cosa.

È quindi questo il destino ineluttabile che ci attende? Vi sottoponiamo alcune considerazioni che invitano alla ponderazione.

Per prima cosa, diciamo che la tendenza a uniformarsi sempre più al modello cinese è già in atto guardando ai due principali attori geopolitici mondiali ed è ben spiegata da Alessandro Aresu con l’espressione “capitalismo politico” (cfr. Aresu, A., Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, ed. La Nave di Teseo): in Cina esiste il Partito Comunista, negli Stati Uniti ci sono le agenzie federali e l’apparato militare. Nel primo caso il “titolare” del capitalismo politico è un soggetto di 90 milioni di membri, che influenza in modo decisivo tutta la società. Nel secondo caso, non siamo in un sistema autoritario perché ci sono libertà politiche, ma alcune decisioni cruciali sono comunque prese dall’apparato militare, generando un allargamento del dominio della sicurezza nazionale rispetto al funzionamento dei mercati. Un’altra espressione del capitalismo politico si ha nelle modalità di controllo e nella pervasività di talune aziende digitali nelle nostre vite. Un esempio degli ultimi giorni è dato dalla decisione di oscurare i canali social di Trump e del suo inner circle: in Italia si dibatte del pericolo per la libertà d’espressione nell’incredibile convinzione che queste multinazionali decidano da sé, senza cogliere come semplicemente agiscano su indirizzo delle agenzie con sede a Washington (Deep State). Oggi come ieri, sono le agenzie federali ad assumere tali decisioni, non Mark Zuckerberg né Jack Dorsey.

L’utopia tecnocratica presta inoltre il fianco a facili critiche laddove teorizza come essenziale “un vero e proprio processo di civilizzazione globale”: non vi è nulla che spieghi come le economie e le società debbano essere trasformate ed integrate in una governance mondiale. In altre parole, gli Stati sovrani, neppure contemplati nel Great Reset ma con un ruolo sempre crescente nel mondo post-pandemico che si profila, si inchineranno al nuovo sviluppo teorizzato a Davos?

Inoltre, per una questione di numeri, il pacchetto “speranza” fatto di biotecnologie e trasformazione “ecologica” forzata, non sembra poter giustificare l’entusiasmo per una nuova rivoluzione economica. Nelle nostre società, la stabilità del contratto sociale è finora dipesa dal volume economico complessivo dell’intervento e appare difficile che la contrazione di crescita possa esser compensata da questi nuovi programmi, per quanto l’idea di supportare la domanda con redditi senza lavoro (di base, di cittadinanza, sociali etc.) sembra correre in aiuto, ma i conti potrebbero non tornare.

Aggiungiamo un ulteriore elemento su cui vale la pena soffermarsi: la demografia. I pesi delle potenze del mondo vanno a modificarsi in ragione di questa determinante e ciò che ha segnato la potenza occidentale degli ultimi tre-quattro secoli non è più una differenza.

Se l’Occidente è davvero arrivato al culmine della curva di sviluppo e quindi è per forza di cose inclinato lungo la pendenza discendente della curva, non saranno certo questi piani limitati di innovazione forzata a riequilibrare le cose.

In conclusione, la transizione occidentale ad una nuova fase è complessa ed i suoi esiti non sono per niente scontati. Seguiremo, nei prossimi mesi, questo processo di modificazione dell’immagine dominante del mondo a venire e le sue dialettiche interne. Come sempre ci lasciamo con un libro e, nel rammentare che molte idee ed invenzioni oggi in circolazione sono state anticipate proprio nei romanzi, vi proponiamo un classico distopico, Il mondo nuovo di Aldous Huxley, che nel 1932 anticipa alcuni temi del transumanesimo e ipotizza una società nella quale la fecondazione naturale viene sostituita da quella artificiale. Nel romanzo, gli individui (in embrione) vengono “allevati” in speciali incubatori e mentalmente “condizionati” per molti anni con tecniche neopavloviane e ipnotiche. Gli individui vivono una vita sociale predestinata all’interno di ambienti sociali creati appositamente per la loro casta di appartenenza. Una società senza padri, madri, mariti e mogli né altri vincoli di parentela, basata esclusivamente sul consumo e sulla stabilità. Una società che amalgama tutte le differenze sociali (etniche, culturali, religiose) con lo scopo di realizzare la “felicità universale”.

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