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Numb

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I’ve become so numb
I can’t feel you there
Become so tired
So much more aware
I’m becoming this
All I want to do
Is be more like me
And be less like you

Linkin Park – Numb
Meteora Album, 2003


Articolo a cura di Marcello Foa

Viviamo in un’epoca paradossale. Siamo immersi nel mondo dell’informazione, 24 ore su 24, attraverso una miriade di mezzi di comunicazione (tv, radio, giornali, siti di informazione, social media) e in particolare tramite l’onnipresente cellulare, che sta cambiando le nostre vite più di quanto abbia fatto la televisione. Eppure chi è più riflessivo e sensibile percepisce una sensazione di crescente disagio: sappiamo tutto eppure abbiamo l’impressione di non sapere nulla. Apprendiamo la notizia in tempo reale ma la gestiamo con la voracità di un bulimico: ne facciamo incetta, una via l’altra, senza che ci dia vero nutrimento.

Quando insegno all’università spesso chiedo agli studenti, ormai nativi digitali, di citarmi le tre notizie che li hanno colpiti maggiormente nelle ultime 24 ore. Notate bene: non le più importanti in assoluto, bensì quelle che secondo le loro abitudini di fruizione, sapendo che molti si informano prevalentemente tramite i social media, erano le più significative per loro. La reazione iniziale è quasi sempre la stessa: il silenzio. Poi qualcuno, prevalentemente maschi, cita un evento sportivo, mentre altri, prevalentemente femmine, evocano qualche episodio glamour. Fine delle trasmissioni, non ricordano altro, sebbene siano ventenni, dunque non degli adolescenti, e studenti universitari, dunque con un livello di istruzione superiore alla media. Il loro comportamento è emblematico. La notizia entra nel nostro cervello ed esce rapidamente, scacciata da quella successiva, in un ciclo dell’informazione, frenetico che non permette una sedimentazione razionale, mentre alimenta i condizionamenti subliminali.

Nell’era dei giornali, un evento importante aveva un ciclo di vita di una settimana, talvolta anche di più. In quella della televisione il ciclo si ridusse a uno-due giorni. Oggi la novità resiste sulla homepage poche ore, alimentata da titoli clickbait e testi sempre più brevi. Tik Tok sta segnando una nuova frontiera: il ciclo di attenzione si riduce ulteriormente, a pochi secondi. Così tutto diventa fugace e non memorizziamo nulla.

Qualcuno potrebbe dire: cosa possiamo farci, è il segno dei tempi e avrebbe, tecnicamente, anche ragione. Però la questione è più sofisticata e, per chi ha a cuore la democrazia, ben più preoccupante, perché il fenomeno di parcellizzazione delle notizie si accompagna ad altre tendenze, che invece sono profonde e telluriche, che riguardano la nostra percezione del mondo e la varietà delle opinioni espresse. Purtroppo stiamo vivendo una delle epoche più difficili dalla fine della Seconda guerra mondiale, che ci ha condotto rapidamente da un momento di estrema libertà all’attuale situazione, caratterizzata da un conformismo soffocante e da crescenti tendenze censorie.

Internet aveva portato davvero una ventata di autentico pluralismo, non solo politico ma anche, e per molti versi soprattutto, intellettuale. Quando giornali, radio e tv avevano il monopolio del sapere, un intellettuale aveva una sola via per emergere, doveva riuscire a collaborare con una testata autorevole e con la massima visibilità possibile; il che conferiva ai direttori un potere considerevole, non sempre esercitato con virtù. Alla lunga tendeva a prevalere l’autoreferenzialità e la chiusura tipica di chi tende a preservare il proprio potere; con una conseguenza importante e negativa: certe idee e certe firme non avevano visibilità, rimanendo confinate ai margini del mondo mediatico.

L’esplosione della Rete ha permesso di moltiplicare le fonti di informazione e di far emergere pensatori che altrimenti sarebbero rimasti nell’ombra. Si sono dischiusi orizzonti, si sono aperte le menti, il cittadino ha iniziato a rendersi conto che la narrazione delle cosiddette testate mainstream su certi argomenti era parziale e talvolta omissiva. L’esplosione di vitalità che ne è conseguita non è stata ovviamente priva di controindicazioni e non tutto quanto usciva da quel mondo era di qualità, ma si sono create importanti correnti d’opinione. Così come la stampa tradizionale a lungo ha sottovalutato, fino a negare, il fermento derivante da internet, anche i partiti tradizionali hanno perso il contatto con una parte importante dell’elettorato, con esiti clamorosi. La Brexit, l’ascesa di Trump alla Casa Bianca, quella degli indignados spagnoli sfociata poi in Partiti di successo come Ciudadanos e Podemos, la vittoria del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord in Italia, di Orban in Ungheria, di Bolsonaro in Brasile. Tra queste quella di Trump era la più dirompente, per la prima volta da John Fitzgerald Kennedy, un vero outsider sedeva alla Casa Bianca e il rischio che l’establishment americano perdesse il controllo del Paese si materializzava, innescando una reazione dirompente.

Cosa c’entra la politica con la stampa e il mondo dell’informazione? C’entra, perché la controreazione ha implicato l’individuazione delle ragioni della perdita di controllo e degli strumenti che hanno permesso l’affermazione di una nuova visione del mondo. E dunque una revisione del ruolo di internet. Quella libertà assoluta andava rivista, controllata, indirizzata; limitandone, dunque, anche le derivazioni politiche. Siamo passati, così, dalla libertà a quella che può essere considerata una restaurazione. Il fenomeno è americano ma, come sempre accade, ha contagiato anche noi europei. Il problema delle fake news esiste ed è serio ma è servito a porre le premesse per una limitazione della libertà di stampa. Google, Facebook, Twitter oggi applicano senza remore una vera e propria attività censoria, che ha portato addirittura all’eliminazione dell’account dello stesso Trump, sebbene avesse milioni di followers e dunque instaurando un nuovo paradigma. Oggi basta un click per estromettere le voci scomode, col pretesto di una violazione degli standard etici del social media. Grandi autori si trovano improvvisamente senza pubblico e devono ricostruirsi un bacino d’utenza su piattaforme marginali; impresa difficile e che richiede molto tempo. Siti anticonformisti spariscono dai motori di ricerca o vengono relegati nelle pagine interne. Testate importanti limitano gli spazi “fuori dal coro” nel timore di essere puniti dall’algoritmo e dunque di veder calare gli introiti pubblicitari.

La crisi del Covid ha accentuato queste tendenze, rimettendo le verità ufficiali al centro della narrazione e generando un clima di paura che conduce alla paralisi delle coscienze. Gli psicologi lo sanno bene: il terrore della morte e la memoria subliminale della peste hanno un potere condizionante enorme, l’emotività prevale sulla razionalità, fino a schiacciarla. È avvolgente e disarmante, annebbia la mente, limita la capacità di giudizio, rende insicuri e diffidenti i cittadini, creando una cappa nella società, che non può che essere accolta con inquietudine.

Proprio in questi frangenti il ruolo della stampa diventa essenziale e la nostra storia ci ricorda quanto sia importante un contrappeso critico, una voce coraggiosa quando tutti hanno la stessa opinione. Purtroppo oggi sono poche e isolate quelle autorevolmente critiche e sottolineo l’aggettivo autorevole: è fondamentale che oggi chi gode di una certa reputazione possa essere ascoltato senza essere confuso con chi si improvvisa opinionista su una chat di Telegram e men che meno con gli inquinatori professionali dei social media.

Devo osservare con dolore che la grande stampa, anziché incoraggiare un vero e qualificato dibattito nel Paese, che comporta anche una riflessione serena e autocritica sul proprio modo di fare informazione, anziché contestualizzare e moderare gli eccessi, anziché dare forza alle voci credibilmente critiche, alimenta il conformismo. Quando quasi tutti i giornali, di destra o di sinistra, sono sulle stesse posizioni, sorge un problema di pluralismo, accentuato dal fatto che gli stessi partiti vivono lo stesso percorso di omologazione. E lo spettro del pensiero unico si palesa; anzi è, ai giorni nostri, tangibile. Un’informazione che gli inglesi definirebbero Numb, intorpidita.

Sia chiaro, non si tratta di cadere nello schematismo Si Vax/No Vax, ma di riequilibrare il dibattito pubblico, ad esempio dando ascolto agli scienziati autorevoli quando esprimono dubbi fondati, esigendo il rispetto sostanziale delle libertà fondamentali dell’individuo, indagando possibili conflitti di interesse delle autorità di controllo, ricordandosi come la Scienza non sia assoluta e divina ma perfettibile e in costante evoluzione, dunque non può essere considerata un Dogma. Insomma bisognerebbe che i giornalisti esercitassero responsabilmente quello che dovrebbe essere il ruolo di una stampa libera, coscienziosa e, non mi stancherò di ripeterlo, intellettualmente onesta.

È urgente che questo accada, altrimenti la conseguenza di questa strana epoca sarà, a lungo andare, un’ulteriore, violenta erosione della credibilità degli stessi media. L’ho già scritto altrove e lo ribadisco qui: i media devono essere il cane da guardia della democrazia, non del potere costituito. Ecco perché mai come ora è importante difendere e incoraggiare il libero pensiero che deve essere alto e credibile nel tentativo, difficilissimo, di farsi ascoltare da un pubblico ampio e di tutelare, all’interno delle organizzazioni, chi rifiuta di farsi omologare, nella convinzione che a far la differenza sono coloro che hanno il coraggio di pensare in modo diverso. E che per questo meritano la vostra fiducia e il vostro sostegno.

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