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Russian Roulette

(foto: “Il Settimo Sigillo, 1957”)

Take a breath, take it deep
Calm yourself, he says to me
If you play, you play for keeps
Take the gun, and count to three
I’m sweating now, I’m moving slow
No time to think, my turn to go

Russian Roulette – Rihanna
Rated R album, 2009

«I don’t know who sold our homeland, but I saw who paid the price»
Mahmoud Darwish

“The Great Decoupling” sembra designare in maniera corretta lo zeitgeist post-populista di cui siamo chiamati ad esser testimoni storici. Inizialmente la globalizzazione, il debito e la crisi demografica hanno emarginato le classi lavoratrici e medie occidentali, la cui risposta non si è fatta attendere, sostanziandosi prima nella Brexit e poi nell’elezione di Donald Trump. L’ordine globale è oggi invece in piena ritirata mentre il mondo si frattura in diverse sfere di influenza e si allontana dai valori liberali che le democrazie occidentali hanno ben rappresentato nel secondo dopo guerra: la transizione verso uno scacchiere internazionale multipolare dovrà necessariamente passare per un ridimensionamento dell’“eccezionalismo americano” storicamente manifesto sia nel dispiego dell’apparato industriale-bellico fin nelle province più lontane dell’impero, sia nell’imperialismo del dollaro che per decadi ha rappresentato un formidabile strumento di elevazione economica e che in queste settimane stiamo scoprendo possa essere anche pericolosa arma finanziaria di distruzione di massa.

L’attuale conflitto ai confini dell’UE mette in risalto nuovamente queste dinamiche strategico-finanziarie, che cercheremo di approfondire in seguito: i grandi investitori macro anglosassoni amano ripetere che “capita la direzione del dollaro, capita la direzione dei mercati”. Ragionare dunque attorno alle sorti del biglietto verde diventa cruciale per costruire l’asset allocation della prossima decade.

Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications (Swift) è nata nel 1977 ed è una cooperativa belga. Ciascuno degli oltre 11.000 istituti finanziari membri dispone di un terminale Swift per comunicare con le altre banche della rete, oltre al proprio codice Swift. Viene utilizzato sia per la liquidazione in valuta estera che per la finanza commerciale. Circa la metà di tutti i pagamenti globali vengono effettuati in dollari rispetto a circa il 90 per cento della finanza commerciale. Quando le istruzioni vengono inviate tramite SWIFT, spesso una banca corrispondente, probabilmente con attività negli Stati Uniti e quindi vigilata, agirà da intermediario.

La grande novità finanziaria e geopolitica degli ultimi dieci giorni è stata l’esclusione di alcune banche russe dal sistema di pagamenti Swift, negando loro la possibilità di scambiare e di approvvigionarsi di dollari; questa misura coercitiva, al cuore del pacchetto di sanzioni approvato dal blocco trans-atlantico, è stata definita dal Financial Times come “l’incarnazione finanziaria di un arsenale bellico”; nasce però un dubbio rispetto al sensazionalismo del FT: l’estromissione totale dallo Swift rappresenterebbe una vera catastrofe per la Russia, oppure potrebbe spianare la strada verso un sistema finanziario multipolare che possa vertere su valute digitali, centralizzate (Central Banks Digital Currencies) o meno, e sistemi di pagamento fiat alternativi ? Siamo davvero tutti convinti che la Russia non lo avesse già messo in conto preventivamente ma che un pensiero così brillante sia venuto solo ai vertici di EU e USA? Partiamo dalle evidenze a nostra disposizione: fino ad oggi ci sono solo tentativi abbozzati di creare delle alternative nello spazio dei pagamenti:  

  • INSTEX, istituito dall’UE per consentire alle imprese europee di commerciare con l’Iran dopo il ripudio del trattato di cooperazione da parte dell’amministrazione Trump, è rimasto inutilizzato per un anno. Solo in seguito allo scoppio della pandemia si è verificata la prima transazione INSTEX, che prevedeva l’esportazione di prodotti medici in Iran nel marzo 2020;
  • CIPS, la cui costituzione è attribuibile al governo cinese, ha goduto di un utilizzo parziale dettato dal fatto che il settlement è possibile solo in Yuan;
  • L’SPFS è invece l’equivalente russo dello Swift, sviluppato nel 2014 dalla Banca Centrale Russa, che oltre alle istituzioni finanziarie domestiche, è stato esteso a oltre 30 entità estere, tra cui banche in Germania e Svizzera.

Ancora una volta, le tesi riguardo il “network effect” e la “legge di Meltcalfe” (si veda la Side View “Your margin is my opportunity”) tornano ad esser una considerazione primaria nella civiltà dell’era esponenziale: “come con una qualsiasi rete (si pensi a Facebook), il valore di Swift dipende dal numero di banche che lo utilizzano. A tal fine, la cooperativa cerca di incoraggiare la più ampia partecipazione possibile mantenendo la neutralità. L’esempio della Russia potrebbe spingere altri, come la Cina, a ricorrere ad alternative, frammentando il sistema dei pagamenti e potenzialmente anche minando il predominio del USD come valuta di riserva globale. Si potrebbe persino immaginare un futuro in cui le nazioni rivali usino armi finanziarie simili contro gli Stati Uniti” (Bloomberg).

Valutare però solo la dimensione finanziaria della questione sembra limitativo in questa fase dove sono anche i valori delle società liberali ad essere fortemente sotto attacco, non solo per mano dei regimi autoritari come in Russia/Ucraina ma anche in una delle culle delle democrazie anglosassoni (Canada). Limitare quindi le alternative nei sistemi dei pagamenti al solo spazio che soggiace al controllo diretto dei governi, di sicuro non basta per lasciare gli individui tranquilli che i sudati risparmi di una vita siano al sicuro. Mentre scriviamo, normali cittadini russi, non oligarchi, sono obbligati a chiudere i propri correnti presso istituti finanziari europei, non sulla base di affiliazioni al partito politico guidato da Putin o perché rivestono posizioni di qualsiasi genere nell’establishment, ma semplicemente perché sono detentori di un passaporto russo. Domani chi ci dice che non possa toccare ai cittadini brasiliani se Bolsonaro dovesse cadere ulteriormente in disgrazia piuttosto che ai cittadini di un paese del Medio Oriente o dell’Asia?

Ma restiamo sui fatti, prima ci chiedevamo: ci avranno pensato solo gli occidentali al Bazooka monetario dello Swift? I dati a disposizione naturalmente raccontano qualcosa di ben diverso, era tutto previsto da un pezzo: gli sforzi per la “de-dollarizzazione” delle riserve monetarie da parte della banca centrale russa, in atto già da anni, sono evidenti dal grafico a sinistra, che mostra la composizione da un punto di vista geografico degli attivi che, a fine gennaio 2022, ammontano a circa 630BN USD e che sono costituiti prevalentemente da attività e depositi denominati nelle principali valute mondiali e da oro. Si noti come il peso delle riserve in USD sia ad oggi marginale rispetto al controvalore totale: secondo le stime di Bloomberg, è crollato dal 40% del totale di soltanto 4 anni prima al 7% circa attuale.

Come mostrato nel grafico sopra, le posizioni in titoli del tesoro americani sono infatti scese dagli oltre 150BN USD nel 2010 agli attuali 3.9BN USD, e rimpiazzati da riserve FX sottoforma di swap (grafico qui sotto).

La prima evidenza sotto mostra invece come, a fronte di una minore esposizione valutaria al USD, quest’ultima sia stata compensata da un aumento sostanziale delle riserve detenute in valuta cinese (Yuan) ed Euro. Allo stesso tempo, le riserve aurifere della banca centrale sono aumentate in maniera importante (grafico a destra), fino ad arrivare ad oggi a circa 2,300 once (o circa 130BN USD), posizionando la banca centrale russa come la quinta entità più grossa al mondo per detenzione di riserve aurifere.

Secondo il Chief Economist della banca tedesca Commerzbank, “le attuali riserve della banca centrale sarebbero sufficienti per pagare tutte le importazioni di un anno intero senza che la Russia debba esportare nulla”. Tuttavia, ad inizio settimana il Dipartimento del Tesoro americano si è mosso per isolare ulteriormente la Russia dall’economia globale, annunciando che bloccherà gli asset della banca centrale russa detenuti negli Stati Uniti. “L’azione senza precedenti che stiamo intraprendendo oggi limiterà in modo significativo la capacità della Russia di finanziare le sue attività e prenderà di mira i fondi da cui dipendono il presidente Putin e la sua cerchia ristretta per consentire l’invasione dell’Ucraina“, ha affermato il segretario al Tesoro Janet Yellen.

Ed il fatto che il Cremlino sia intento a diversificare la maniera di accumulare e scambiare capitali con il mondo esterno, è risultato evidente anche nell’iter legislativo circa l’ecosistema digitale delle criptovalute, come riportato di seguito:

  • Inizialmente la Banca Centrale Russa ha mostrato ostilità nei confronti di iniziative private nell’ambito degli asset digitali, sostenendo che fosse necessario bandirle tout court à la chinoise per questioni di stabilità, in quanto schemi piramidali che minacciano la sovranità monetaria e minacciano le istituzioni finanziarie tradizionali;
  • Tuttavia, il presidente Putin e il ministero delle Finanze hanno mostrato maggior apertura nei confronti del Bitcoin per i vantaggi che poteva presentare nel settore del mining, e soprattutto perché le agenzie governative hanno stimato che i russi detengono circa USD 200BN di criptovalute.

Se gli asset digitali hanno avuto un ruolo importante durante le recenti proteste in Canada, può esser certamente affermato lo stesso per l’attuale conflitto russo-ucraino. Entrambe le parti coinvolte stanno infatti utilizzando Bitcoin, anche se per scopi diversi:

Da un lato, la popolazione russa se ne sta servendo quale “store of value” ed alternativa decentralizzata alla propria moneta fiat, il rublo, che a causa delle tensioni degli ultimi 10 giorni ha perso quasi il 50% del proprio valore contro USD. Infatti, non appena il presidente Putin ha vietato il trasferimento di rubli al di fuori dei confini nazionali e si sono formate lunghe file fuori dai bancomat del paese, non solo il prezzo della valuta digitale ha reagito con un importante rialzo, come mostrato nel grafico sotto a sinistra, ma i volumi di scambio Bitcoin/ RUB sono quasi triplicati rispetto alle settimane precedenti (secondo grafico, dal Financial Times), raggiungendo i 60M USD il 28 febbraio.

Anche in Ucraina (che, secondo il sito Chainanalysis, è il quarto paese al mondo per adozione di Bitcoin), il volume di transazioni nella valuta digitale è aumentato notevolmente come testimoniato dal fatto che, secondo la casa di ricerca Kaiko, alla notizia dell’invasione Bitcoin scambiava ad un premio del +6% contro la valuta locale rispetto al prezzo contro EUR o RUB (grafico qui a sinistra), segno di elevatissima domanda.

Tuttavia, per la popolazione ucraina, Bitcoin sta servendo principalmente come mezzo per raccogliere donazioni: infatti, se da un lato il paese ha appena concluso l’emissione di “war bond”, raccogliendo 270M USD per finanziare le necessità dell’esercito, dall’altro il governo, tramite il proprio account ufficiale Twitter, si è rivolto alla “crypto-community” annunciando di accettare donazioni in Bitcoin, Ethereum e USDT, il principale stablecoin. Le manifestazioni di solidarietà tramite offerte volontarie sono state sorprendenti: più di 50M USD sono stati raccolti nell’ambito delle diverse iniziative, non ultima quella di Gavin Wood, co-fondatore di Polkadot, (undicesima cryptovaluta per capitalizzazione di mercato) che ha promesso di donare 5M USD sottoforma del token nativo della blockchain se il governo avesse aperto un indirizzo wallet compatibile con quest’ultima.

Si segnala poi che mentre Mykhailo Fedorov, vice primo ministro ucraino, ha invitato “tutti i principali exchange di criptovalute a bloccare gli indirizzi degli utenti russi”, affermando che è “fondamentale bloccare non solo gli indirizzi collegati ai politici russi e bielorussi, ma anche sabotare gli utenti ordinari”, la risposta degli exchange non si è fatta attendere: “Decidere unilateralmente di vietare l’accesso per gli utenti alle loro criptovalute andrebbe contro il motivo per cui le criptovalute esistono”, ha affermato Binance, uno dei più grandi exchange al mondo. Anche il rivale OKEx ha affermato di non avere intenzione di bloccare i conti russi. Emblematico il tweet a sinistra sul tema di Jesse Powell, fondatore dell’exchange di asset digitali Kraken e già protagonista donatore e sostenitore durante le recenti proteste in Canada.

Alla luce degli avvenimenti analizzati, si può affermare che non solo gli equilibri geopolitici, ma anche quelli economico finanziari stanno venendo ridisegnati davanti ai nostri occhi: sarà sempre più complicato per gli attuali egemoni controllare ed influenzare in maniera netta il sistema mondiale dei pagamenti e la dimensione multipolare che si sta affermando a livello geopolitico da almeno due decadi, presto inizierà ad avere chiare ramificazioni finanziarie.

La chiusa è riservata ad alcune domande per i portafogli di tutti noi: siamo davvero sicuri di voler escludere la finanza decentralizzata dalle allocazioni di portafoglio? Siamo davvero sicuri che non possa rappresentare, se non una tendenza emergente, almeno un hedge rispetto ad un mondo finanziario che veloce fa pivot da una dimensione unilaterale a quella multipolare? Siamo davvero sicuri che, per dirla secondo le logiche della corrente massimalista e libertaria dei seguaci del Bitcoin, la valuta digitale non sia un hedge contro le dittature, politiche o finanziarie che siano?

Lugano, 06/03/2022

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