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Endgame

«La natura fondamentale della materia può davvero essere l’anarchia? La stabilità e l’ordine del mondo possono essere solo un equilibrio dinamico temporaneo raggiunto in un angolo dell’universo, un vortice di breve durata in una corrente caotica?»  (Cixin Liu, Il problema dei tre corpi)

Nelle ultime settimane c’è stata una serie di eventi che ha destato l’attenzione degli analisti e degli osservatori di politica estera: dalle dichiarazioni di Macron a margine della sua visita in Cina, che ripropongono il tema dell’autonomia strategica dell’Europa rispetto alle scelte dell’ingombrante alleato statunitense, a quelle di Lula che in visita a Shangai ha esortato i paesi BRICS a sviluppare una nuova valuta e allontanarsi dal dollaro, fino al tour del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov in America Latina. Ma non solo.

Come abbiamo visto anche in precedenti approfondimenti, lo smarcamento dall’egemonia statunitense è uno spartito che molte nazioni stanno ormai provando a suonare, mettendo in discussione quell’ordine basato sulle regole che ha in Washington il suo fulcro[1].

Con lo scritto di oggi, dunque, intrecceremo in uno schema generale la serie di recenti notizie che delineano ulteriormente la transizione di potenza da un Occidente in declino a un Resto del mondo in ascesa.

Premessa di ordine generale

All’indomani della Seconda guerra mondiale, gli USA avevano ogni sorta di argomento per convincere il mondo, compresi i Paesi in via di sviluppo, che il capitalismo avrebbe offerto prosperità a tutti. Argomenti che risultavano viepiù convincenti dal confronto col sistema socialista della Russia sovietica. Oggi, non vi è più alcun confronto ideologico tra blocchi. La ribellione al cosiddetto “ordine internazionale” ha come protagonisti Paesi che si sentono minacciati e soffocati dall’architettura del potere occidentale. Washington non ha più forti argomenti per giustificare l’adesione al blocco USA – Nato se non l’esplicita rivendicazione del proprio ruolo di egemone mediante i due pilastri della propria proiezione di potenza: l’esercito e il controllo del sistema finanziario mondiale (hard power). A questi si aggiungono elementi di soft power come il controllo dei media. 

Gli USA sono la potenza militare più forte del pianeta ma se si combina il potenziale militare di Russia e Cina, appare evidente come il predominio in questo molto particolare ranking, non sia davvero cosi scontato.

Il dollaro è stato utilizzato dagli Stati Uniti come strumento strategico ed è diventato un pilastro dell’egemonia statunitense accanto alla potenza militare. Il governo degli Stati Uniti lo ha sempre più “armato”. In risposta alla guerra della Russia con l’Ucraina, gli Stati Uniti hanno congelato le riserve in dollari della banca centrale russa (fino a USD 300 miliardi). Per essere chiari, questi non erano beni americani ma erano dollari di proprietà della banca centrale russa e del popolo russo. Il sequestro aveva lo scopo di provocare corse agli sportelli e far crollare il sistema creditizio russo. Questa strategia non ha funzionato e ha messo in luce la possibilità che l’amministrazione Biden arrivi a violare il principio della proprietà privata, pietra miliare del capitalismo,  su trilioni di dollari che gli stranieri vantano di diritto. Oggi russi, domani magari sauditi o di qualsiasi altro stato che si possa trovare in disaccordo, strutturale o momentaneo, con la linea atlantica. Questo genere di precedente è una cesura geopolitica probabilmente piu’ importante della guerra stessa.

La de-dollarizzazione diviene, quindi, cruciale e tendenza generale per quei Paesi che non vogliono incorrere in possibili sanzioni[2].

Qual è il piano di gioco?

Gli USA non possono davvero andare contro la Cina finché non neutralizzano la Russia, rompendo la nuova simbiosi che si è creata a seguito del disaccoppiamento tra Russia ed Europa.  Di contro, la Russia non può essere neutralizzata con uno scontro diretto senza mettere a repentaglio il mondo intero.

Il protrarsi del conflitto in Ucraina oltre ogni ragionevole limite di uomini e mezzi, come una piaga sul fianco dell’orso russo, dovrebbe avere dunque lo scopo di dissanguare la Russia e provocarne la destabilizzazione per arrivare ad una sua frammentazione. Processo che, ad esempio, secondo il manifesto di Danzica stilato dagli oppositori del Cremlino favorevoli alla disgregazione della Federazione Russa, dovrebbe portare alla nascita di 35 Stati indipendenti, i cui confini sono stati ridisegnati in base a criteri etnici o culturali in aperto conflitto con la canonizzazione federale russa[3].

Per prevalere e sopravvivere, l’Impero americano, secondo la strategia di una parte degli apparati americani, deve quindi sconfiggere la Russia in Europa e farla uscire dal calcolo dello scontro finale con la Cina e, innescando i due pilastri di proiezione di potenza di cui sopra, rimettere in riga tutti i paesi riottosi ad accettare ancora il suo dominio.

Il problema per Washington è che il piano non si sta realizzando. Se la Russia cade, la Cina è la prossima. Quindi è nell’interesse vitale di Pechino mantenere la Russia in gioco e viceversa. Qui sta tutta la partita.

Conseguenze

Una prima evidenza, che il conflitto in Ucraina ci consegna è che la Russia si sta staccando dall’Occidente. La nuova alleanza principale sull’Heartland è tra Russia e Cina, con tutto ciò che comporta per entrambe. In breve, per la Russia: accesso a un enorme potenziale industriale e umano, accesso ad un mercato immenso, accesso a vaste rotte commerciali (Belt Road Initiative), retroguardia sicura che consente alla Russia di concentrarsi sulle frontiere con l’Europa, sostegno diplomatico, cooperazione spaziale, tecnologia digitale e proxy per l‘accesso al sistema finanziario occidentale. Per la Cina: risorse quasi illimitate, tecnologia militare, accesso alla tecnologia spaziale, accesso alla tecnologia nucleare, supporto sulla questione Taiwan, un nord sicuro, aiuto a risolvere il conflitto sino-indiano, esperienza tattica e strategie militari.

Come riporta Reuters, il presidente russo Vladimir Putin ha incontrato a metà aprile a Mosca il ministro della Difesa cinese Li Shangfu ed entrambi hanno confermato la cooperazione militare tra le due nazioni ed hanno dichiarato una partnership “senza limiti”. Leggendo tra le righe, è altamente probabile che questa comprenda il trasferimento della tecnologia ipersonica russa ai cinesi, che così si garantiscono una cintura di sicurezza di 3000 km dalle loro coste, nettamente superiore al raggio d’azione della missilistica USA, rendendo estremamente difficile a questi ultimi fare di Taiwan un baluardo militare anticinese[4]. Quel che sembra emergere da questo incontro è una simbiosi di grande magnitudine, quanto a risorse in gioco. L’attuale amministrazione americana ha indubbiamente riaffermato la propria egemonia sull’Europa ma ha altresì liberato il vero Kraken: una massa umana industrializzata, ordinata, corrispondente ad 1/5 della popolazione mondiale, etnicamente compatta e altamente militarizzata che va ora a saldarsi con la Russia. En passant, ricordiamo che tale alleanza si allarga ad un Paese altrettanto militarizzato e compatto come l’Iran. A corollario, l’effetto psicologico è che l’esercito americano fa meno paura ai Paesi critici verso gli Stati Uniti. Vacilla il primo pilastro.

La seconda evidenza sul fronte europeo ci permette di meglio contestualizzare la visita di Macron in Cina: venuta meno la possibile realizzazione della temuta alleanza strategica tra Germania e Russia[5] e, con l’ascesa della Nuova Europa a guida polacca, si è determinato il tramonto della leadership dell’asse franco-tedesco. 

Francia, Germania e Stati Uniti stanno sperimentando una serie di tensioni. Pietra dello scandalo è l’Inflation Reduction Act (IRA), un pacchetto da USD 369 miliardi di sussidi verdi e agevolazioni fiscali che Parigi e Bruxelles hanno criticato come mossa protezionistica in violazione delle regole del commercio globale.

Oggi, gli USA, che ricordiamo essere il secondo più grande importatore di merci tedesche, si stanno reindustrializzando, soprattutto imponendo agli alleati europei la green economy. Attualmente, gli Stati Uniti risultano gravati da un deficit commerciale stratosferico (USD 948,1 miliardi nel 2022) e da una posizione finanziaria netta tremendamente negativa (USD 16,710,798 miliardi al terzo trimestre 2022), non dispongono di un tessuto industriale degno di nota quantomeno dagli anni ’80, producono quasi esclusivamente servizi e importano ogni genere di prodotto attraverso la stampa a ciclo continuo di dollari. Costringendo l’Europa a diventare green, l’America si assicura che questa perda competitività deindustrializzandosi. Con l’Inflation Reduction Act, il Presidente Biden ha introdotto una legge con cui finanziare con una grande quantità di denaro le aziende che producono tecnologia verde negli USA. Il disegno statunitense è talmente scoperto che emissari del Michigan, della Georgia, della West Virginia, dell’Ohio e di altri Stati federali hanno recentemente compiuto un vero e proprio tour europeo allo scopo di convincere le industrie del “vecchio continente” di rilevanza strategica a rilocalizzare la produzione in territorio statunitense[6].

Con il passaggio alle auto elettriche, che l’inflazione dei prezzi dell’energia ha accelerato, i capitalisti europei, in particolare tedeschi, sono rimasti molto indietro rispetto alle loro controparti americane e cinesi nella corsa all’intelligenza artificiale e ai software che collegano l’auto al cloud, su cui i tedeschi non sono riusciti a investire negli ultimi decenni.

Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, è stato particolarmente duro con gli Stati Uniti, accusando Washington di usare la guerra della Russia in Ucraina per imporre il suo “dominio economico” e di violare le regole del libero mercato con il suo massiccio pacchetto di sussidi. All’inizio di questo mese, ha affermato che l’Europa dovrebbe, proprio come gli Stati Uniti e la Cina, mettere al primo posto i propri interessi industriali e smettere di obbedire al dogma del libero scambio[7].

È questo il contesto delle dichiarazioni di Macron durante la sua visita in Cina sintetizzabili nel messaggio che essere alleati non significa essere vassalli degli USA. A tal proposito, va ricordato che negli accordi di Aquisgrana tra Francia e Germania del 2019 si stabilì che il riferimento per la politica economica fosse la Germania, mentre il riferimento per la politica estera doveva esser la Francia. Ciò si traduce nel fatto che quanto detto da Macron a Xi è da intendersi del tutto condiviso dalla Germania, così come quanto dichiarato durante il viaggio di ritorno e riportato poi da Politico[8]. Il messaggio di Macron con dietro Scholz agli americani è che sebbene presi in contropiede con l’Ucraina, soprattutto la Germania, con la definitiva rescissione delle relazioni con la Russia e la perdita quasi totale della sua area egemonica scandinava-balto-slava, non hanno alcuna intenzione di farsi portare anche contro la Cina. Meglio ancora: Francia e Germania sanno dell’inaggirabile destino multipolare del mondo e pur volendo rimanere buoni amici con gli anglosassoni, vogliono proporsi come buoni amici anche delle nuove potenze in ascesa. Questo il senso dell’“autonomia strategica” richiamata dal presidente francese.

La terza evidenza è che per tutti coloro che non sono occidentali, il conflitto ucraino è un problema. In particolare, la coalizione BRICS è diventata il punto caldo della geopolitica

Dopo Macron con delega di Scholz, è stato il turno di Lula in Cina. Il Brasile, com’è noto, è la B di BRICS. All’inizio della sua prima visita di stato in Cina da quando è entrato in carica, in un appassionato intervento alla New Development Bank di Shangai, Lula ha invitato i paesi in via di sviluppo a lavorare per sostituire il dollaro USA con le proprie valute nel commercio internazionale, suscitando un forte applauso tra i presenti[9].

Il mese scorso, Pechino e Brasilia hanno rafforzato la cooperazione per regolare il commercio estero in yuan o reais brasiliani. In tal modo, le maggiori economie dell’Asia e dell’America Latina ridurranno notevolmente i costi eliminando una terza valuta.

La spinta di Lula alle ambizioni del Sud globale di Xi non dovrebbe essere minimizzata. Nel suo terzo mandato, Xi sta ponendo maggiore enfasi sulla trasformazione del Sud del mondo, dei paesi in via di sviluppo nelle regioni dall’America Latina all’Africa, dall’Asia all’Oceania, in una forza economica e diplomatica più grande. La visita del leader brasiliano ha pagato altri dividendi: Lula ha firmato la formulazione favorita sia da Mosca che da Pechino secondo cui, sull’Ucraina, i negoziati sono “l’unica via praticabile per uscire dalla crisi”, evitando le parole “invasione” o “guerra”[10].

Il superamento del sistema internazionale a guida americana e catalizzare consenso attorno al processo di de-dollarizzazione sono gli obiettivi anche del recentissimo grand tour del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov in America Latina, con l’evidente intenzione di sfidare l’egemonia di Washington nel proprio “cortile di casa”, mettendo in discussione la dottrina Monroe su cui si fonda l’influenza statunitense nel continente americano.

LA DOTTRINA MONROE
Questa dottrina prende il nome dal Presidente James Monroe e fu presentata nel suo messaggio al Congresso del 2 dicembre 1823: in essa Monroe proclamò che le Americhe dovevano essere libere da future colonizzazioni europee, così come dovevano essere libere dall’interferenza europea negli affari delle nazioni sovrane. L’impianto della dottrina, che era sostanzialmente difensivo, mutò nel 1904 quando, con il cosiddetto “corollario Roosevelt” (dal nome del Presidente Theodore, che portò gli USA in guerra con la Spagna per il controllo di Cuba), Washington rivendicò una sorta di “diritto di intervento” nelle questioni interne dei Paesi latinoamericani. Da allora, in pratica, l’America Latina è diventata il “cortile di casa” degli Stati Uniti. Da ciò deriva il preteso riconoscimento internazionale delle cosiddette “sfere di influenza” da parte delle grandi potenze, tra cui la Russia sul suo estero vicino.

L’incontro con il presidente Lula si è svolto a porte chiuse e non vi è stata alcuna dichiarazione alla stampa dopo l’incontro. Lavrov ha portato una lettera di invito del presidente Vladimir Putin affinché Lula partecipi a un forum economico a San Pietroburgo entro la fine dell’anno. Dettaglio questo molto importante e trascurato dalla gran parte media che servirà, secondo l’analista Andrew Korybko, da controprova alla serietà delle intenzioni di Lula, spesso schierato sulle posizioni ideologiche dei dem americani.

Il ministro Mauro Vieira, a sua volta, ha ribadito la posizione brasiliana a favore di un cessate il fuoco in Ucraina e lanciato un appello per una soluzione pacifica della guerra. Vieira ha anche affermato di aver ribadito la volontà brasiliana di facilitare la formazione di un gruppo di paesi per negoziare il cessate il fuoco, evidenziando il fatto che il Brasile è contrario alla pratica di adottare sanzioni unilaterali sulla scena internazionale.

Non solo, potrebbe esserci anche dell’altro dietro a questa visita. Secondo Emanuel Pietrobon di InsideOver, la Russia sta cercando di ottenere l’appoggio verdeoro per mettere fine all’isolamento diplomatico del Venezuela e contrastare la strategia statunitense della massima pressione nei confronti della cosiddetta “Troika della tirannia”, ovvero quello che per la Russia è il triangolo della resistenza rappresentato da Venezuela, Nicaragua e Cuba. Questi tre paesi hanno supportato la narrazione russa degli eventi bellici in Ucraina, insieme al resto del subcontinente hanno rifiutato ogni prospettiva sanzionatoria nei confronti della Russia, e costituiscono il nocciolo duro dell’antiamericanismo della regione. Questo è il ventre molle dell’America nelle Americhe[11].

In Venezuela, il capo della diplomazia russa ha tenuto diversi colloqui. In particolare, Sergey Lavrov ha incontrato il presidente venezuelano Nicolas Maduro e Mosca e Caracas hanno concordato di aumentare la cooperazione in vari campi. Il ministro ha promesso che la Russia aiuterà il Venezuela a liberarsi dalla dipendenza “dai capricci e dai giochi geopolitici degli Stati Uniti”.

In Nicaragua, Lavrov ha incontrato il presidente Daniel Ortega. I temi principali dei colloqui sono stati i temi del rafforzamento del partenariato tra i due paesi.

A Cuba si sono svolti negoziati con il Ministro degli Affari Esteri, nonché un incontro con il presidente cubano Miguel Diaz-Canel e il leader della Rivoluzione cubana Raul Castro. Sergey Lavrov ha osservato che le parti hanno sviluppato soluzioni per proteggere il commercio e gli investimenti dalle sanzioni. Secondo il ministro, Mosca e L’Avana stanno lavorando su ulteriori modalità per sviluppare la cooperazione commerciale ed economica.

E vacilla anche il secondo pilastro.

Ulteriore colpo inferto a Washington, Sergej Lavrov ha presieduto la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite attaccando frontalmente gli Stati Uniti a casa loro.  L’architetto della politica estera di Putin ha chiesto la fine dell’egemonia assoluta occidentale sulle Nazioni Unite, organismo pesantemente condizionato e usato per dare legittimità alle iniziative degli USA e della Nato, aprendo il consiglio di sicurezza ad altre realtà, asiatiche ed africane, che stanno emergendo in questo nuovo secolo, come ad esempio l’India che, oltre ad essere una potenza nucleare, è anche il paese più popoloso al mondo[12].

In conclusione, la domanda fondamentale è se si tratta solo dello scontro tra due blocchi con sviluppo disallineato o se da questo conflitto sistemico uscirà uno scenario socioeconomico che poggia su basi diverse.

Westfalia 2.0?

Poiché nessuno dei soggetti nazionali che si stanno ribellando all’ordine globale occidentale vuole che Russia e Cina prendano semplicemente il posto degli USA come egemoni, ne segue che lo scenario più probabile è un ordine multipolare non ruotante su un centro egemone. Da qui lo slittamento di paradigma, una sorta di Westfalia 2.0. Il sistema di Westfalia prevedeva che nessuna nazione dovesse interferire con le politiche di altre nazioni. Una prima fase di questa tendenza sono i recenti accordi tra Arabia Saudita, Cina, Russia per denominare i propri scambi nelle proprie valute. Ciò significa che, probabilmente, i paesi manterranno nelle loro riserve le reciproche valute. Indubbiamente, la valuta cinese giocherà un ruolo importante ma non significa che questa sostituirà il dollaro.

La direzione evolutiva del sistema monetario internazionale va nella direzione che più valute sovrane coesistano, si controllino, si bilancino a vicenda e svolgano congiuntamente l’importante compito di stabilizzare l’ambiente monetario e finanziario internazionale; c’è senza dubbio lo spazio per la creazione di una valuta sovrana multipolare (magari afferente al mondo BRICS, magari backed by commodities), oppure il progresso tecnologico magari porterà all’applicazione diffusa di una valuta digitale che sostituirà l’attuale sistema di fiat currencies: la decentralizzazione tecnologica come risposta ad un mondo geopoliticamente multipolare… Interessanti assonanze. Nessuno conosce il futuro e nessuno ha l’ambizione di prevederlo ma è fuori di dubbio che si prospettano davanti a tutti noi cambiamenti mai visti da almeno un secolo[13].

Chiudiamo con un ulteriore slittamento di paradigma, di tipo letterario stavolta. Il problema dei tre corpi (ed. Mondadori) è un romanzo di fantascienza dello scrittore cinese Liu Cixin, diventato famoso per essere stato il primo romanzo asiatico di sempre a vincere il Premio Hugo, prestigioso riconoscimento nel campo della fantascienza.

Liu Cixin porta nel panorama della fantascienza una visione molto originale e profonda, che riguarda la tecnologia e la sua interazione con le persone. Considerato uno dei migliori romanzi degli ultimi vent’anni, ci consegna un’immagine originale della Cina alla guida dell’umanità a confronto con realtà extraterrestri. Inoltre, vi troviamo un excursus sulla Rivoluzione Culturale cinese, una chicca che difficilmente sarà possibile trovare, specialmente per il tipico lettore occidentale, in altri romanzi di questo genere.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti

Lugano, 30/04/2023


[1] Cfr. Moretti, G., Wild Wild Rest, 17.03.2023 e 2023 Babel’s Chronicles, 10.02.2023, in “Side Views”, brightside-capital.com.

[2] Cfr. Seppo, N., De-dollarization goes on, April 2023, in Great Power Relation, 12.04.2023.

[3] Cfr. Rossi, A., Spezzatini di Russia in salsa ucraina, polacca e americana, in Limes, n. 1/23.

[4] Cfr. Ljunggren, D., Putin, Chinese defense minister hail military cooperation, in Reuters, 16.04.2023.

[5] Cfr. Mackinder, H., The Geographical Pivot of the History, 1904.

[6] Cfr. Gabellini, G., Inflation Reduction Act: l’Europa sotto assedio statunitense, in L’Antidiplomatico, 14.02.2023.

[7] Cfr. Leali, G., American takeover of French nuclear firm raises concerns in Paris, in Politico, 21.04.2023.

[8] Cfr. Anderlini, J., Caulcutt, C., Europe must resist pressure to become ‘America’s followers,’ says Macron, in Politico, 09.04.2023.

[9] Cfr. Leahy, J., Lockett, H., Brazil’s Lula calls for end to dollar trade dominance, in Financial Times, 13.04.2023.

[10] Cfr. Pesek, W., How Brazil’s Lula added a spring to Xi Jinping’s step, in Asia Times, 17.04.2023.

[11] Cfr. Pietrobon, E., È iniziata la battaglia dell’Atlantico: ora si muovono le super potenze, in InsideOver, 18.04.2023.

[12] Cfr. Masala, G., Ordine mondiale e il De Profundis delle “regole occidentali”, in L’Antidiplomatico, 26.04.2023.

[13] Cfr. Zhengrong, L., De-dollarization is general trend, but ‘de-weaponization of the dollar’ is more urgent, in Global Times, 21.04.2023.

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