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Sailing

Sailing

Sailing on the ocean, Going west
We are fishermen, Sailing in rough seas
Looking for a lighthouse, Horizon free from land 
We are far from home, But the ocean is our home now

Stand High Patrol – Sailing in Rough Seas (2020)

“Nessuna azienda onesta deve temere la SEC.” Il primo presidente della Securities and Exchange Commission (l’ente americano preposto alla vigilanza della borsa valori), Joseph Kennedy, ebbe il delicato compito di regolare l’emissione degli strumenti finanziari da parte delle società nel 1935, dopo le politiche laissez faire degli anni ’20 che avevano portato al crash di borsa del 1929. In seguito, Kennedy osservava che “Era stato profetizzato che i mercati mobiliari… sarebbero quasi scomparsi entro pochi mesi”, solo per vedere poi tutti i principali registri delle borse americane prosperare sotto la guida della SEC.

Gli asset digitali hanno avuto il loro “1929 moment” durante il 2022, a seguito delle vicende di frode e bancarotta di alcune piattaforme centralizzate e l’implosione del protocollo di Finanza Decentralizzata Terra Luna, e la risposta normativa non si sta facendo attendere.

Sebbene i prezzi degli asset digitali sembrino, per il momento, essere “insulati” dalle notizie dei primi due mesi dell’anno sul fronte regolamentare, proseguendo nel loro rialzo iniziato a gennaio (l’indice Bloomberg degli asset digitali è positivo di +54% YTD, la volatilità a un mese di Bitcoin si trova nella parte bassa del range degli ultimi 3 anni – primo grafico in basso – e la correlazione con l’indice azionario S&P ai minimi dal 2021, secondo grafico in basso), i regolatori statunitensi hanno iniziato il 2023 sul piede di guerra, tanto che alcuni crypto enthusiasts hanno già definito le recenti vicende “un attacco coordinato” al mondo degli asset digitali.

Riepiloghiamo di seguito i principali eventi ed annunci di società crypto che hanno caratterizzato questo ultimo periodo:

– il 7 dicembre, Signature Bank (tra le banche americane più attive nel mondo degli asset digitali) ha annunciato le sue intenzioni di dimezzare i depositi dei clienti crypto (restituendo i fondi a questi ultimi) riducendone l’ammontare dai 23BN USD ai picchi a 10BN USD, e di dismettere la propria unità dedicata alle stablecoin;

– il 3 gennaio, la FED e gli enti che forniscono assicurazione sui depositi bancari (FDIC) e vigilano sugli istituti di credito (OCC) hanno emesso una dichiarazione congiunta sottolineando i potenziali rischi per le banche che servono clienti nel mondo crypto, non vietando esplicitamente queste attività agli istituti di credito ma scoraggiandole fortemente dal farlo su una base di “sicurezza e solidità”;

– il 21 gennaio, Binance, il maggiore exchange di crypto al mondo, rende noto che, a causa delle nuove politiche messe in atto da Signature Bank, processerà soltanto le transazioni in valuta fiat degli utenti per un valore minimo di 100k USD;

– il 27 gennaio, la Fed pubblica un’ulteriore dichiarazione nella quale disincentiva le banche dal detenere asset crypto o emettere stablecoin;

– sempre il 27 gennaio, il Consiglio Economico Nazionale pubblica un blog post (intitolato “La roadmap dell’Amministrazione per mitigare i rischi legati alle cryptovalute”) nel quale scoraggia fortemente le banche dal servire clienti nel mondo degli asset digitali o mantenere esposizione a correntisti crypto;

– il 2 febbraio, l’Unità Frodi del dipartimento di giustizia americano annuncia un’indagine nei confronti dell’istituto di credito crypto Silvergate, in relazione ai propri legami con la piattaforma FTX e la società di trading Alameda;

– il 9 febbraio, la SEC pubblica un comunicato stampa con cui accusa l’exchange di cryptovalute Kraken di “non aver registrato l’offerta e la vendita relativa al suo programma di staking di asset crypto” (con lo staking si bloccano gli asset digitali sulle blockchain per garantirne la sicurezza e si riceve in cambio un interesse pagato sottoforma di crypto); la società ha accettato, quindi, di pagare una multa di 30M USD e di cessare immediatamente le attività legate a questo servizio;

– il 13 febbraio, il Dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York ha ordinato a Paxos, una società crypto partner dell’exchange Binance per l’emissione di stablecoin, di cessare di emettere nuovi dollari digitali; a seguito di questa misura, Binance ha annunciato che sta valutando di porre fine alle relazioni con tutti i partner commerciali americani, incluso il potenziale de-listing dalla piattaforma di tutti i token di progetti basati in America.

Risulta quindi lecito chiedersi: perché proprio ora una spinta così forte dal punto di vista regolamentare? Il crollo di novembre della piattaforma FTX ed i suoi effetti conseguenti forniscono gran parte della risposta.

I regolatori finanziari non sembravano essere particolarmente attenti alle attività di FTX mentre la frode era in corso (con l’eccezione della SEC e del suo presidente Gary Gensler, che aveva legami stranamente stretti con l’organizzazione) ma, da quando l’exchange ha dichiarato bancarotta ed è fallito dopo aver truffato i propri clienti, le autorità si stanno muovendo per evitare un altro episodio simile. FTX era un exchange offshore, con sede alle Bahamas, e quindi non supervisionato direttamente dalle autorità di regolamentazione americane (con l’eccezione della branch FTX US, che aveva comunque un peso marginale). Tuttavia, anche alla luce delle recenti dichiarazioni, i regolatori sanno di poter agire sulle modalità di on and off ramp (conversione) da valuta fiat a valuta crypto sulle quali fa affidamento l’industria, ovvero gli istituti di credito che offrono questa possibilità. Se le autorità regolamentari riescono a rendere più difficile questo meccanismo, fondamentale per il funzionamento dell’intera industria, possono “emarginare” il settore senza regolarlo direttamente.

Opinioni contrastanti

Con riferimento agli avvenimenti appena esposti, sono sorte due principali linee di interpretazione nel mondo crypto. C’è chi valuta le recenti mosse del regolatore come “un attacco organizzato” contro il mondo degli asset digitali, con l’intento di interdire del tutto l’industria punendone ingiustamente i principali attori; di contro, vi sono coloro che, in maniera meno disfattista, sostengono che le autorità di regolamentazione stanno semplicemente mettendo in atto azioni legali sulla base di una legislazione già esistente e consolidata, in particolare per quanto attiene alle regole legate all’emissione di strumenti finanziari.

Di seguito, proviamo ad esporre entrambi i punti di vista tramite le dichiarazioni dei principali partecipanti all’ecosistema, per permettere al lettore di giudicare i fatti e le notizie in maniera oggettiva ed imparziale.

1. “Regolamentazione mediante applicazione”

Negli ultimi anni, alcuni importanti organi di governo americani come il Consiglio per la supervisione della stabilità finanziaria (FSOC) ed il Presidential Working Group (PWG), ovvero un comitato composto da FED, SEC (organo di vigilanza sulla borsa), CFTC (ente che regola il mercato dei derivati) e ministero del Tesoro, hanno affermato che spetta al Congresso americano decidere sulla regolamentazione in materia di asset digitali, e non alle diverse agenzie che sovraintendono le istituzioni finanziarie americane.

Tuttavia, questo non è ancora successo e, con un Congresso americano diviso e con un divario ideologico rilevante tra Repubblicani e Democratici sul tema, le diverse agenzie, in primis la SEC, stanno “estendendo” la propria autorità ed agendo “caso per caso” in mancanza di regole chiare sulle diverse tematiche, tra cui, ad esempio, la classificazione di token come strumenti finanziari oppure le regole circa la custodia dei crypto asset.

Tra coloro che leggono le ultime azioni del regolatore come una minaccia all’intero ecosistema crypto negli Stati Uniti vi è Nic Carter, partner di Castle Island Venture e grande esperto del mondo di Bitcoin: ad inizio febbraio, Nic ha pubblicato un articolo piuttosto provocatorio, intitolato “Operation Choke Point 2.0”, in cui paragona le recenti mosse del regolatore a quelle messe in atto nel 2013 dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti durante il governo Obama (denominato appunto Operation Choke Point), le quali avevano come obiettivo quello di emarginare industrie specifiche (quella dei produttori delle armi da fuoco, i servizi di dating, le scommesse online etc.) e rendere loro difficile l’accesso al sistema bancario esercitando pressioni tramite quest’ultimo.

Sempre nello stesso camp troviamo i CEOs dei due exchange principali crypto in America, Brian Armstrong (Coinbase) e Jesse Powell (Kraken), che lamentano un’eccessiva severità nei provvedimenti presi dal regolatore in mancanza di una guidance chiara su come “muoversi” entro i confini stabiliti dal legislatore, specialmente per quanto attiene alle regole circa la custodia di asset crypto o l’offerta di servizi ai consumatori. Secondo il loro punto di vista, la SEC si nasconde dietro un ironico e semplicistico “come and register” senza indicazioni chiare riguardo a come procedere.

https://twitter.com/jespow/status/1625887480556974081

Questa posizione apparentemente ipocrita da parte del regolatore ha persino provocato una reazione simile da parte di Heister Peirce, Commissario della SEC, che ha pubblicato una dichiarazione alla luce degli ultimi avvenimenti nella quale si interroga sul tema di cui sopra, in particolare se fosse stato possibile in prima battuta registrarsi presso la SEC. Il punto principale proposto da Peirce è legato al fatto che le regolamentazioni esistenti circa la custodia degli asset negli Stati Uniti non sono adattabili alle crypto in quanto si tratta di una nuova asset class, che richiederebbe quindi regole nuove e specifiche.

2. “Law is Law”

Un punto di vista diverso circa gli stessi avvenimenti è, invece, offerto da altri proponent dell’asset class, come il fondatore della blockchain Cardano Charles Hoskinson o il gestore del fondo di asset digitali Arca Jeff Dorman. Questi ultimi sostengono infatti che le azioni del regolatore non dovrebbero essere lette come un ban totale del mondo delle crypto, quanto più come specifiche applicazioni della legge esistente sui titoli finanziari a seguito della violazione di queste ultime.

Ad esempio, nella vicenda relativa al servizio di staking offerto da Kraken, Dorman sottolinea come un prodotto che offre un rendimento non solo costituisca un’offerta di titoli finanziari per definizione, ma debba anche soddisfare elevati standard di trasparenza, in particolare per quanto riguarda fonti sottostanti che generano il rendimento. Nel 2022, infatti, si è già assistito alle azioni legali da parte della SEC contro altre piattaforme centralizzate che offrivano servizi simili, come BlockFi e Celsius, punite per non aver rivelato in maniera chiara come il rendimento stabile che era pubblicizzato venisse generato (un insieme di spese di marketing, re-impegno degli asset in altri prodotti, strategie di investimento etc.). Di fatto, le autorità non hanno problemi con la pratica di staking di per sé, ma con le modalità con le quali questi prodotti vengono pubblicizzati attraverso una piattaforma centralizzata (e non direttamente effettuate sulla blockchain) e con le insufficienti informazioni che vengono condivise.

Fuga di innovazione (e capitali)

Come appare chiaro dalle posizioni contrastanti espresse sopra, la regolamentazione degli asset digitali, specialmente negli Stati Uniti, è un tema complesso che, probabilmente, necessiterà di tempo per trovare una soluzione adeguata.

Ciò che, però, risulta altrettanto lampante è che l’innovazione, e con sé i movimenti di capitale, in questo spazio sono particolarmente rapidi e gli altri Paesi, nel frattempo, non stanno certamente a guardare.

Come riportato di recente da Bloomberg, che ha intervistato una dozzina di imprenditori, ex regolatori, analisti ed investitori attivi nello spazio degli asset digitali, i recenti eventi rischiano di spingere l’innovazione ed il capitale intellettuale lontano dagli US e più vicino ad hub che, al momento, risultano essere più interessanti per le società crypto grazie a sforzi normativi, vantaggi fiscali e posizioni dei governi “più amichevoli”.

A Hong Kong, le autorità di regolamentazione hanno annunciato l’anno scorso l’intenzione di introdurre un regime obbligatorio di licenze per gli exchange a partire da giugno di quest’anno e, a febbraio 2023, hanno presentato un piano creare una task force dedicata per facilitare uno sviluppo sostenibile del settore. A Dubai è stato pubblicato a febbraio un quadro finale per le regole che disciplinano le società crypto, che consentiranno loro di ottenere una piena licenza regolamentare. Anche Singapore sta rafforzando la propria posizione normativa, proponendo regole più severe in materia di trading di criptovalute per investitori al dettaglio, dopo il crollo dell’hedge fund locale Three Arrows Capital di maggio dell’anno scorso. Alcune giurisdizioni come Dubai e Singapore offrono, altresì, aliquote fiscali vantaggiose, un elemento ulteriore che imprenditori ed investitori certamente valutano in maniera favorevole.

Anche la Svizzera continua a fornire un fertile terreno per l’ecosistema degli asset digitali grazie al suo approccio tecnologicamente neutrale e al suo quadro normativo accomodante. Uno dei motivi principali per cui la Svizzera ha “incorporato” le criptovalute in modo così efficiente nel suo codice legale è legato alla classificazione di queste ultime come asset class a sé, piuttosto che come strumento finanziario, rendendo il loro trattamento alla pari con altri asset come il real estate o l’oro. Di conseguenza, in Svizzera le società di asset digitali sono riuscite ad ottenere in maniera agevole licenze bancarie e costituire fondi di investimento autorizzati.

In Europa, la Direttiva sui Mercati delle Criptovalute dell’Unione Europea(MiCA) – una legislazione chiave sulla quale il blocco unico lavora attivamente dal 2020 – dovrebbe essere finalizzata ad aprile, mentre il Regno Unito ha svelato i propri piani questo mese per regolamentare le società di asset digitali secondo le leggi attualmente vigenti nel settore finanziario tradizionale.

Sebbene in alcuni casi le legislazioni stabilite da questi Paesi possano limitare o regolamentare in maniera importante l’industria, una regolamentazione certa e chiara, seppur severa, è meglio di una situazione di incertezza.

Durante il 2023 (dati a metà febbraio), il settore degli asset digitali a livello globale ha sinora raccolto 449M USD di funding da investitori attivi nel mondo del Venture Capital; gli investimenti in aziende o progetti attivi negli Stati Uniti ammontano a circa il 40% del totale (mantenendo il primato in questa metrica dal 2020), ma in ribasso dal 57% dello stesso periodo dell’anno scorso; allo stesso tempo, l’ammontare di investimenti raccolti da progetti europei è passato dal 5.7% del 2022 all’attuale 25% circa (come mostrato nel grafico sotto).

Risulta certamente prematuro parlare di un cambio di tendenza, tuttavia ci sembra opportuno sottolinearlo come un elemento in più che merita di essere monitorato con attenzione.

Chiudiamo con un tweet provocatorio che riporta l’auspicio di Ryan Selkis, fondatore di Messari, primario provider di dati definito “il Bloomberg degli asset digitali” che annovera tra i suoi investitori Samsung Digital ed i rinomati fondi hedge Point 72 e Brevan Howard Digital.

https://twitter.com/twobitidiot/status/1625520998345846784

Approfondimento a cura di Andrea Accatino e Alban Zerweck

Lugano, 26/02/2023

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