(foto: The Midnight Sky, film 2020)
«L’ultimo bagliore del tramonto si spegneva sulle deserte solitudini gelate e, contro l’indistinto colore del cielo, più viva spiccava la massa scura degli abeti che premevano e incalzavano il corso gelato del fiume.» (J. London, Zanna Bianca)
L’invasione russa dell’Ucraina apre a scenari di conflitto sempre più ampi e, talvolta, trattati solo marginalmente dai media, concentrati sulle principali cleavage ovvero linee di frattura che si sono determinate.
In particolare, in questi giorni, un faro è puntato sulla richiesta di adesione alla Nato di Finlandia e Svezia e sulle possibili conseguenze in ordine ad una plausibile escalation tra la Federazione russa e l’Alleanza atlantica, il cui ruolo nel conflitto è sempre meno defilato, evidenziandone la contrarietà di Mosca per gli stessi motivi addotti a giustificazione dell’invasione in corso ovvero l’allargamento della Nato a est.
Come ben sa chi abitualmente ci legge, traiamo spunto dalla narrativa principale dei media per gettare luce su aspetti meno noti ma non per questo meno importanti.
L’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO non solo estenderebbe il confine dell’Alleanza verso est, aumentando le frizioni nel Mar Baltico, ma comporterebbe anche il riallineamento strategico regionale nell’Artico ed è su questo punto che focalizziamo la nostra attenzione.
Negli ultimi anni, il Circolo Polare Artico è diventato un importante simbolo degli impatti devastanti dei cambiamenti climatici, ma il suo ruolo è strategico anche nel confronto geopolitico e merita attenzione. Man mano che le calotte polari continuano a sciogliersi diventa disponibile sempre più nuovo territorio, oggetto di rivendicazioni, per le perforazioni e le rotte commerciali e, di conseguenza, aumentano potenzialmente le risorse da acquisire. Sul bacino artico si affacciano le due masse continentali il cui duello sta plasmando destini della Terra: Eurasia e Nordamerica. Qui, infatti, convergono e si confrontano le proiezioni delle tre grandi potenze: Stati Uniti, Cina e Russia (Cfr. Petroni, F., Centralità e fragilità strategica dell’Artico, in Limes, n. 1, 2019).
Un’indagine geologica degli Stati Uniti stima che la regione abbia 1.699 trilioni di piedi cubi di gas naturale e vari altri combustibili, pari alla totalità delle riserve petrolifere della Russia e tre volte quelle degli Stati Uniti. Secondo l’US Geological Survey soltanto il valore di petrolio e gas (il 40 per cento delle riserve mondiali) si aggirerebbe intorno ai 20 trilioni di dollari, cifra equivalente al Pil annuale degli Stati Uniti, mentre la regione conterrebbe il 30 per cento di tutte le risorse naturali globali. La Groenlandia detiene forse il più grande giacimento di terre rare e uranio al mondo nel sud dell’isola e si trova, quindi, nel vortice di questo Grande Gioco del Ventunesimo secolo (Cfr. Mian, M., Artico. Il Grande Gioco del secolo, in ISPI online).
CONSIGLIO ARTICO
Il Consiglio Artico, formatosi nel 1996 a seguito della Dichiarazione di Ottawa, è la principale organizzazione intergovernativa per promuovere la cooperazione tra gli Stati artici, le comunità indigene e la popolazione dell’Artico sui temi dello sviluppo sostenibile e della tutela ambientale nella regione. Sono Paesi membri: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Federazione Russa, Svezia e Stati Uniti d’America.
L’importanza geopolitica della regione artica è tornata al centro dell’attenzione proprio con l’invasione dell’Ucraina che ha gravemente e forse irrimediabilmente deteriorato le relazioni tra la Federazione Russa e gli Stati alleati della NATO. Nel determinare la loro risposta all’aggressione russa, i Paesi NATO stanno valutando i vari impatti del potenziale uso della forza, bilanciando l’uso delle sanzioni con la dipendenza dell’Europa dalle forniture energetiche russe e affrontando il rafforzamento dei legami della Russia con la Cina.
Nel frattempo, la Russia ha reso l’Artico un punto focale dei suoi sforzi di modernizzazione militare, portando ad un costante accumulo di forze sia russe che NATO in tutta la regione. Tale diffuso potenziamento militare amplifica la possibilità che un conflitto tra la Russia e gli Stati alleati della NATO si riversi nella regione. La guerra russo-ucraina, poi, ha ulteriormente alterato la traiettoria della cooperazione internazionale nell’Artico, tanto che l’attività del Consiglio Artico ha subito un blocco con l’inizio delle operazioni.
Quindi, indipendentemente dal fatto che l’invasione dell’Ucraina alla fine porti a una qualche forma di vittoria per Mosca o venga respinta dalla resistenza ucraina con il sostegno dell’Occidente, certamente ridefinisce la geopolitica artica e il suo risultato plasmerà il suo futuro. In tutto questo, la guerra minaccia di annullare 30 anni di progressi sulla cooperazione pan-artica e sul rafforzamento delle istituzioni che sono stati un risultato centrale dell’ordine internazionale del dopo Guerra Fredda. Dalla fine di quest’ultima, la politica circumpolare è stata guidata dall’idea di una cooperazione pacifica basata su tre direttrici:
- privilegiare il ruolo e gli interessi degli otto Stati artici (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia);
- mantenere il Consiglio Artico come principale forum per la cooperazione regionale;
- limitare il ruolo e le attività della NATO nella regione circumpolare.
Negli ultimi due decenni, c’è stata una crescita significativa dell’interesse per la politica artica da parte degli Stati non artici, tanto che tredici di essi hanno ottenuto lo status di osservatori presso il Consiglio Artico sin dalla sua istituzione nel 1996 e altri sette nel 2013, tra cui Cina, India, Giappone, Corea del Sud e Singapore.
In particolare, gli interessi e le ambizioni della Cina nell’Artico hanno attirato un’attenzione particolare e qualche preoccupazione. Il governo cinese ha soprannominato il coinvolgimento nella regione artica come la Polar Silk Road, un’allusione alle rotte commerciali che sta cercando di perseguire. L’interessamento della Cina nella regione differisce da molte altre nazioni a causa della mancanza di un confine terrestre con l’Artico, il che complica gli sforzi di compagnie come Shenghe Resources, China Nuclear Hua Sheng Mining, China National Petroleum Corp. e China National Offshore Oil Corporation che hanno tentato di espandere i loro progetti minerari, ma hanno trovato barriere burocratiche e l’opposizione politica della Danimarca che controlla la Groenlandia. Inoltre, la Cina è in inferiorità numerica rispetto ai suoi principali concorrenti. Sicché, grazie alla crescente collaborazione con la Russia che supera la tradizionale diffidenza, Pechino può inserirsi nella partita per il controllo strategico di una regione che formalmente ricade sotto la giurisdizione dell’United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), ma sul quale, in pratica, si affaccia una parte importante della costa russa. Ciò conferisce di fatto un vantaggio territoriale che fa della Russia la protagonista più attiva del Grande Risiko del Nord.
Non è certo un caso che proprio sotto la legislazione russa si stia articolando un’altra importante strada di collegamento, la Northern Sea Route (NSR), che corre lungo la costa artica russa da Murmansk sul Mare di Barents, lungo la Siberia, fino allo Stretto di Bering e al Far Est ed è in grado di consolidare il vantaggio strategico di Mosca sull’area, ricevendo enormi benefici di tipo economico e commerciale, riducendo notevolmente i tempi di percorrenza fra l’Europa e Cina nonché i costi di trasporto di circa il 30-40%. Proprio questa caratteristica ha sollevato l’attenzione della Cina che ha evidentemente tutto l’interesse ad usare vie di collegamento più efficienti per incrementare i suoi traffici fra Europa e Usa. La Russia, dal canto suo, ha tutto l’interesse a consolidare i rapporti con i cinesi ed il piano di sviluppo della rotta del Mare del Nord (NSR), secondo quanto dichiarato dal presidente russo Vladimir Putin, dovrebbe essere approvato entro il 2035 (Cfr. Northern Sea Route development plan to be approved, Tass Russian News Agency, 13.04.2022).
La National Petroleum Corporation cinese e il Silk Road Fund di proprietà statale, in collaborazione con la russa Novatek e l’azienda francese Total, avevano sviluppato con successo un progetto di sfruttamento del gas naturale liquefatto sulla penisola di Yamal, dove la produzione è iniziata nel 2017. Un altro progetto a coinvolgimento occidentale è l’Arctic LNG 2 nella penisola di Gydan, nel nord della Siberia. Oltre alla Total, diverse società occidentali, tra cui Siemens e l’italiana Saipem nonché la turca Renaissance Heavy Industries, sono coinvolte nei progetti GNL di Novatek.
Con l’arrivo delle sanzioni contro il settore energetico russo, l’impatto negativo per le società occidentali continua ad aumentare ai limiti della sostenibilità. Nelle scorse settimane, Total ha rivelato di aver subito una svalutazione di 4,1BN USD nel primo trimestre del 2022 in relazione al suo coinvolgimento nei progetti GNL dell’Artico russo ma ha deciso di continuare il suo coinvolgimento.
Il futuro delle ambizioni energetiche della Russia nell’Artico appare sempre più cupo: il ciclo di sanzioni del mese scorso mette in dubbio la capacità della Russia di continuare la costruzione dell’Arctic LNG 2 e potrebbe, a medio termine, influenzare anche gli impianti esistenti, come Yamal LNG (Cfr. Humpert, M., Total Announces $4.1bn write-off placing Future of Russian Arctic LNG Projects in Further Doubt, in Hight North News, 02.05.2022).
La guerra ha decisamente offuscato anche le prospettive delle aspirazioni artiche della Cina, almeno nel breve periodo. Tuttavia, per quanto riguarda il commercio di idrocarburi, potrebbe aggirare le sanzioni finanziarie utilizzando il renminbi cinese.
Inoltre, la biforcazione tra la sanzione energetica statunitense (che vieta completamente l’importazione di petrolio russo, gas naturale liquefatto e carbone) e la sanzione energetica dell’UE (che esenta l’importazione di petrolio russo), nonché quella indiana l’acquisto continuato di idrocarburi russi, potrebbe fornire spazio di manovra a Pechino. Ma è improbabile che il commercio di idrocarburi sino-russi sia del tutto indisturbato. Ci sono già segnalazioni di importazioni cinesi ridotte di carbone russo a causa di problemi di pagamento. Uno scenario più probabile è che la Cina riuscirà a mantenere alcune importazioni di energia ma a un livello inferiore rispetto al recente passato.
Le restrizioni guidate dagli Stati Uniti alle esportazioni di tecnologia potrebbero avere un impatto sostanziale sugli investimenti cinesi in Russia. In base alle restrizioni, le aziende che utilizzano macchinari, software o tecnologia americani per fabbricare i loro prodotti non possono più esportare questi prodotti in Russia.
IL PESO DELLE SANZIONI
Le sanzioni occidentali iniziali, che hanno preso di mira diverse banche russe tra cui VEB.RF, Otkritie e Sberbank, hanno gravemente ridotto la capacità di Novatek di finanziare il suo progetto Arctic LNG 2 in corso. Insieme, le tre banche avrebbero dovuto fornire 4,8BN USD su 10BN USD di finanziamenti per progetti. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, un certo numero di major energetiche occidentali, tra cui Exxon Mobil, BP, Shell ed Equinor, hanno deciso di porre fine al loro coinvolgimento nelle joint venture russe.
Le grandi banche statali cinesi hanno silenziosamente rispettato le sanzioni per evitare di danneggiare i loro affari internazionali, ma il finanziamento delle joint venture energetiche sino-russe passa principalmente attraverso le due banche politiche cinesi, Exim Bank e China Development Bank. Pechino potrebbe creare una piccola banca specificatamente per gestire i flussi di denaro tra Cina e Russia per eludere le sanzioni, come nel caso della Banca di Kunlunche che la Cina ha usato per eludere le sanzioni statunitensi contro l’Iran.
Tuttavia, rimane discutibile fino a che punto la Cina sia disposta a rischiare i suoi legami economici con l’Europa e gli Stati Uniti, soprattutto in un momento in cui la Cina è alle prese con un’economia interna in rallentamento e a livello internazionale si trova ad affrontare un Occidente più unito che ha mostrato la sua determinazione a imporre costi significativi.
È probabile che la Cina stia ancora valutando i possibili scenari legati alla guerra in Ucraina e i suoi interessi artici potrebbero in parte spiegare la sua cautela. L’isolamento della Russia e le dure sanzioni hanno gettato molta incertezza sulla sostenibilità dell’impegno omnidirezionale della Cina nell’Artico. Anche se un Artico diviso diventa una realtà inevitabile nel prossimo futuro, Pechino potrebbe conviverci e sforzarsi di camminare su una linea sottile tra la Russia e gli altri paesi artici. In quest’ottica, il Dragone potrebbe vedere meglio un approccio più cauto nei confronti della sua cooperazione con la Russia e si potrebbe, altresì, ravvisare l’opportunità per l’Occidente di allontanare Russia e Cina, riaffermando al contempo il valore della cooperazione artica e degli investimenti sostenibili. Anche se appare improbabile una rottura completa della partnership sino-russa.
Ciò lascia quindi aperta la questione di come gli stati dell’Artico occidentale, individualmente e collettivamente, risponderanno alla nuova realtà che si va determinando.
Finlandia e Svezia, attualmente Stati artici non NATO, hanno iniziato a riconsiderare la loro posizione sull’Alleanza. Se dovessero aderire alla NATO, lo spostamento dell’equilibrio del Consiglio Artico da cinque membri della NATO a sette invierebbe un segnale forte a Mosca sulla fattibilità della futura cooperazione artica e a Pechino sulla sostenibilità della sua diplomazia omnidirezionale. Potrebbe anche incoraggiare la NATO come nuovo forum per la cooperazione e aumentare l’interesse dei membri della NATO non artici per le questioni inerenti il Grande Nord. A lungo termine, ciò potrebbe portare a una visione più militaristica della cooperazione artica e che fa presagire male per le questioni legate ai cambiamenti climatici. Mentre la polvere è tutt’altro che depositata e molto dipende dai successivi sviluppi in Ucraina, ciò che sembra chiaro è che la cooperazione artica non sarà più la stessa.
NESSUN SUPPORTO DALLA TURCHIA
Nonostante l’ampio consenso nella NATO sul fatto che i due paesi nordici siano desiderati nell’alleanza, la posizione della Turchia è un elemento di incertezza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha detto che non sosterrà le richieste di Svezia e Finlandia, definendo tali Paesi un “porto franco” per le organizzazioni terroristiche, nella fattispecie i curdi.
La scelta sulla lettura a conclusione di questa Side View non è stata facile, molte le suggestioni: dall’approfondire il mito del Nord e degli Iperborei, ai grandi gialli ambientati tra Svezia e Norvegia. Alla fine, i ricordi d’infanzia hanno avuto la meglio con la prima immagine del Nord suggerita dalla letteratura, ovvero quella tratteggiata da Jack London in uno dei suoi romanzi più famosi, Zanna Bianca. London ci racconta di sterminate distese di neve, fiumi gelati, cupe e solitarie foreste attorno agli accampamenti dove solo l’ululare delle bestie selvatiche rompe il silenzio: è il “Wild”, il selvaggio “Wild” della terra del Nord. Qui si muove Zanna Bianca, il cane lupo impegnato in una perenne lotta contro la fame, costretto ad uccidere per non essere ucciso in una battaglia spietata per la vita contro gli animali della sua stessa specie. Un’ottima metafora dell’anarchia dell’ordine internazionale, dove il fattore potenza è l’unico in grado di garantire la sopravvivenza dei suoi protagonisti: gli Stati.
Lugano, 22/05/2022