(foto: Justice League, film 2017)
«Non cercare di analizzare questo destino unico al mondo: l’esistenza consiste nel vedere, non fosse che per un istante.»
(J.W., Goethe, Faust: parte II, atto III)
Wirrwarr – Guazzabuglio è il titolo originale del dramma scritto da Friedrich Maximilian Klinger e poi ribattezzato con il più famoso Sturm und Drang – Tempesta e impeto, titolo quest’ultimo che diede anche il nome al movimento letterario omonimo di fine Settecento e che ci aiuta, sintetizzandolo, a cogliere lo spirito tedesco. Nell’Uomo nuovo vagheggiato dallo Sturm und Drang, infatti, si riconoscono già quei tratti che saranno ripresi poi nel Romanticismo e nell’Oltreuomo nicciano: animato da una profonda inquietudine, egli sovverte l’ordine costituito, rifiuta limiti e vincoli estrinseci in continua tensione verso qualcosa che non è possibile raggiungere. Proprio qui nasce lo “spirito faustiano”, quel perseguimento dei propri interessi ed obiettivi ad ogni costo che è parte essenziale della storia tedesca.
Questa brevissima riflessione ci serve per introdurre lo scritto di oggi sull’attuale situazione della Locomotiva d’Europa, che sembra avviarsi verso un futuro non troppo roseo a seguito del disaccoppiamento energetico dalla Russia dovuto al conflitto in Ucraina e all’attentato al gasdotto North Stream e, parimenti, dall’economia cinese. Separazione economica quest’ultima imposta come obiettivo dagli Stati Uniti ai propri alleati nel quadro della strategia di contenimento dell’Impero di Mezzo.
“La tecnologia russa ed il capitale tedesco, assieme alle risorse naturali russe e alla manodopera russa, rappresentano l’unica combinazione che da secoli spaventa gli Stati Uniti. “
George Friedman, «il Giornale», 4 maggio 2018
Situazione dalla quale Berlino, pronta come Faust a qualsiasi sotterfugio pur di difendere i propri interessi, cerca di uscire aggirando le strette maglie di vincoli esterni e alleanze, in un guazzabuglio, appunto, di prese di posizione spesso contraddittorie, come emerge dal recente viaggio del cancelliere Scholz a Pechino.
Dell’ambiguità della Germania abbiamo già accennato in I due volti di Berlino, da cui ripartiamo alla luce degli ultimi eventi (Cfr. I due volti di Berlino, in https://brightside-capital.com/2020/11/23/i-due-volti-di-berlino/). Riprendiamo così il ragionamento ivi delineato e che è centrale per decifrarne il comportamento, tra atlantismo e Drang nach Osten (“spinta verso est”), sviluppandolo in una serie di punti che ci consentano di svolgere la matassa delle apparenti contraddizioni e cogliere il significato dei recenti movimenti teutonici.
Lord Hasting Ismay, il primo segretario generale della Nato, affermava che lo scopo dell’Alleanza atlantica in Europa e della stessa Ue era quello di tenere “fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”
Quadro geopolitico generale
Dalla sua sconfitta nella Seconda guerra mondiale, la Germania, grazie alla presenza sul territorio delle forze statunitensi e di strutture militari strategiche, è stata mantenuta in uno status subordinato per il timore che questa modificasse in un prossimo futuro la sua collocazione geopolitica, data la sua vocazione a guardare verso oriente (Cfr. Cuniberto, F., Strategie imperiali. America, Germania, Europa, Edizioni Quodlibet, 2019).
In tale contesto, Berlino non doveva spendere per la difesa poiché i costi erano in gran parte assorbiti dagli americani stessi che così ne impedivano la rinascita militare e strategica. Quindi, poteva concentrare le risorse sul rilancio dell’industria nazionale e sulla possibilità di impegnarsi liberamente nel commercio internazionale. In seguito, inglobando la DDR, la Bundesrepublik ha consolidato la propria centralità sul continente europeo. Questo è stato concesso dalle Potenze Alleate alla Germania a fronte di un compito preciso: spostare a nord est la Cortina di ferro (Cfr. Steinmann, L., L’incertezza di essere Germania, in Limes, n. 4, 2021).
L’insofferenza verso gli Usa
Negli ultimissimi anni, il ruolo della Germania in Europa è parzialmente mutato. Già durante l’era Merkel era emersa una tendenza alla rinazionalizzazione della politica e all’insofferenza verso l’Impero americano con un’accentuazione sempre maggiore della spinta ad est con l’intensificarsi dei rapporti economici con Russia e Cina.
All’origine di questa insofferenza c’è la crisi finanziaria del 2008, quando Berlino decide di guardare all’economia cinese ritenuta più solida e solvibile, dove il risparmio delle famiglie è consistente rispetto al debito, contrariamente a quanto avviene oltre Atlantico. La Cortina di ferro, intesa come ruolo di contenimento del blocco eurasiatico a ridosso della Russia per cui alla Germania è stata concessa la riunificazione, viene abbattuta.
Già dall’avvenuta riunificazione, Berlino aveva iniziato a stringere sempre più i rapporti con Mosca e con il progetto di raddoppio del North Stream mirava ad un collegamento diretto con la Russia bypassando l’Ucraina e così diventare il grande hub energetico europeo. Parallelamente, grazie all’euro, riusciva ad imporre la propria costituzione economica, impedendo gli aiuti di Stato alle imprese ed il soccorso delle Banche centrali, ostacolando altresì le svalutazioni competitive così da limitare se non danneggiare competitor come l’Italia e, infine, a guadagnare sulla debolezza della moneta unica per esportare.
Negli ultimi anni, inoltre, Berlino si opponeva alle richieste Usa di apertura del mercato europeo ai prodotti americani. Infatti, se prima dell’euro, per contrastare il disavanzo commerciale con la Germania, agli Usa bastava imporre la rivalutazione del marco, con l’euro diventava necessario chiedere a Berlino e quindi all’Europa di comprare di più prodotti americani. Come se non bastasse, Bruxelles (leggi Berlino) aveva pure preso di mira i giganti tecnologici americani e iniziato a parlare di esercito europeo.
Atteggiamento che ha generato un certo risentimento oltreoceano nei confronti della Germania, la quale subiva una guerra economica da parte degli Usa, come suggeriscono casi come il Dieselgate (contro Volkswagen) o le indagini contro Deutsche Bank (Cfr. Aletta, G.S., Contro il colonialismo finanziario. Le vere guerre fra gli Stati da Bretton Woods ai giorni nostri, distribuito con MilanoFinanza, 2014).
La Germania dopo l’invasione russa dell’Ucraina
Anche il governo guidato da Scholz tende ad affrontare i temi con una prospettiva nazionale senza neppure più camuffarla dietro una posizione condivisa europea: oggi la Germania prima definisce una propria posizione sui singoli punti per poi portare tale prospettiva nell’Unione. Il caso del negoziato energetico è particolarmente emblematico: questa volta, infatti, la Germania ha preliminarmente deciso il suo piano nazionale e successivamente si è seduta al tavolo europeo per la definizione di una strategia comune. Questa impostazione ha suscitato una serie di reazioni allarmate negli altri Paesi a causa dell’ampiezza del programma e per i potenziali effetti distorsivi sull’economia europea, ma risulta pienamente spiegabile sulla base degli sviluppi che hanno caratterizzato il Paese negli ultimi anni.
Attualmente, la guerra in Ucraina ha offerto agli americani una finestra di opportunità per minare definitivamente le prospettive di un asse russo-tedesco e imporre agli alleati il decoupling economico dalla Cina, di fatto colpendo soprattutto la Germania, la cui manifattura, senza l’energia russa a basso costo, sembra avviarsi verso una crisi irreversibile, trascinando con sé i Paesi integrati nella sua catena del valore.
Se nei confronti della Russia la linea di Scholz, nonostante le perplessità manifestate, è stata di sostanziale allineamento con quella del resto dell’alleanza atlantica, così non sembra nei confronti della Cina, come dimostrano la recente vicenda del porto di Amburgo e la visita a Pechino.
IL CASO DEL PORTO DI AMBURGO
Il mese scorso il governo federale ha approvato l’acquisizione da parte di Cosco di una partecipazione del 24,9% nel terminal Tollerort, parte del porto di Amburgo. Sei ministeri (Esteri, Interni, Difesa, Economia e Tutela del clima, Finanze, Trasporti e Digitale) volevano impedire completamente l’ingresso del gruppo logistico nella gestione del terminal, a cui la Cancelleria era favorevole. In precedenza, l’accordo tra il gruppo e Hhla, l’operatore portuale di Amburgo, prevedeva l’acquisizione di una quota del 35 per cento per 65 milioni di euro. Di fronte alle posizioni dell’ufficio del cancelliere Olaf Scholz, i sei dipartimenti hanno elaborato una soluzione di emergenza, riducendo al 24,9 per cento la partecipazione di Cosco nel terminal di Tollerort. L’obiettivo è garantire che la società non acquisisca una minoranza di blocco e non possa esercitare alcuna influenza su un’infrastruttura critica nel porto principale della Germania. Il compromesso si è reso necessario in vista dell’avvicinarsi della scadenza del 31 ottobre. Entro quella data, il governo federale avrebbe dovuto prendere la decisione sulla partecipazione di Cosco nel terminal di Tollerort. In caso contrario, l’accordo sarebbe entrato in vigore nella versione originaria.
Il rapporto tra Germania e Cina
La Cina è da tempo il più importante partner commerciale della Germania, con gli interscambi che nel 2021 hanno raggiunto il livello di 245 miliardi di dollari, mentre nei primi sei mesi dell’anno le importazioni tedesche dalla Cina sono aumentate del 45% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il deficit commerciale tedesco con il paese asiatico, sempre nei primi sei mesi dell’anno, è salito a 41 miliardi di euro. Ciò dipende anche dal fatto che le imprese tedesche, oltre che ad esportare dalla Germania, tendono a produrre in loco: nei primi sei mesi dell’anno corrente, gli investimenti diretti tedeschi in Cina sono cresciuti a 10 miliardi di dollari, contro i 5.7 dello stesso periodo dell’anno precedente.
La struttura industriale tedesca è fondata su tre pilastri: automotive, chimica e meccanica.
Il settore automobilistico, in particolare, rappresenta il 10% del PIL e il 40% della spesa per ricerca e sviluppo. Le case tedesche vendono nel paese asiatico in media un terzo della loro produzione e vi ottengono una quota anche maggiore dei loro profitti. BMW, Mercedes-Benz e Volkswagen sono consapevoli delle tendenze globali di disaccoppiamento, tuttavia, stanno raddoppiando i loro già cospicui investimenti in Cina. Volkswagen definisce la Cina “il secondo mercato interno”. Le case automobilistiche sono i protagonisti da tenere d’occhio in questa storia, in quanto hanno un ruolo importantissimo nelle relazioni di investimento: quando creano nuovi stabilimenti, i fornitori di solito li seguono.
Le decisioni di investimento delle tre case automobilistiche non riguardano solo la Germania. Il settore automobilistico del paese, infatti, è il fulcro delle relazioni economiche UE-Cina: la perdita di quote di mercato globali da parte dell’industria avrebbe gravi implicazioni per le reti di produzione in tutta Europa, a causa della natura transfrontaliera della sua catena del valore. Comunque, con l’avvento dell’elettrico le imprese tedesche, che sono state relativamente lente ad investirvi, rischiano di perdere posizioni, mentre la Cina produce tra il 55% e il 60% di tutte le vetture elettriche del mondo. Ricordiamo infine che il settore impiega in Germania direttamente o indirettamente circa 15 milioni di persone (Cfr. Sebastian, G., The bumpy road ahead in China for Germany’s carmakers, in MERICS Mercator Institute for China Studies, 27.10.2022).
Per quanto riguarda la chimica, la decisione della Germania di guardare alla Cina per sopperire alla ridotta disponibilità interna di prodotti chimici è legata innanzitutto al suo posizionamento come leader mondiale nel settore. In Cina si va in prospettiva, nel 2030, verso il 50% del mercato globale. Il CEO di Basf Martin Brudermuller, mentre annuncia una riduzione importante delle capacità di produzione in Europa, sta avviando nel paese asiatico una nuova fabbrica da 10 miliardi di dollari in cui le attività si svolgeranno interamente con energie rinnovabili. Incidentalmente il nuovo insediamento, per le sue caratteristiche, appare un segno che la Cina, che una volta era contenta di essere la fabbrica del mondo, sta rapidamente diventando l’innovatore del mondo. Come afferma sempre Brudermuller, se si vuol essere un gigante mondiale della chimica, non si può non essere interessati alla metà del mercato mondiale (Cfr. Comito, V., La Germania, rapporti aperti con la Cina, in Sbilanciamoci.org, 14.11.2022).
L’industria tedesca, quindi, sta contribuendo pesantemente alla crescente competitività della Cina. In altri termini, la Germania incoraggiando la Cina concorre alla propria deindustrializzazione.
La visita a Pechino
Il significato più evidente del viaggio in Asia del cancelliere tedesco è quello del tentativo di guadagnare autonomia strategica rispetto agli alleati, consolidando un dialogo economico che vada oltre l’Europa e che permetta alla Germania di arginare gli effetti negativi del disaccoppiamento energetico dalla Russia.
Questo viaggio rappresenta dunque un approccio pragmatico per supportare le imprese tedesche grazie ai costi energetici più sostenibili rispetto all’Europa, visto che la Russia ora e nei prossimi anni venderà il suo gas alla Cina. Come ha detto nei giorni scorsi Brudermuller, ci deve essere più equilibrio nelle attuali discussioni in Germania sulla Cina e bisogna sostenere l’impegno delle industrie tedesche. Su questioni in cui le posizioni dei due paesi divergono, la Germania dev’essere disposta a scambiare opinioni con la Cina per aumentare la comprensione e la fiducia reciproche (Cfr. Reuters staff, BASF CEO: China not suddenly bad, but there are red lines, in Reuters, 17.11.2022).
Qui si innesta, però, un secondo livello di lettura. Scholz a novembre ha visitato la Cina, si è recato in Indonesia per partecipare al vertice del G20 e in questa occasione ha visitato il Vietnam e Singapore, il tutto in un brevissimo intervallo. Per un grande paese occidentale, questo è davvero molto raro.
Scholz ha detto la scorsa settimana che “un mondo sempre più multipolare si sta organizzando in questo momento, fondamentalmente nuovo”. Ha affermato che per anni i paesi del Nord America e dell’Europa hanno goduto di una combinazione di crescita stabile, bassa inflazione e alti tassi di occupazione, ma questa era “un’eccezione economica che non può durare più a lungo”. Ha invitato la Germania e le altre nazioni europee ad abbracciare più scambi con le economie emergenti.
L’Occidente ha vissuto per decenni una deindustrializzazione su larga scala e l’Asia e l’Occidente hanno formato un rapporto di produzione e consumo. In Germania questo non è avvenuto: l’industria manifatturiera tedesca è ancora sviluppata e la sua quota nell’economia nazionale raggiunge il 24%. Pertanto, la Germania sta scommettendo sul fatto che l’Asia da fabbrica del mondo stia diventando anche diventando il mercato di consumo più importante del mondo. In altri termini, che il ruolo dell’Asia nei confronti dell’Occidente e del mondo stia sostanzialmente cambiando.
Il viaggio in Asia di Scholz, quindi, è ovviamente dovuto alla necessità di interessi nazionali ma mostra anche la visione tedesca sul futuro del mondo: l’Asia è indispensabile se l’Occidente vuole continuare a svilupparsi e prosperare.
Per la Germania il conflitto Russia-Ucraina è solo un fattore accidentale e non durerà a lungo: “the East is rising, and the West is declining” è una tendenza storica (Cfr. Luzheng, S., Asia is indispensable for West to revitalize, in Global Times, 28.11.2022).
Tuttavia, occorre sottolineare che la situazione politica interna tedesca è soggetta a pesanti lotte intestine. La strategia di contenimento di Washington nei confronti di Berlino è nelle mani dei Verdi e, in particolare, del Ministro dell’Economia Robert Habeck. All’interno della coalizione di governo, i Verdi sono i più aggressivi sulla Cina e sostengono l’urgenza di maggiori sforzi sul fronte della denuncia della violazione dei diritti umani e di guidare le imprese tedesche verso la diversificazione rispetto agli investimenti in Cina.
Scenari
Al di là della scommessa di Berlino sulla tendenza declinante dell’Occidente, Junhua Zhang, analista dell’Istituto europeo di studi asiatici, individua tre possibili scenari in cui giocano variabili politiche e temporali.
Il primo scenario è che a Berlino prevalga la linea dei Verdi volta a guidare le aziende a diversificare i loro investimenti per non diventare eccessivamente dipendenti dalla Cina. Tuttavia, nel breve termine il governo non è in grado di creare una tale prospettiva e Pechino, nel frattempo, adotterà tutte le politiche necessarie per trattenere le compagnie straniere nel Paese. Se il rischio di tensioni legate all’obiettivo dichiarato di prendere Taiwan si facesse più concreto, ciò potrebbe costringere le imprese straniere a pensare di trasferirsi. In questo primo caso, saranno le politiche del presidente Xi, piuttosto che il governo tedesco, a costringere le aziende tedesche in Cina a diversificare i loro investimenti. Allo stesso tempo, la Germania non avrà i mezzi per aiutare le piccole e medie imprese a uscire dalla crisi energetica, quindi il suo stesso settore manifatturiero subirà un duro colpo.
In un secondo scenario, l’economia cinese, in apparente declino durante il terzo mandato del presidente Xi, verrà salvata e il consumo interno e la capacità produttiva del paese aumenteranno. Berlino non riuscirà a convincere le aziende tedesche con sede in Cina a diversificare i propri siti produttivi a breve termine. Le società tedesche in fallimento diventeranno obiettivi per fusioni e acquisizioni cinesi e, a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia, le società dipendenti dall’energia decidono di trasferirsi in Cina. La Germania sperimenterà un processo accelerato di deindustrializzazione.
In un terzo scenario, grazie a un maggiore sostegno interno alle piccole e medie imprese, la Germania sopravviverà alla crisi energetica in inverno, preservando o addirittura facendo crescere gran parte della propria industria. Ci sarà anche un accordo tra le imprese tedesche attive in Cina e il governo sul loro coinvolgimento nel mercato cinese a medio e lungo termine, che si tradurrà in una sorta di vantaggio per entrambi i paesi. Col tempo sarà poi possibile trasferire parte della produzione non solo in Cina ma anche in altri paesi e regioni (Cfr. Zhang, J., Where are China-Germany relations headed? in Gis Report, 01.11.2022).
Conclusioni
Concludiamo senza una risposta su qual sarà il destino della Germania ma con una domanda che dall’inizio percorre questo scritto. Se l’eroe romantico tedesco è l’eroe dal destino tragico, come se la previsione o il presentimento della sconfitta facesse parte del suo specifico carattere, in esso possiamo cogliere la sorte della Germania stessa come potenza destinata alla sconfitta?
A questo punto è chiaro che la lettura non può che essere quella dell’opera maggiore dello scrittore tedesco più famoso: Johann Wolfgang Goethe. Faust è lo scienziato che vende l’anima al diavolo per saziare la propria sete di conoscenza e potere. Protagonista di un racconto popolare tedesco, molti autori del passato hanno attinto a questo mito scrivendo svariate opere. Le più importanti sono sicuramente quella di Marlowe e quella di Goethe. Quest’ultimo ha dedicato tutta la sua vita alla composizione di quest’opera poetica e teatrale. Sempre in lotta e sempre ribelle, il ruolo di Faust è stato adottato come modello storico per l’uomo occidentale che, come scrive Massimo Fini, vive il paradosso di credere di volere il Bene e di operare eternamente, in una sorta di eterogenesi dei fini, il Male.
Lugano, 4 dicembre 2022