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| | Macro views

Peace on Earth

Heaven on earth

We need it now

I’m sick of all of this

Hanging around

Sick of sorrow

Sick of pain

Sick of hearing again and again

That there’s gonna be

Peace on earth

Peace on heart

“All that you can’t leave behind” album

U2

Nel 2020 sono stati lanciati 118 nuovi ETF ESG di fatto raddoppiando l’offerta presente sul mercato alla fine del 2019; oggi gli investitori hanno accesso ad un’offerta ESG praticamente su ogni asset class: small caps, azioni indonesiane, perfino bond cinesi in renmimbi! Gli investitori hanno risposto a questo genere di proposte con grandissimo entusiasmo:

  • 57bn di inflows nel solo 2020, raddoppiando come si diceva, la dimensione degli investimenti in queste strategie
  • addirittura 6bn di inflows durante l’indiscriminato sell-off di febbraio-marzo 2020

Come se non bastasse gli ETF ESG hanno ottenuto performance migliori dei loro peers tradizionali in tutte le asset class, instaurando un entusiasmante e letterale circolo virtuoso da lasciare senza parole.

Ma è davvero tutto oro ciò che luccica? In una fase dei mercati in cui i criteri ESG influenzano sempre di più le allocazioni di capitale, ogni investitore scrupoloso e mai come in questo caso, coscienzioso ed “eticamente savvy”, dovrebbe dare un’occhiata ancora più da vicino alle società che beneficiano dei suddetti flussi. Lo fa Vincent Deluard in uno studio davvero interessante che arriva ad alcune evidenze controintuitive:

  • NO INTERNATIONAL STANDARD: ogni punteggio ESG è diverso dal momento che ogni “valutatore” dei suddetti parametri usa una metodologia diversa; dato che non ci sono standard internazionali riconosciuti a differenze delle metriche finanziarie tradizionali dove ad esempio Moody’s, S&P e Fitch sono sempre in accordo
  • TASSAZIONE PIU’ FAVOREVOLE: c’è una correlazione inversa praticamente perfetta tra rating ESG e livello di tassazione dei profitti: le società con il rating ESG più basso pagano in media 27% come tax rate, quasi il doppio di quanto non paghino le virtuose società ESG con il massimo rating. Microsoft ad esempio, che è una presenza predominante in tutti i fondi ESG, ha ovviamente ricevuto da Bloomberg il rating AAA, grazie alle internal policy su diritti umani, biodiversità, 91% di membri del CDA indipendenti, 33% di top manager donna (contro il 14% di Amazon) e ad un piano per divenire “carbon negative” nel 2030. Questo ammirevole approccio al business e senso di responsabilità non si estende purtroppo fino ai rapporti con l’amministrazione fiscale dato che il tax rate si ferma al 16%.

E’ chiaro a tutti che i meccanismi di ottimizzazione fiscale sono pratiche assolutamente standard per le corporation di tutto il mondo, specie per i giganti del tech; detto ciò è altrettanto evidente come dei modesti aumenti nella percentuale di profitti dovuti all’erario avrebbero un impatto sociale senza dubbio più rilevante rispetto alle pur rimarcabili iniziative che fanno bella mostra nei report sulla corporate and social responsibility: in concreto, un aumento del 5% del tax rate solamente di Microsft, Apple, Amazon, Google e Facebook, generebbe circa 20bn di gettito addizionale, più dell’intero budget annuale di governi europei come la Bulgaria. Il contributo dei controllori, come sempre non è da meno: solo 5 dei 1945 flitri ESG di Bloomberg sono collegati al tema del regime di tassazione delle società oggetto dell’analisi

Analizzando la composizione dei 15 principali ETF ESG azionari americani, emergono altre interessanti evidenze:

  • WAR AGAINST THE PEOPLE: le 15 società con il massimo overweight nei suddetti ETF impiegano 1.9 milioni di persone mentre le 15 società con il massimo underweight danno da lavorare a 5.1 milioni di esseri umani
  • Board e CEO sono pagati più della media
  • Profittabilità media più alta del 5.3% rispetto all’indice SP500
  • Tangible assets inferiori del 7.8% rispetto alla media dell’indice SP500

Queste differenze sono ancora più accentuate se il confronto viene fatto con l’indice Russell 2000, dunque con il mondo delle società di piccola e media capitalizzazione:

Facendo arrivare sempre maggior denaro a questo genere di società, i fondi ESG stanno dunque “inconsapevolmente” peggiorando la crisi sociale e politica associata all’automazione del lavoro, alla concentrazione monopolistica e a tutto cio’ che ruota attorno al tema della diseguaglianza e dunque della polarizzazione della ricchezza.

Il tema di investimento ESG è partito dal nobile obiettivo di mobilitare i risparmi per riorientare il capitalismo in una direzione più etica; inquinamento, climate change, razzismo, discriminazione sono evidenti minacce alla prosperità della nostra civiltà.

C’è però un’altra crisi che merita altrettanta attenzione che è quella del collasso delle nascite, della disintegrazione della middle class, della crescita esorbitante dei costi educativi e sanitari, della continua concentrazione della ricchezza, della precarietà associata al lavoro sempre più minacciato dalla robotica e dall’intelligenza artificiale, delle bolle finanziarie, del debasement monetario, dell’oppressione del debito che ha raggiunto proporzioni fuori controllo, dell’assuefazione a stimoli monetari e naturalmente della carenza di leadership politica.

È più urgente ridurre le emissioni che generano l’effetto serra oppure cercare di generare delle opportunità economiche sostenibili per le nuove generazioni in molti paesi, come l’Italia, che stanno vivendo una progressiva ed inesauribile deindustrializzazione lasciando milioni di ragazzi sul marciapiede probabilmente per sempre?

Trilioni di risparmi hanno senza dubbio la possibilità di colmare le lacune di leadership politica dirigendo gli sforzi di sviluppo nella giusta direzione, resta il dubbio che ciò si possa avverare se i flussi di denaro direzionati dai principali prodotti di investimento, continueranno ad andare nella stessa direzione.

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