And then one day you find
Pink Floyd – Time
ten years have got behind you.
No one told you when to run,
you missed the starting gun.
Correva l’anno 1978 quando Tomohiro Nishikado, noto creatore di videogiochi giapponese, diede alla luce Space Invaders, uno dei videogiochi più famosi e più rivoluzionari della storia. Il successo in Giappone, così come nel resto del mondo, fu clamoroso e senza precedenti: nel 1981 Space Invaders aveva già generato incassi per oltre 1 BN USD (Fonte: Wikipedia). Anche Alessandro Baricco nel suo famoso libro “The Game” ne sottolinea l’importanza nel processo di evoluzione tecnologica che ci ha portato all’iPhone. Dalle grafiche bidimensionali e monocromatiche e dai personaggi rappresentati da un cumulo di pixel ai capolavori di grafica e animazione che popolano un mercato la cui scelta è pressoché infinita come accade oggi, il progresso è stato davvero considerevole. Tuttavia, la sensazione è che pochi momenti nella ancora giovane storia dei videogiochi abbiano il sapore rivoluzionario come quello che sta prendendo forma nell’ultimo anno e mezzo. Proprio l’universo del gaming, e in particolare il fenomeno del Play To Earn, sono al centro dello scritto di oggi.
Il mercato del gaming
Guadagnare giocando per ore e ore al proprio videogioco preferito è probabilmente il sogno di ogni adolescente. Fino a pochi anni fa questo tipo di privilegio è stato riservato a poche superstar che, trasmettendo in diretta le proprie gesta su piattaforme come Facebook, YouTube e Twitch, hanno attirato a sè community di fan e, come conseguenza, sponsor pronti a sfruttarne la visibilità. Le dinamiche tipiche del settore del gaming sono molto simili a quelle descritte nell’ ultimo scritto sulla Creator Economy: grandi volumi di utenti attirati da un contenuto online chiamano inserzionisti pronti a pagare per essere esposti nei confronti di queste audience.
Aggiungiamo a questa equazione anche il giro di affari legato alle manifestazioni in cui i principali gamer si confrontano e otteniamo un ecosistema in cui pochissime celebrities guadagnano milioni, mentre la long tail dei piccoli gamer non partecipa in alcun modo ai benefici economici derivanti dalla crescita di questo mondo (anzi, questi ultimi sono disposti a pagare per nuove funzionalità o per items in vendita nei marketplace dei videogiochi stessi).
Solo a titolo di esempio, il montepremi dei due più generosi tornei di eSports (grafico sotto, fonte: Statista) mondiali supera, seppur di poco, quello delle appena concluse ATP Finals di Torino (7.2M USD), che ha visto sfidarsi 10 tra i più forti tennisti al mondo.
A livello di dimensione e partecipazione degli utenti, il fenomeno del gaming ha visto una crescita verticale negli ultimi anni. Ad oggi ci sono 3 miliardi di gamers al mondo (oltre un terzo della popolazione mondiale), il 55% circa dei quali di provenienza asiatica, che contribuiscono ad alimentare un mercato in costante crescita negli ultimi anni, fino a superare quota 180 BN USD attesi nel 2021 (dati Newzoo).
Come lecito immaginarsi, le restrizioni agli spostamenti imposte come contromisura all’emergenza COVID durante il 2020 si sono rivelate un catalyst fondamentale per aumentare il tasso di crescita degli utenti coinvolti in questo spazio, ma soprattutto il tempo dedicato a simili attività. Secondo una ricerca Nielsen, infatti, l’82% dei consumatori a livello globale ha giocato o guardato stream di partite durante il COVID, e il tempo trascorso davanti ad uno schermo a giocare è cresciuto in media del 39% su scala mondiale rispetto all’anno precedente (dati Statista).
Ma quali sono le determinanti tecnologiche, economiche e sociali alla base di un successo di queste dimensioni?
Utopia
Buona parte della risposta può essere ricondotta alla transizione da Web 2.0 a Web 3.0, per la quale questo settore ha fatto da apripista e prima della quale guadagnare giocando sarebbe stato a dir poco uno scenario utopistico. La blockchain ha visto nel gaming una delle prime applicazioni concrete, e ha trovato nei punti deboli dei giochi “tradizionali” terreno fertile sul quale svilupparsi. Punti deboli che possono essere riassunti in due concetti centrali:
- Socialmente, il passare ore davanti ad una consolle è sempre stato visto come una perdita di tempo, o nel migliore dei casi un momento improduttivo slegato da ogni tipo di utilità a sfondo economico;
- Ogni forma di capitale (sociale, ma anche finanziario) accumulato all’interno dei singoli giochi ha la caratteristica di essere platform-specific: non è possibile convertire in “potere d’acquisto” nel mondo reale (valute fiat) quanto ottenuto all’interno di un videogame, rendendo quindi molto difficile il passaggio da mondo digitale a fisico.
Non solo: tutti gli asset acquistati all’interno dei videogiochi non sono realmente “posseduti” dagli utenti. Infatti, tutte le società di gaming (specificandolo a caratteri minuscoli nei “Termini e condizioni” del gioco) li concedono in licenza ma potrebbero, potenzialmente, riprenderseli in qualsiasi momento. E se il server centralizzato all’interno del quale questi oggetti vengono custoditi dovesse smettere di funzionare o scomparire, l’oggetto digitale andrebbe perso per sempre.
Questo paradigma è stato completamente ribaltato grazie alle caratteristiche della blockchain, in particolare nelle sue declinazioni di tokens ed NFTs. Infatti, una delle innovazioni principali resa possibile da questa tecnologia è quella di permettere ai suoi utenti di acquisire vera ownership di un pezzo della rete o, in questo caso, dei propri asset, e di poterli utilizzare come meglio credono (non-custodial asset ownership)
Ma quindi, com’è possibile guadagnare ogni giorno giocando, anche senza milioni di fan pronti a guardare i nostri stream e sponsor pronti a supportarci? Principalmente in due maniere:
- Vendendo asset posseduti all’interno del gioco: se è vero che molti videogiochi tradizionali danno la possibilità di acquistare asset, è nella vendita di essi (sottoforma di NFT all’interno di appositi marketplace) e la relativa conversione in valute fiat la vera rivoluzione;
- Accumulando i token guadagnati nei vari videogiochi, (interagendo con questi ultimi o, ad esempio, invitando altri utenti a partecipare) utilizzabili all’interno della piattaforma per acquistare NFT o convertibili in valute fiat;
- Creando contenuti e distribuendoli sui vari social media, ad esempio a scopo educativo o divulgativo delle potenzialità del videogioco. In questo modo, alcuni gamer sono diventati leader di pensiero o veri e propri influencer e hanno contribuito alla crescita del numero di utenti. Infatti, per un gamer, più utenti ci sono in un videogioco e più aumentano le possibilità di giocare, e quindi il divertimento. Ed, ovviamente, l’aumento nel numero di utenti ed il conseguente network effect permettono, a sua volta, al token nativo di apprezzarsi.
Questi punti rappresentano, nello specifico per i videogiochi, il cambio di paradigma che il Web 3.0 promette: tutti gli attori coinvolti partecipano direttamente alla crescita della piattaforma, anche dal punto di vista dei ritorni economici, orientando gli incentivi di tutti verso uno scopo comune. I giocatori non sono più semplici “clienti” del videogioco ma attori con il potere di influenzare, attraverso le proprie azioni e decisioni, le traiettorie evolutive del gioco stesso grazie al possesso dei token.
La nascita di nuove economie
L’esempio più noto nello spazio Play to Earn che ha catalizzato il recente boom di nuovi utenti e che, negli ultimi mesi, ha anche guadagnato l’attenzione dei principali media finanziari internazionali è rappresentato da Axie Infinity, un videogame costruito sulla blockchain Ethereum creato dalla società di gaming vietnamita Sky Mavis.
Nel mondo virtuale di Lunacia gli utenti allevano e fanno combattere creature (Axies o animali virtuali, simili ai Pokémon) per ottenere due tipologie di token: Smooth Love Potion (SLP), guadagnato tramite battaglie con altri giocatori e che può essere convertito in valuta fiat (ad oggi scambia 200M USD di controvalore al giorno) o utilizzato per allevare nuovi Axie, oppure Axie Infinity Shards (AXS), governance token del protocollo, guadagnato durante i tornei o tramite la vendita di Axies. Ciascun Axie è un NFT, prezzato in Ethereum (come da immagine sopra) e può avere delle caratteristiche più o meno rare, che ne determinano il prezzo.
Ad oggi il 50% circa degli utenti di Axie Infinity proviene dai mercati emergenti (Filippine 41%, Venezuela 6%, Thailandia 4%) ed il boom di crescita si è verificato successivamente alla crisi COVID, che ha reso le condizioni di lavoro ancora più difficili per queste popolazioni. Infatti, nelle Filippine, quasi 7.3M di persone hanno perso il lavoro ed il Play To Earn, tramite il suo modello, ha garantito ad alcuni di essi una valida alternativaper sopravvivere.
Qualche dato per fornire un’idea circa le dimensioni del fenomeno (numeri relativi al Q3 2021):
- 1.5M di utenti giornalieri;
- 776M USD di ricavi totali del protocollo (generati prelevando una commissione del 4.25% quando i giocatori acquistano e vendono Axie NFTs), secondo soltanto ad Ethereum;
- 2BN USD di controvalore di volumi NFT scambiati.
Il successo di Axie è anche testimoniato dai numeri “monstre” raggiunti rispetto ad altre metriche: la community presente sul social network Discord ha toccato 800k utenti (top 5 al mondo) e soltanto il 4% di tutti gli Axies è in vendita all’interno del marketplace a testimonianza del fatto che, dietro al fenomeno, c’è una community di utenti che si diverte…”it’s not just about money”.
Inoltre, dopo aver raccolto 7.5M USD di capitale a maggio del 2021 (con principali investitori del calibro di Mark Cuban, noto imprenditore tech, ed il co-fondatore di Reddit Alexis Ohanian), ad inizio ottobre la parent company di Axie Sky Mavis ha annunciato un secondo round di investimento da 152M USD e ad una valutazione di 3BN USD, guidato dal fondo Andreessen Horowitz (a16z), da Samsung e dall’exchange di asset digitali FTX.
Per iniziare a giocare ad Axie, tuttavia, è necessario possedere almeno tre personaggi virtuali: a metà 2020 il costo era relativamente abbordabile (circa 5 USD in totale) ma, con il passare del tempo e l’aumentare in popolarità del protocollo, il “prezzo d’entrata” è notevolmente aumentato fino ad arrivare, ad oggi, a 600 USD in media. E’ qui che entra in gioco Yield Guild Games, altro protocollo Play to Earn organizzato sottoforma di DAO (Decentralized Autonomous Organization) fondato alla fine del 2020 il cui modello di business consiste nell’acquistare NFT assets utilizzabili all’interno di questi videogiochi e “noleggiarli” ai partecipanti tramite veri e propri programmi di “scholarship” e di affiancamento grazie a community managers (creando, di fatto, una curva di rendimento sugli NFTs).
Una parte dei profitti generati viene trattenuta dal protocollo (che ha emesso il suo token nativo YGG a luglio e che oggi segna una capitalizzazione di mercato di circa 600M USD) e la restante percentuale dagli utenti, che possono quindi iniziare a guadagnare scegliendo se convertire la valuta in game in valuta fiat o se “affrancarsi” dalla gilda acquistando gli NFT e proseguendo in maniera autonoma.
Yield Guild, che secondo i dati più recenti annovera 5,000 giocatori, ha raccolto ad agosto 4.6M USD di capitale, supportata dai fondi VC Andreessen Horowitz e Bitkraft Ventures.
A culture-driven market
Il Play to Earn si inserisce perfettamente nell’intersezione tra il mondo degli asset digitali e quello della Creator Economy, due settori la cui curva di adozione sembra essere ancora nelle fasi iniziali. La sensazione è che questi fenomeni non siano transitori ma siano destinati ad accompagnarci per i prossimi anni, soprattutto alla luce delle profonde basi culturali e valoriali sulle quali si fondano. Citando i fondatori di Axie Infinity: “We believe in a future where work and play become one. We believe in empowering our players and giving them economic opportunities. Most of all, we have a dream that battling and collecting cute creatures can change the world. Welcome to our revolution”. Può essere quindi questo movimento uno dei driver per l’adozione di massa delle crypto?
Concludiamo con una riflessione di natura socio-economica associata a questo tipo di fenomeno. Possiamo affermare che il Play To Earn stia impattando positivamente almeno sotto due differenti prospettive. La prima riguarda la “democratizzazione” dei ricavi (che con il modello attuale vengono unicamente trattenuti dalle società di gaming) e la creazione di una middle-class di gamers in grado di costruirsi un reddito che, per i Paesi con le economie meno solide, può arrivare a livelli superiori di quello ottenuto tramite un lavoro “classico”, portando così intere fasce di popolazione fuori dallo stato di povertà. La seconda è una conseguenza della prima, e riguarda l’inclusione finanziaria, tramite il possesso di asset digitali, di chi fino a questo momento ne rimaneva fuori per diverse ragioni (ne abbiamo parlato anche nello scritto Volcano).
Consigliamo infine la visione del breve documentario “Play To Earn”, prodotto in collaborazione con la rivista online CoinDesk e la casa di ricerca Delphi Digital, per un’analisi approfondita di questo tema con focus sulla situazione nelle Filippine.