A traffic jam when you’re already late
Alanis Morisette, Ironic
A “No Smoking” sign on your cigarette break
It’s like ten thousand spoons when all you need is a knife
It’s meeting the man of my dreams, and then meeting his beautiful wife
And isn’t it ironic, don’t you think?
Cos’è Bitcoin? Le risposte a questa domanda certamente non mancano ai suoi sostenitori: un sistema di cash peer to peer. Oro digitale. Uno strumento di copertura dall’inflazione monetaria. Un asset ESG? No, improbabile.
Una delle critiche più aspre che la comunità finanziaria (e non) ha sempre mosso a Bitcoin è stata quella legata al suo innegabile impatto ambientale; pertanto, sembra ironico associare a Bitcoin l’acronimo ESG (Environment, Social, Governance). Eppure, a farlo di recente non è un supporter dell’asset class ma un player del mondo finanziario neutrale rispetto al tema, KPMG, ovvero una delle “big four”, le quattro società di revisione contabile più grandi al mondo. La pubblicazione del report della società coincide con nuove ricerche sul tema da parte dell’Università di Cambridge e di Bloomberg, il principale provider di informazione finanziaria (che notoriamente non si è mai speso a favore degli asset digitali) che rivelano che l’impatto ambientale del Bitcoin è molto inferiore a quanto si pensasse in precedenza. Tutto questo, inoltre, avviene poche settimane dopo che Blackrock, il più grande asset manager al mondo e uno dei principali sostenitori delle politiche ESG (nonostante l’apparente dietrofront degli ultimi mesi) ha presentato domanda per un ETF spot sul Bitcoin. Con lo scritto odierno cerchiamo di analizzare gli ultimi sviluppi relativi all’attività di mining di Bitcoin, argomento che continua a dividere l’opinione pubblica in maniera molto netta e rispetto al quale, proprio negli ultimi mesi, sembra sia avvenuta un’inversione rispetto alla narrativa dominante degli ultimi anni.
Uno sguardo più approfondito
Riprendiamo un estratto del nostro scritto Electricity, pubblicato sul tema del consumo energetico di Bitcoin a maggio 2021 (proprio in concomitanza con il ban del mining da parte della Cina) per ricordare alcuni concetti centrali relativi a questa attività. Calcolare il consumo energetico di BTC è piuttosto semplice, grazie all’estrema trasparenza che caratterizza il mondo decentralizzato delle blockchain. Quest’ultimo infatti dipende dall’hashrate, ovvero dalla potenza di calcolo totale utilizzata dai miners per estrarre la moneta. Questa attività è responsabile per l’80-90% del consumo energetico legato alla criptovaluta, mentre i costi energetici relativi alle singole transazioni hanno un impatto marginale. Si stima che Bitcoin abbia impiegato, nel 2022, lo 0.37% del consumo di elettricità globale o 95.5 terawatt/ora.
Ciò che invece risulta più arduo stabilire con certezza è quanta anidride carbonica (CO2) viene emessa nel processo,e quindiquali sono le fonti (il mix) di energia utilizzate durante questa attività: gli ultimi dati disponibili a fine 2020 prodotti dall’Università di Cambridge (Cambridge Center for Alternative Finance o CCAF, uno degli istituti pioneristici in questo tipo di analisi) stimavano la percentuale di rinnovabili al 39% circa del totale.
Tuttavia, come riporta Bloomberg, analisi più recenti della business school inglese coadiuvata dalle ricerche di Coinmetrics (società che fornisce dati sul mondo degli asset digitali che annovera tra i suoi investitori Goldman Sachs) e dalle analisi di Daniel Batten, attivista noto per il suo supporto a favore delle tecnologie green nonché investitore venture capital, mostrano un quadro ancora più positivo in questo senso.
La ricerca congiunta di questi istituti ha permesso infatti di rivedere al ribasso le stime per il 2022 circa il consumo di energia da parte di Bitcoin a 95.5 terawatt/ora da 105.3, incorporando nelle analisi l’uso (che fino a quel momento era stato sottostimato) di fonti quali l’energia off-grid (energia prodotta in luoghi dove non è disponibile una rete di distribuzione) ed il gas di combustione, e riconoscendo altresì uno shift geografico verso reti a minore intensità di combustibili fossili. Le nuove analisi mostrano che, mentre la potenza di calcolo della rete Bitcoin (l’hash rate) è quadruplicata a oltre 385 exahash negli ultimi quattro anni, le emissioni di anidride carbonica sono aumentate solo del 6,9% (dettaglio sotto).
Un ruolo chiave nel miglioramento di questa metrica è stato certamente quello legato al divieto di mining imposto in Cina a metà del 2021: il grafico mostra chiaramente infatti che, attorno a quella data, le emissioni avevano raggiunto un picco di 60,9 megatoni di anidride carbonica equivalente (CO2e), per poi diminuire del 37,5% nei successivi due anni.
Emissioni in calo (linea blu nel grafico sopra) unite ad un aumento vertiginoso dell’hash rate (linea bianca) significano soltanto una cosa: il mining di Bitcoin sta consumando più energia rinnovabile nel suo mix. Il CCAF non ha ancora aggiornato le stime di gennaio 2022 sulla composizione delle fonti energetiche, ma le valutazioni più recenti indicano una maggiore dipendenza da fonti rinnovabili come l’idroelettrico, l’eolico, il solare e le fonti a zero emissioni come il nucleare. Batcoinz, la società di ricerca di Daniel Batten, stima che queste fonti sostenibili rappresentino ora il 53,65% del consumo energetico totale del settore, rendendo il mining di Bitcoin una delle industrie più “verdi” del pianeta secondo questa misura.
Il primo grafico sotto, tratto da Bloomberg, mostra come la dispersione geografica causata dal divieto di mining in Cina abbia catalizzato la spinta verso le fonti rinnovabili. Da metà 2021, l’uso di energia rinnovabile (in grigio) è aumentato mentre il dato relativo alle emissioni totali (in azzurro) è sceso o si è mosso lateralmente.
La seconda evidenza mostra invece le fonti di energia utilizzate dai minatori di Bitcoin, sia nella versione del CCAF di gennaio 2022 che nelle ultime stime di settembre di Batcoinz, che ipotizza appunto uno shift ulteriore verso l’uso di rinnovabili: con i costi energetici che rappresentano il 50% circa dei costi totali dei miners, questi ultimi in prima istanza sono incentivati a servirsi delle risorse più “economiche”, e già oggi il “Levelised Cost of Energy” o LCOE (una misura del costo netto medio della generazione di elettricità per un impianto nel corso del suo ciclo di vita) per molte rinnovabili sta scendendo al di sotto del livello di costo dei principali combustibili fossili (evidenza sotto da Deutsche Bank).
Una metrica alternativa
Un’altra lente sotto la quale analizzare la sostenibilità a lungo termine dell’industria del mining potrebbe essere quella che ne misura le emissioni e le paragona alla crescita del network di Bitcoin (secondo dati quali il numero di utenti, gli indirizzi attivi, il numero di transazioni e la capitalizzazione di mercato).
La tabella di seguito prova a mettere a confronto queste metriche con i dati relativi al “carbon footprint” del mining della criptovaluta sugli ultimi 5 anni. Sebbene numerosi indicatori di “network health” su questo orizzonte temporale siano in aumento in maniera piuttosto sostanziale (+110% cumulato per i trasferimenti giornalieri, +42% per il numero di utenti attivi, +335% per la capitalizzazione di mercato), questo incremento non è stato accompagnato da un “peggioramento” di magnitudine paragonabile nell’impatto ambientale di Bitcoin (emissioni per dollaro di capitalizzazione di BTC a -75% rispetto al 2019, emissioni totali in rialzo di appena +7%).
Una prospettiva diversa
Soltanto sei anni fa un articolo sul sito del World Economic Forum recitava in maniera ironica come il consumo di energia di Bitcoin sarebbe cresciuto in maniera incontrollata. Così non è stato tanto che, come menzionavamo nell’introduzione al nostro scritto, istituzioni finanziarie tradizionali stanno iniziando lentamente a prendere posizioni abbastanza opposte rispetto alla narrativa dominante fino a poco tempo fa.
Il rapporto di KPMG citato pocanzi si propone infatti, nelle parole dei suoi autori, di valutare gli impatti ambientali, sociali e di governance del Bitcoin, di mettere in luce alcuni “pregiudizi” che oggi ancora esistono sul tema nonché di mostrare un approccio creativo per l’utilizzo di Bitcoin nella transizione ESG. La conclusione degli autori può essere riassunta in queste parole: “Il Bitcoin sembra fornire una serie di vantaggi in un quadro ESG”. Questi vantaggi, che in parte erano già stati portati all’attenzione in passato da alcuni attenti osservatori ed investitori nel mondo degli asset digitali, tra i quali Nic Carter (che aveva pubblicato una ricerca sul tema su Harvard Business Review), includono i seguenti:
- Ottimizzare l’uso di energia: i minatori di Bitcoin possono attingere a qualsiasi fonte di energia, in qualsiasi momento e in qualsiasi parte del mondo e, generalmente, sono alla costante ricerca di energia a basso costo, che trovano sempre più nelle fonti rinnovabili meno utilizzate oggi, come l’idroelettrico, l’eolico, il geotermico e il solare. Poiché l’eolico ed il solare non offrono energia in modo costante durante 24 ore ma spesso la generano quando nessuno ne ha bisogno (la cosidetta stranded energy, o energia incagliata), i miners di Bitcoin possono fungere da “acquirenti di ultima istanza” ed efficientare il consumo energetico o, in certi casi, ridurne lo spreco.
- Stabilizzare le reti elettriche: la flessibilità nel consumo di energia da parte dei miners gli garantisce anche di ridurre molto rapidamente il consumo di quest’ultima in caso di eventi estremi: durante la tempesta invernale Uri avvenuta in Texas a febbraio del 2021, con le temperature che sono scese fino a -14°, i miners di Bitcoin in Texas (che sono una quota sostanziale, ovvero il 59% dell’hash rate totale proveniente dagli Stati Uniti) sono riusciti a ridurre prontamente i loro consumi e questo ha permesso di “restituire” alla rete 1500 megawatts di energia.
- Riduzione di metano: il metano è uno degli elementi che contribuiscono in modo più significativo al cambiamento climatico; secondo il rapporto di KPMG, il metano è un gas 80 volte più dannoso rispetto all’anidride carbonica, ed è responsabile per il 30% circa del fenomeno del riscaldamento globale. Generalmente il metano non viene rilasciato direttamente nell’atmosfera ma viene bruciato, tramite un processo denominato gas flaring (combustione di gas). Alcune aziende stanno trovando il modo di convertire questi gas in energia elettrica, che a sua volta viene poi utilizzata per il mining di Bitcoin. Questo processo offre il duplice vantaggio di ridurre le emissioni e, al conetempo, di “monetizzare” energia che altrimenti sarebbe andata sprecata.
Chiudiamo con un’interessante prospettiva fornita da Daniel Batten, che in un’intervista a Forbes ha spiegato come tutte le innovazioni climate-tech hanno una rilevante impronta di carbonio nelle fasi iniziali. L’energia solare, ad esempio, ha ripagato il suo “debito di emissioni di CO2” solo negli anni ’90, ovvero 40 anni dopo la sua invenzione. Batten, che considera Bitcoin una tecnologia ESG ideale, ritiene che non ci vorrà altrettanto tempo prima che la rete di BTC inizi a contribuire all’ambiente in modo positivo.
“Come esperto di tecnologia, sono abituato ad avere una visione a lungo termine quando valuto le credenziali ESG di un’innovazione”, ha dichiarato Batten. “Per me è chiaro che il Bitcoin può ripagare il suo “debito climatico” molto prima rispetto all’energia solare e, grazie alla sua capacità di mitigare l’impatto del metano, può addirittura aiutare a risolvere sfide più urgenti.”
Approfondimento a cura di Andrea Accatino
Lugano 08 ottobre 2023