«Abbiamo veduto il Giappone del dopoguerra rinnegare, per l’ossessione della prosperità economica, i suoi stessi fondamenti, perdere lo spirito nazionale, correre verso il nuovo senza volgersi alla tradizione, piombare in una utilitaristica ipocrisia, sprofondare la sua anima nel vuoto.» (Yukio Mishima, dal proclama letto prima del seppuku e riportato in Lezioni spirituali per giovani samurai)
Nella mitologia giapponese, uno shinigami è una personificazione della morte ed è legata alla credenza popolare per cui dal male nasce sempre e solo male: ad esempio, un fatto di sangue avvenuto in una determinata zona può ripetersi più e più volte, fino a quando un’area non viene purificata ritualmente.
Ci sembra questo un titolo appropriato o almeno evocativo per parlare di quanto avvenuto l’8 luglio nella terra della dea Amaterasu con l’omicidio di Shinzo Abe, il politico che ha dominato per oltre un decennio la scena nipponica, proprio a ridosso delle elezioni per il Parlamento del 10 luglio e che ha visto, com’era prevedibile, l’affermazione del suo Partito Liberal Democratico guidato dall’attuale premier conservatore ed ex “delfino” Fumio Kishida.
Il fatto che un uomo solo, armato, in un Paese con una durissima legislazione in materia di possesso di armi, un cane sciolto a dire dei più autorevoli media, abbia ucciso Shinzo Abe in una manifestazione politica nella città di Nara è un tipo di violenza davvero rara in Giappone, dove l’ultimo delitto del genere risale agli anni ’60. L’omicidio solleva quindi diversi interrogativi sulle piste da seguire e sulle reali motivazioni dell’assassino, soprattutto uno: perché ora?
Dalle prime frammentarie indicazioni fornite dalla stampa, l’attentatore, Tetsuya Yamagami, potrebbe essere un disoccupato con forti motivi di rancore nei confronti di una setta religiosa finanziata da Abe ovvero, in quanto ex militare, un affiliato a qualche gruppo ultranazionalista, espressione di quel Giappone profondo che mal tollera le aperture all’Occidente di cui lo stesso Abe si è reso protagonista (Cfr. Takenaka, K., Park, J., Kelly, T., Unification Church says Abe shooter’s mother is follower, in Japan Today, 12.07.2022). Non è da sottovalutare, infatti, che vi sia un settore della popolazione vieppiù radicalizzato in cui allignano un senso di frustrazione e rancore dovuti all’inglobamento del Giappone nell’orbita occidentale e da cui originerebbe ogni male, dalla secolarizzazione dei costumi e delle tradizioni, al diffondersi di problematiche sociali come la post-sessualità o gli hikikomori, il drammatico fenomeno rappresentato dalla fuga e dall’isolamento dei giovani esclusi dalla società giapponese, sempre più orientata all’autorealizzazione personale sul modello occidentale e sempre più polarizzata in termini di distribuzione della ricchezza (Cfr. Pietrobon, E., Abe vittima del Giappone profondo, in Inside Over, 08.07.2022).
Da questo punto di vista, per quanto scioccante, l’assassinio di Abe sembrerebbe non coinvolgerci. Eppure, il profilo di Abe non è solo quello del più longevo capo di governo nipponico ma anche quello di un leader flessibile e pragmatico, alleato sì degli USA e purtuttavia in grado di tessere relazioni utili al suo progetto geopolitico di restituire al paese del Sol Levante il rango di grande potenza. Tutto ciò, inoltre, in un momento storico di grande complessità in cui tutto appare collegato nel processo di ridefinizione dei blocchi a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, suggerisce di dedicare un approfondimento alle possibili implicazioni geopolitiche della sua scomparsa (Cfr. Cuscito, G., L’eredità geopolitica di Abe, in Limes online, 08.07.2022).
Proviamo quindi a formulare alcune riflessioni per inquadrarne la figura e la postura assunta dal Giappone sotto la sua guida, problematizzando e uscendo dalla lettura maggiormente diffusa che ne fa un mero portavoce dei desiderata statunitensi in chiave di contenimento cinese nel teatro dell’Indo-Pacifico e la cui morte metterebbe addirittura a rischio l’alleanza con l’Occidente.
Durante il mandato di Abe, il Giappone ha attuato una diplomazia multiforme con l’obiettivo di tornare a ricoprire un ruolo sulla scena globale, stringendo alleanze e partnership in tutta la regione indo-pacifica. Durante il suo primo mandato nel 2007, viene avviato il Quad, il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza che riunisce India, Australia, Stati Uniti e Giappone, volto a limitare l’ascesa di Pechino e tuttavia con un percorso inizialmente accidentato principalmente a causa della determinazione dell’India di rimanere autonoma ed evitare un profondo coinvolgimento nonché la preoccupazione dell’Australia di inimicarsi la Cina, tanto da rimanere sostanzialmente inattivo dal 2008 al 2017. Il Quad, infatti, ha davvero iniziato a prendere forma solo negli ultimi due anni, dopo che Abe ha lasciato l’incarico nel 2020 (Cfr., Side Views, Shura No Hana, in brightside-capital.com, 22.03.2021).
Dopo il primo mandato tra il 2006 e il 2007, Abe ritorna alla guida del Paese dal 2012 al 2020, ed in questo lasso di tempo ha effettuato 73 visite all’estero in 78 paesi e regioni. Pur mantenendo l’alleanza con gli Stati Uniti, ha costruito attivamente relazioni con i paesi dell’Asia meridionale, del Medio Oriente e dell’Europa e, allo stesso tempo, ha sviluppato relazioni con i vicini improntate ad uno spiccato pragmatismo (Cfr. Redazione, Condolences from world leaders underscore Abe’s diplomatic flexibility; incident may deepen link between US-Japan right wing forces: expert, in Global Times, 09.07.2022). Sebbene molti analisti, all’indomani della scomparsa, mettano enfasi sull’azione di contenimento della Cina in sinergia con Washington, la sua politica estera va intesa più come un’attenta costruzione di coalizioni in Asia ed Europa piuttosto che una visione da falco occidentalista (Cfr. Sneider, D., Cause to fear what comes after Abe’s death, in Asia Times, 11.07.2022).
Dopo che il leader del Partito Democratico del Giappone, Yoshihiko Noda, nel 2012 aveva nazionalizzato le isole Senkaku, creando la peggiore caduta nelle relazioni sino-giapponesi della storia recente, infatti, è suo il tentativo di ricucire i rapporti proprio con Pechino.
Dopo un serie di incontri diplomatici, nel 2017 è arrivato ad esprimere pubblicamente la volontà di collaborare con la Cina sulla Belt and Road Initiative ed ha altresì affermato di non escludere l’ingresso nella Asian Infrastructure Investment Bank con sede in Cina. Abe, dunque, nella sua gestione delle relazioni con la Cina e gli Stati Uniti, ha cercato di trovare un delicato “equilibrio” per massimizzare la leva del Giappone, soprattutto a seguito del ritiro di questi ultimi dal TPP (Trans-Pacific Partnership) che aveva staccato la spina alla grande iniziativa USA-Giappone per promuovere lo sviluppo regionale, spingendo così Abe a ritenere che, in quel momento, con la globalizzazione messa in discussione dall’amministrazione statunitense guidata da Trump, non vi fosse alternativa alla leadership cinese nello sviluppo dell’area. Dopo la pandemia Covid-19, con l’avvento di Biden, Abe muta nuovamente atteggiamento, diventando più assertivo nei confronti di Pechino.
LE TERRE CONTESE CON LA CINA SONO LE ISOLE SENKAKU: La versione di Tokyo è che il Giappone ha acquisito la sovranità delle Senkaku nel gennaio 1895 quando il governo nipponico decise di incorporare le isole, in quanto le isole erano disabitate e non erano mai state sotto la sovranità cinese. Invece, secondo la Repubblica Popolare Cinese, che indica le isole con il nome di Diaoyu, gli stessi documenti d’archivio di Tokyo confermerebbero che già nel 1885 si sapeva di una presenza cinese antecedente quella data.
LE TERRE CONTESE CON LA RUSSIA SONO LE ISOLE CURILI: La posizione del Giappone è che nelle conferenze di Jalta e Potsdam si parla di rinuncia giapponese alle Isole Curili. Il Giappone (che ha sempre chiamato le quattro isole più meridionali Territori del Nord) sostiene che le isole in questione tecnicamente non facevano parte delle Curili per ragioni amministrative e che esse non erano mai state sotto sovranità russa prima del 1945, quindi non si può loro applicare né le definizione di Jalta e di Potsdam. La Russia sostiene che queste pretese sono infondate in quanto geograficamente le isole appartengono all’arcipelago menzionato a Jalta.
Allo stesso modo, il leader nipponico ha cercato di riavvicinare il Giappone alla Russia. Durante il suo lungo mandato, ha svolto ben undici visite nella Federazione russa per risolvere la disputa territoriale riguardante le Isole Curili e risalente alla guerra del 1945 con l’Unione Sovietica. Il leader nipponico aveva ben chiaro che, qualora i rapporti con la Cina fossero andati a deteriorarsi irrimediabilmente, il Giappone non poteva permettersi di avere un confronto aperto anche con la Russia e che bisognasse lavorare per separare Mosca da Pechino. Inoltre, la risoluzione della questione della sovranità delle Curili, per cui era disposto a ridurre le pretese alle sole isole meridionali facenti perno sull’isola Shikotan, gli avrebbe consentito sul piano interno di tacitare la frangia della destra più oltranzista e all’esterno di porsi come attore autonomo rispetto agli Stati Uniti nei confronti degli altri paesi dell’Indo Pacifico, nonché di consolidare la partnership sulla fornitura di gas naturale. Dal canto suo, Putin, pur stimando Abe, ha sempre visto con timore il ritorno delle Curili sotto le bandiere del Sole Nascente perché potenzialmente luogo di insediamento di basi militari americane.
I tentativi di distensione con la Russia sono definitivamente tramontati dopo l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio, perché l’attuale premier Fumio Kishida ha deciso di sostenere in maniera decisa le posizioni occidentali, in disaccordo con lo stesso Abe (Cfr. Muratore, A., Il sogno mai realizzato di Abe: la pace tra Giappone e Russia, in Inside Over, 09.07.2022).
Quest’ultimo aveva espresso scetticismo sulla posizione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: nel maggio 2022 l’ex primo ministro ha affermato che la posizione di Zelensky sull’adesione di Kiev alla NATO ed il suo rifiuto a risolvere il conflitto nelle regioni orientali del Donbass, avevano aperto la strada alla guerra tra Russia e Ucraina. “Forse la guerra si sarebbe potuta evitare se Zelensky fosse stato costretto a promettere che il suo paese non avrebbe aderito alla NATO, o fosse stato costretto a concedere un alto grado di autonomia a Luhansk e Donetsk nell’est” aveva dichiarato in una lunga intervista su The Economist, criticando così apertamente la leadership statunitense (Cfr. Redazione, Abe Shinzo in his own words. The Economist interviews the former Japanese prime minister, in The Economist, 26.05.2022).
Anche se il campo di Abe ha negato, Tokyo era in fermento per le chiacchiere sul fatto che Abe, che si è dimesso nel settembre 2020, avrebbe potuto lanciare la sua candidatura per un terzo periodo da leader. Da quando si è dimesso, infatti, ha continuato ad avere un ruolo di kingmaker dietro le quinte e si vociferava che fosse scontento nel vedere Kishida tornare indietro rispetto agli sforzi distintivi per la distensione con la Russia di Vladimir Putin. La convinzione di Abe di poter allontanare la Russia dalla Cina e risolvere la disputa territoriale del dopoguerra con Mosca è stata considerata ingenua e certamente infruttuosa dagli americani, le sue speranze di una svolta con Putin viste come uno strano errore nella sua politica.
Quando ci si chiede cosa ne sarà dell’eredità di Abe, questa ci sembra essere la più importante conseguenza della sua prematura uscita di scena. Come conseguenza della sua forte presa di posizione sull’Ucraina, il primo ministro Fumio Kishida riuscirà quasi certamente a portare il budget della difesa del Giappone verso o addirittura all’obiettivo NATO del 2% del PIL (è ora l’1,24%, secondo gli standard NATO), beneficiando del lavoro dello stesso Abe relativo al rafforzamento del comparto militare e all’avvio del percorso verso la modifica della Costituzione pacifista imposta all’indomani della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale.
Non solo, secondo quanto riferito, ad Abe non piaceva neppure l’idea di Kishida di riformare l’economia in favore di un “nuovo capitalismo” che affrontasse i nodi irrisolti delle riforme mancate dell’Abenomics. Sembra una vita, infatti, da quando Abe è salito al potere nel 2012, promettendo riforme da Big Bang. Nel settembre 2013, durante una visita negli Stati Uniti aveva dichiarato, con un grido alla Gordon Gekko, “Japan is back”. Queste tre parole potrebbero definire l’eredità unica e senza precedenti di Abe sulla politica del Giappone, sia in patria che all’estero, dove ha fatto più di qualsiasi altro leader giapponese per elevare la posizione del Giappone sulla scena mondiale. Tuttavia, Kishida inizia la sua battaglia per rinnovare l’economia giapponese con un deficit di fiducia globale dovuto anche alle riforme mancate dell’Abenomics.
Il piano dell’attuale Primo Ministro sarebbe quello di utilizzare fondi pubblici per promuovere l’innovazione e la crescita di startup giapponesi, per quanto in ritardo rispetto a India, Indonesia e Corea del Sud. In apparenza, è un’idea audace e creativa. Il fondo di investimento pensionistico governativo giapponese (GPIF) da 1,45 trilioni di dollari è l’ultima “balena” nei mercati finanziari globali. Quindi, secondo Kishida, perché non distribuire una parte di quei fondi per catalizzare la creazione di “unicorni” tecnologici per capovolgere l’economia da zero e creare nuova ricchezza? (Cfr. Reynolds, I., Tamura, Y., Japan Premier seeks to direct public pension funds to startups, in Bloomberg, 13.04.2022).
ABENOMICS: Leva monetaria, leva fiscale e riforme strutturali per far crescere la competitività del Giappone sono le cosiddette tre frecce dell’Abenomics, la politica economica che il premier Shinzo Abe ha varato per rilanciare l’economia del paese. Dopo anni di economia stagnante o di recessione in cui la Bank of Japan aveva usato esclusivamente l’arma di tassi di interesse vicini allo zero, l’unica soluzione percorribile, secondo Abe, era una scossa brutale: una politica monetaria e fiscale espansionistica, di investimenti pubblici e di misure per la crescita che non si curano del debito che producono.
Ci sono grossi rischi, tuttavia. Il GPIF ha registrato la sua prima perdita nel trimestre gennaio-marzo in due anni a causa del crollo delle azioni e delle obbligazioni globali.
Inoltre, secondo gli economisti intervistati da Bloomberg, la possibilità di una recessione nell’area dell’euro è aumentata al 45% dal 30%. Goldman Sachs vede una probabilità del 50%. I rischi interni, poi, abbondano. L’enorme quantità di liquidità erogata dalla Banca Centrale Giapponese (BOJ), unita alle manovre restrittive della Fed, sta virtualmente assicurando la caduta dello yen verso 150 per dollaro, o anche oltre. Gli investitori esteri stanno, in generale, scaricando asset in yen. I deflussi sono così intensi che la BOJ ha aumentato gli sforzi per mantenere un limite dello 0,25% sui rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni (Pesek, W., As Black Swans loom, can Japan’s bonds defy doom?, in Asia Times, 17.06.2022). Insieme a ulteriori distorsioni della dinamica dei rendimenti, lo sforzo sta aggiungendo una pressione al ribasso sul tasso di cambio dello yen. Infatti, La Banca del Giappone è l’unica tra le grandi nel mondo a non avere neppure annunciato alcun piano per alzare i tassi d’interesse o almeno per ridurre gli acquisti dei bond. Più le altre banche centrali alzano i tassi e più cresce la pressione su Tokyo. Ad un certo punto, la Banca del Giappone rischia di capitolare (Cfr. Pezzoli, A., Eurovision in Turin, in Side Views, brightside-capital.com, 06.07.2022).
La spinta del programma di Kishida, volta a riaccendere l’innovazione, aumentare la competitività e accelerare la crescita salariale, oltre a sfruttare il pool di risorse di GPIF, mira ad attrarre investimenti esteri e convincere i giapponesi a correre rischi finanziari, cose che Abenomics ha promesso ma non ha mai realizzato.
Kishida afferma che semplificherà il processo burocratico per quotare pubblicamente le aziende sul mercato e semplificherà la vita alle multinazionali che cercano di avviare nuove attività. Le priorità includono, tra l’altro, il rafforzamento della governance aziendale. Se non ci riesce, il GPIF rischia di alimentare una bolla nelle valutazioni di società immeritevoli che dilapideranno i suoi fondi.
La sfida di Kishida è contro il tempo. Anche se ottiene tutto ciò che vuole per aumentare gli investimenti nell’istruzione, raddoppiare il reddito familiare medio dalle attività finanziarie, catalizzare gli sforzi per creare la tecnologia dei semiconduttori di prossima generazione e sostenere l’energia rinnovabile, non cambia il fatto che il Giappone sia in grave ritardo rispetto ai paesi competitor.
Un’altra delle conseguenze della morte di Abe è proprio l’aver potenzialmente ottenuto più tempo: Kishida ha la possibilità di guardare oltre la scadenza del suo mandato ad ottobre e ipotecare un periodo più lungo di governo. Con audacia e pensiero creativo, con il consenso internazionale avuto per la sua presa di posizione sull’Ucraina, Kishida può scommettere sulla possibilità di rivolgere nuovamente l’attenzione del mondo alla via del Giappone.
A conclusione di questa Side View vi proponiamo la lettura di quello che è stato definito il D’Annunzio nipponico, Yukio Mishima. Talentuoso, raffinato e prolifico scrittore, esteta dedito al culto del corpo e alle arti marziali, difensore della Tradizione e dello spirito eroico dei samurai in aperta critica alle derive occidentaliste della società giapponese del dopoguerra, Mishima entra nella storia il 25 novembre 1970. In quel giorno fatidico, l’autore di Sole e Acciaio, opera che qualcuno ha paragonato allo Zarathustra di Nietzsche, passa dal linguaggio delle parole a quello simbolico della carne: con alcuni compagni della milizia Tate no Kai (Società degli scudi), occupa il Ministero della Difesa e, arringata la folla riunitasi sotto il balcone del Ministero, compie il suicidio rituale del seppuku e trova quella morte onorevole che gli consente di mantenere la sua anima libera dalla vergogna.
Lugano, 17 luglio 2022