Chi ci legge avrà notato che mettere in relazione ambiti tra loro all’apparenza lontani è una modalità alla quale ricorriamo di frequente per comprendere un fenomeno a tutto tondo. In questo senso, l’evoluzione e le conquiste in ambito tecnologico influenzano le più disparate sfere dell’agire umano. Una curiosa intersezione è quella tra tecnologia e filantropia per esplorare la quale abbiamo rivolto il nostro sguardo al mondo accademico ed in particolare a Giuseppe Ugazio, titolare della Cattedra Edmond de Rothschild in Filantropia Comportamentale presso l’Università di Ginevra, con alle spalle due dottorati in Filosofia e in Neuroeconomia presso l’Università di Zurigo. Utilizzando metodi sperimentali interdisciplinari, Ugazio esplora i meccanismi di controllo affettivo, cognitivo e comportamentale che supportano il processo decisionale sociale. Nello specifico, la sua ricerca si concentra sulla comprensione di come questi meccanismi decisionali competono e interagiscono per guidare le scelte legate alla filantropia. Il suo studio si focalizza anche sullo sviluppo di strumenti legati all’intelligenza artificiale (AI) per lo studio dei valori morali e delle emozioni negli sforzi prosociali. Giuseppe è anche attivo nell’insegnamento della filantropia in quanto co-direttore del programma di formazione executive DAS in Strategic and Operational Philanthropy.
Partendo da questi presupposti, assieme a lui abbiamo esplorato la frontiera tecnologica vista dalla prospettiva dei suoi impatti sull’universo filantropico, analizzando quali sono le innovazioni che più di tutte stanno ne cambiando la morfologia e i punti di attenzione che fin da queste fasi embrionali ha senso avere ben chiaro in mente.
Giuseppe, quali sono le tecnologie che maggiormente stanno impattando e modificando il mondo della filantropia?
Anzitutto, va premesso che la tecnologia, soprattutto ciò che ha a che fare con il digitale, mette a disposizione una serie di strumenti non ancora sfruttati da molte organizzazioni filantropiche. Basti solo pensare che, attualmente, esistono circa 17.000 fondazioni, associazioni, enti filantropici in Svizzera ma solo 4.000 di queste hanno un sito Internet. Probabilmente, questo fenomeno è spiegabile anche attraverso le lenti della riservatezza e dell’anonimato: spesso, in Svizzera il filantropo tende a donare senza pubblicizzare il proprio impegno, al contrario di altri mercati, come gli Stati Uniti, dove le tecniche di marketing e comunicazione legate a questo mondo sono ampiamente sviluppate.
A livello di ricerca universitaria siamo comunque interessati ad approfondire la relazione tra tecnologia digitale e filantropia, dimostrando che ci sono diversi strumenti innovativi che possono aiutare la filantropia: stiamo parlando di virtual reality, machine learning, big data. Noi guardiamo soprattutto a big data e in questo ambito abbiamo creato un database che raggruppa le informazioni chiave sulle fondazioni che attualmente esistono, attingendo da un sito internet gestito dalle Autorità federali di controllo degli enti filantropici dove sono reperibili gli statuti e i dati anagrafici delle stesse. Lo studio degli statuti delle fondazioni è stato fatto applicando il metodo del natural language processing, un sistema di intelligenza artificiale in grado di riconoscere le parole e trasformarle in numeri per codificare l’importanza di ogni termine all’interno di un documento in relazione a tutto il corpo di parole che esistono nello stesso. Tramite questo approccio, abbiamo mappato gli ambiti in cui lavorano le organizzazioni filantropiche e per quali motivi: in questo modo comprendiamo il significato emotivo di alcune parole, così come analizziamo i riferimenti a giudizi morali. Questo è uno degli ambiti su cui ci stiamo maggiormente focalizzando.
Allo stesso tempo, stiamo lavorando su un progetto di ricerca per studiare quali tipi di AI siano già in uso da enti filantropici o potrebbero essere usati, per esempio, per misurare l’impatto, per gestire database, per gestire interazioni con potenziali finanziatori, ma anche per delineare i principi etici che la filantropia dovrebbe promuovere nel processo di sviluppo degli algoritmi mediante i quali l’intelligenza artificiale possa poi generare output eticamente allineati ai nostri valori. In quest’ambito, stiamo portando avanti un progetto di ricerca che riguarda l’efficacia persuasiva della realtà virtuale comparata con i più tradizionali video pubblicitari veicolati dalla televisione con lo scopo di raccogliere fondi: in questo caso specifico abbiamo notato che la realtà virtuale ha degli effetti marginali. L’esperimento consisteva nel sottoporre ai partecipanti lo stesso materiale attraverso un visore di realtà virtuale o in maniera tradizionale. Il gruppo che ha ottenuto informazioni attraverso i visori di realtà virtuale ha donato di più in confronto a quelli che hanno guardato lo stesso video senza visori, ma la differenza è comunque abbastanza ridotta. Questi benefici vanno quindi messi in relazione con i costi necessari per sviluppare contenuti in realtà virtuale per valutarne la convenienza.
Esistono degli esempi che possono essere presi come punti di riferimento in questo ambito? Realtà, anche al di fuori della Svizzera, che prendono spunto dalla ricerca accademica e poi introducono concretamente questi strumenti tecnologici e innovativi in una fondazione filantropica, ad esempio nell’ambito della raccolta fondi?
In Svizzera, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), con cui abbiamo collaborato per questo studio, sta esplorando concretamente la possibilità di usare la realtà virtuale per scopi di raccolta fondi. La CICR ha già familiarità con questi strumenti: l’intelligenza artificiale viene già utilizzata nell’ambito dei training interni rivolti ai medici legali e, adesso, si sta provando ad adattare tale format all’ambito delle donazioni.
Oltre alla raccolta fondi, alcune fondazioni utilizzano l’AI con altre finalità come, ad esempio, gestire i database interni. Ancora, l’organizzazione Altruistic League applica l’intelligenza artificiale per creare strumenti che rendano obsoleto chiedere ai beneficiari di scrivere rapporti sulle loro attività che, spesso, richiedono un gran quantitativo di tempo che potrebbe essere utilizzato in modo più efficiente. Si cerca quindi di bypassare la stesura del report e viene utilizzata l’AI per monitorare indicatori come la stampa locale o le interazioni sui social network al fine di costruire un indice di efficacia dell’organizzazione o per trovare nuovi potenziali beneficiari.
Lilia Chuliaraki, professoressa in Media e Comunicazione presso la London School of Economics, nell’ormai lontano 2006 ha pubblicato uno studio sul distacco che si sviluppa nello spettatore di una pubblicità che ha lo scopo di fundraising filantropici. A lungo andare si diventa insensibili alla call to action e si smette di donare. C’è qualche analogia anche con la realtà virtuale?
Assolutamente sì. Nell’esperimento che abbiamo portato avanti ci sono stati dei partecipanti che, poiché provenivano loro stessi da zone di conflitto, non sono riusciti a completare l’attività. Sappiamo che sono numerosi gli effetti che questo genere di sollecitazioni provocano sul comportamento di chi le riceve: c’è l’effetto della “goccia nell’oceano”, per cui ci si rende conto che la potenziale donazione è talmente piccola da non poter innescare un cambiamento e ci si sente sopraffatti al punto che non si dona per niente per senso di inutilità. Altri, invece, ricevendo troppi stimoli maturano un’insensibilità alla sofferenza come meccanismo protettivo, con il medesimo effetto sulle donazioni. Per questo motivo, alcuni trovano che l’utilizzo delle emozioni negative sia più efficace di quelle positive al fine della raccolta fondi. In sintesi, gli studi condotti in questi ambiti sono al momento ancora pochi e danno risultati controversi.
Restando all’interno del rapporto tra tecnologia e filantropia, si parla tanto in questi giorni di intelligenza artificiale (AI) e degli impatti che può avere sui diversi ambiti del sapere: cosa possiamo dire del rapporto tra filantropia e AI? Ci sono questioni etiche che devono essere affrontate in queste fasi iniziali di grande entusiasmo attorno al fenomeno?
Sul tema dell’intelligenza artificiale, in questi giorni stiamo cercando di distribuire un sondaggio per le Fondazioni, ma fino ad ora abbiamo raccolto poche risposte e tutte confermano che nessuno usa l’intelligenza artificiale: quindi possiamo dire che il rapporto tra i due mondi al momento è ancora poco strutturato. Proprio per questo motivo abbiamo deciso di focalizzare la nostra ricerca in tale ambito, per capire se ci sono nuovi modi in cui l’intelligenza artificiale possa diventare utile alle organizzazioni filantropiche e, allo stesso tempo, per immaginare il ruolo che queste ultime possano avere nel determinarne lo sviluppo.
Ritornando sul tema etico: sappiamo che l’intelligenza artificiale può aiutarci a riconoscere dei patterns nei dati e che i dati medesimi sono biased, non obiettivi. Basti pensare che, per ragioni legate agli strumenti a disposizione, abbiamo molti più dati del mondo digitalizzato rispetto a quelli dei paesi in via di sviluppo. L’intelligenza artificiale tende, inoltre, a prediligere gli uomini sulle donne e alcuni tipi di etnie su altre. Quindi, sappiamo bene che i problemi di natura etica ci sono e vanno affrontati.
Con lo sviluppo dell’AI, inoltre, si amplifica una dinamica che in inglese viene definita “winner takes it all”, un po’ come è successo con Amazon che ha fagocitato negli anni tutti i concorrenti più piccoli riuscendo ad utilizzare la tecnologia in maniera migliore. Qui c’è lo stesso problema: una volta che viene creato o individuato un algoritmo vincente, è molto difficile che venga poi contrastato. Il corto circuito si crea nel momento in cui le persone che più possono beneficiare della tecnologia AI sono anche quelle maggiormente escluse dall’utilizzo di questa, poiché non hanno accesso a piattaforme digitali o strumenti tecnologici in generale.
Passando ad approfondire un altro ambito in cui sei impegnato a livello di ricerca, ovvero l’economia comportamentale e le considerazioni che influenzano preferenze morali, e il loro ruolo nel fundraising: quali fattori entrano in gioco nella scelta dei progetti da sostenere? Che ruolo giocano le emozioni nella scelta di una causa da supportare a livello filantropico?
Anzitutto, è importante sottolineare che la massimizzazione dei ritorni economici è raramente stato uno dei driver nella scelta dei progetti da sostenere. Tale scelta è influenzata maggiormente dai propri valori morali, quindi se io ritengo che l’educazione sia un settore prioritario su cui investire, probabilmente farò un progetto filantropico in quell’ambito. Anche le motivazioni personali ed emotive sono un driver potente, si pensi al caso specifico di Carlos Slim, che sovvenziona fortemente il Broad Institute di Boston per la ricerca su malattie genomiche che affliggono poche persone al mondo. Tuttavia, vi è anche un movimento come Effective Altruism, basato sull’etica dell’utilitarismo di Peter Singer, che intende far passare un messaggio specifico: è meglio scegliere una causa che permetta di aiutare più persone possibile. Siamo quindi inclini a donare o sovvenzionare cause che ci toccano direttamente.
I valori morali e le emozioni sono due dei fattori che più influenzano la decisione di fare una donazione. Dal punto di vista della psicologia e dell’economia comportamentale ci sono una serie di patterns che possiamo riconoscere e che possono spingere qualcuno a far filantropia in un certo ambito o in una certa regione geografica. Questo talvolta non genera i vantaggi auspicati: se pensiamo alla guerra in Ucraina vediamo che moltissimi fondi sono stati destinati a questa causa, in primis perché è un paese in Europa e quindi più vicino a noi e poi perché la comunicazione al riguardo è stata veicolata in maniera molto forte. Tuttavia, esistono altri conflitti della stessa natura in altre zone geografiche dei quali nessuno parla e che non ricevono il supporto necessario. I limiti cognitivi qui giocano un ruolo importante poiché ci spongono a pensare che è più facile voler aiutare qualcuno che è più vicino o simile a noi.
In Italia questo trend è molto forte in ambito filantropico: molto spesso si vuole avere un impatto nel proprio territorio. Questo si connette di conseguenza con il voler fare attività filantropiche a livello molto locale, perché si ha l’impressione di poter controllare meglio i fondi o di poter vedere immediatamente un impatto rispetto al donare ad una realtà molto lontana che invece ti si ti scollega. Anche in Svizzera si ritrova in questo senso?
Certamente, anche in Svizzera rileviamo questo trend. Tutte le organizzazioni operative che fanno fundraising cercano di ottenere fondi che non siano destinati specificamente a un progetto ma che coprano piuttosto dei costi generici. Il problema è che è molto difficile fare una campagna efficace quando non è dedicata a un progetto in cui il donatore ha la percezione di essere in controllo. Questo approccio, però, può rendere inefficace l’operazione poiché l’organizzazione si può trovare in una situazione in cui ha troppi fondi destinati a un progetto e troppi pochi per un altro che ha ugualmente bisogno di essere sostenuto. Infine, c’è il tema della trasparenza: i filantropi vogliono e hanno diritto ad avere tutte le informazioni possibili riguardo la loro donazione, in che modo vengono gestiti i fondi, in che modo vengono decisi i programmi da finanziare.
Questo si ricollega al discorso sulla AI: se vogliamo avere algoritmi che ci aiutano a far scelte che hanno un impatto sociale positivo, bisogna promuovere la virtuosità della trasparenza per massimizzare il supporto, capire quale approccio funziona e individuare chi sta già facendo qualcosa in maniera innovativa. La trasparenza aumenta la fiducia.
Quindi se dovessimo individuare una parola chiave per individuare di che cosa ha bisogno il mondo della filantropia per fare un ulteriore passo in avanti, sia dal punto di vista della raccolta che dal punto di vista degli impieghi, possiamo dire che è proprio “trasparenza”?
Assolutamente sì. Trasparenza e volontà di collaborare, secondo me, sono due valori che in filantropia sarebbero tanto utili quanto purtroppo raramente praticati.
Approfondimento a cura di Beatrice Marzi
Lugano, 23/04/2023