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| | Geopolitica

The multiverse of madness

(foto: Dr. Strange in the Multiverse of Madness, film, 2022)

«Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’oltraggiosa fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine?»

(William Shakespeare, Amleto, Atto 3, scena 1)

“Sebbene questa sia pazzia vi è però in essa del metodo”. Questa è l’esclamazione che il Bardo fa pronunciare a Polonio, il ciambellano di Elsinore, reggia di Danimarca, mentre indaga sulla presunta follia del principe Amleto. Alla stregua di Polonio, in questo ultimo scritto geopolitico del 2023 ci proponiamo di fare il punto sui più importanti scenari di conflitto che coinvolgono l’Egemone e che infiammano, disgregano e ricompongono i tasselli di un mondo nel pieno della transizione di potenza verso il multipolarismo.

L’ipotesi che di seguito formuliamo nasce dal combinato disposto di analisi spesso contraddittorie che ci arrivano in ordine ai due principali teatri di scontro, Ucraina e Medio Oriente, ed è così riassumibile: l’ideologia che ispira da almeno un trentennio l’azione politica degli Stati Uniti è declinante e si è creata una profonda frattura in seno all’élite governativa.

La premessa da cui partire è che la politica dichiarata dalle forze armate statunitensi dagli anni ’90, ossia dalla fine della Guerra Fredda con la caduta dell’Unione Sovietica, è che gli USA debbano cercare di mantenere il controllo su ogni regione del mondo.

Ciò è stato affermato chiaramente nel 1992 dal Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti nella cosiddetta Dottrina Wolfowitz, dal nome di uno dei leader del neoconservatorismo americano che ancor oggi informa trasversalmente con la sua ideologia l’amministrazione statunitense[1]:

L’obiettivo [degli Stati Uniti] è quello di impedire a qualsiasi potenza ostile di dominare una regione critica per i nostri interessi e anche quindi di rafforzare le barriere contro il riemergere di una minaccia globale agli interessi degli Stati Uniti e dei nostri alleati. Queste regioni includono Europa, Asia orientale, Medio Oriente/Golfo Persico e America Latina[2].

I NEOCON
l movimento neoconservatore emerse negli anni ’70 attorno a un gruppo di intellettuali pubblici, molti dei quali furono influenzati dal politologo dell’Università di Chicago Leo Strauss e dallo storico dell’Università di Yale Donald Kagan. Tra i leader neoconservatori vanno inclusi Norman Podhoretz, Irving Kristol, Paul Wolfowitz, Robert Kagan (figlio di Donald), Frederick Kagan (figlio di Donald), Victoria Nuland (moglie di Robert), Elliott Abrams e Kimberley Allen Kagan (moglie di Frederick). Il messaggio principale dei neoconservatori è che gli Stati Uniti devono predominare nella potenza militare in ogni regione del mondo e devono confrontarsi con le crescenti potenze regionali che un giorno potrebbero sfidare il loro dominio globale o regionale, soprattutto Russia e Cina. A questo scopo, la forza militare statunitense dovrebbe essere posizionata in centinaia di basi militari in tutto il mondo.Il catalogo delle idee dei neocon è dunque questo: aumento delle spese militari (che sono spese poco produttive, specialmente in tempi di globalizzazione e di catene del valore); aumento esponenziale dei debiti privati e pubblici, con incrementi della liquidità monetaria, il tutto senza discipline fiscali e di bilancio; guerre infinite. I neoconservatori sostengono convintamente la necessità dell’allargamento della NATO all’Ucraina anche prima che questo diventasse la politica ufficiale degli Stati Uniti sotto George W. Bush, Jr. nel 2008.  

Europa e guerra in Ucraina

L’economista Jeffrey Sachs, direttore del Center for Sustainable Development alla Columbia University, ha descritto la guerra in Ucraina, culmine di un progetto trentennale, come “l’ultimo disastro neoconservatore”. Inoltre, ha espressamente denunciato l’ideologia neoconservatrice colpevole, a suo avviso, di promuovere disastrose avventure militari che hanno avuto come risultato la diminuzione dell’influenza degli Stati Uniti all’estero e, nel caso dell’Ucraina, il rischio di una guerra europea più ampia, concludendo con la necessità di mettere Ucraina e Russia al tavolo dei negoziati, con la NATO che si impegna a porre fine al suo impegno per l’allargamento verso est[3].

Il piano neoconservatore di circondare la Russia nella regione del Mar Nero da parte della NATO è quindi fallito. Vi sono una serie di eventi che hanno infranto le speranze dei neoconservatori per l’allargamento della NATO verso est, verso l’Ucraina, la Georgia e oltre.

Anzitutto, l’incrinarsi del sostegno in Europa alla strategia neoconservatrice statunitense: la Polonia non sostiene più convintamente l’Ucraina; l’Ungheria di Orban si oppone da tempo ai neoconservatori; la Slovacchia con la vittoria alle elezion parlamentari dei socialdemocratici nazionalisti di sinistra dell’ex premier filorusso Robert Fico assume una linea anti-neoconservatrice; i leader dell’UE hanno un tasso di disapprovazione molto più alto di quello di approvazione.

Altro fattore è il taglio del sostegno finanziario statunitense all’Ucraina. La base del Partito Repubblicano su posizioni isolazioniste, diversi candidati presidenziali repubblicani e un numero crescente di membri repubblicani del Congresso si oppongono a maggiori spese per l’Ucraina. Inoltre, guardando alle presidenziali del 2024, il fatto che Trump preceda Biden nei sondaggi negli stati chiave non fa altro che aumentare l’incertezza sulla traiettoria della politica statunitense.

Ulteriore segnale di crisi è evidenziato anche da una spaccatura tra leadership ucraina e personale militare, tanto profonda da spingere il presidente Zelensky ad annullare le elezioni. A determinare questa spaccatura è la sempre più alta probabilità di una vittoria schiacciante della Federazione russa con una significativa battuta d’arresto per gli Stati Uniti e la NATO. Le vittime dell’Ucraina sono centinaia di migliaia e l’Ucraina ha bruciato la sua artiglieria, le difese aeree, i carri armati e altre armi pesanti.

Inoltre, il fatto che media precedentemente schierati a favore dello scontro ad ogni costo con la Federazione russa stiano cambiando narrazione non può non destare un certo scalpore.

Su Foreign Affairs, ad esempio, l’ex presidente del CFR Richard Haass espone l’urgenza per esortare gli Stati Uniti e gli alleati a riorientare immediatamente la posizione dell’Ucraina da offensiva a difensiva. L’Ucraina e l’Occidente si trovano su una traiettoria insostenibile, caratterizzata da un’evidente discrepanza tra i fini e i mezzi disponibili[4]. Secondo Haass, gli Stati Uniti dovrebbero iniziare consultazioni con l’Ucraina e i suoi partner europei su una strategia incentrata sulla disponibilità dell’Ucraina a negoziare un cessate il fuoco con la Russia e a spostare contemporaneamente la sua postura militare da offensiva a difensiva. Kiev non rinuncerebbe a ripristinare l’integrità territoriale o a ritenere la Russia economicamente e legalmente responsabile della sua aggressione, ma riconoscerebbe che le sue priorità a breve termine devono passare dal tentativo di liberare più territorio alla difesa e riparazione di oltre l’80% del paese che è ancora sotto il suo controllo.

L’articolo prosegue facendo una serie di ammissioni sorprendenti rispetto alla narrazione fin qui diffusa: i responsabili della gestione dell’economia russa hanno dimostrato di essere resilienti, adattabili e pieni di risorse. I prezzi elevati del petrolio, guidati in parte dalla stretta cooperazione con l’Arabia Saudita, stanno riempiendo le casse statali.

Bloomberg ha recentemente confermato l’enorme surplus di 75 miliardi di dollari: la Russia ha esportato quasi tutti i suoi carichi di petrolio a un prezzo che ha superato il tetto massimo imposto dal G7 il mese scorso, l’ultimo segnale che le sanzioni occidentali non riescono ora a limitare l’accesso di Mosca ai petrodollari[5].

Infine, l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele e il conseguente conflitto a Gaza hanno attirato l’attenzione del mondo, relegando la guerra in Ucraina in secondo piano.

Qui la questione si complica.

Israele e Medio Oriente

Israele è un’estensione del potere geopolitico degli Stati Uniti in una delle regioni più importanti del mondo. Proprio l’attuale Presidente degli USA Joe Biden, nel 1986 quando era senatore, ebbe modo di affermare che, se Israele non esistesse, gli Stati Uniti dovrebbero inventarlo. Concetto ripetuto anche recentemente il 18 ottobre 2023.

Il Medio Oriente è strategico non solo perché vi sono le riserve di petrolio e di gas più grandi del mondo e l’intera infrastruttura economica mondiale si basa sui combustibili fossili, ma anche per le rotte commerciali: il Canale di Suez che collega il Medio Oriente all’Europa con un traffico di circa il 30% di tutti i container marittimi del mondo, circa il 12% del commercio globale. Poi, a sud del Canale di Suez, dove il Mar Rosso entra nel Mare Arabico, si trova lo Stretto di Bab al-Mandab, proprio al largo della costa dello Yemen e da lì transitano più di 6 milioni di barili di petrolio al giorno.

Poiché l’influenza degli Stati Uniti nella regione si è indebolita in un mondo sempre più multipolare, Israele è diventato sempre più importante per gli USA nel tentativo di mantenerne il controllo.

La Cina, infatti, è ora il principale partner commerciale di molti paesi della regione e, attraverso il progetto della Belt and Road Initiative, sta riportando il centro del commercio mondiale in Asia. In tale progetto, cruciale è la Nuova Via della Seta che collega Europa e Asia.

Così, l’America sostiene Netanyahu ed il Likud, a cui peraltro, come abbiamo già visto, si stanno opponendo gli israeliani non religiosi, il nucleo della popolazione che ha sempre diretto Israele sin dalla sua fondazione[6]. Dal 7 ottobre, gli Stati Uniti hanno seriamente rafforzato la propria presenza militare in Medio Oriente, schierando due gruppi d’attacco di portaerei, un sottomarino a propulsione nucleare vicino al Golfo Persico e più di 3.000 soldati aggiuntivi, portando il numero totale delle truppe statunitensi nella regione a circa 60.000.

Perché?  

Secondo l’economista Michael Hudson non sono lì per proteggere Israele ma per combattere l’Iran.

L’assalto di Hamas è stato definito l’11 settembre di Israele e, proprio come nel 2001, i neoconservatori stanno spingendo per trasformare questa crisi in una guerra regionale trascinando l’America in un altro intervento in Medio Oriente. Avevano bisogno di un fattore scatenante e Netanyahu l’ha fornito[7].

La stampa occidentale allineata all’amministrazione americana, infatti, sta demonizzando l’Iran come ha fatto precedentemente con la Russia per preparare l’opinione pubblica alla guerra non dichiarata contro Teheran. Quello che stiamo vedendo è che, dopo aver combattuto la Russia fino all’ultimo ucraino, i neocon sembrano voler aprire un nuovo fronte contro l’Iran fino all’ultimo israeliano. Nonostante la mancanza di prove di un coinvolgimento diretto, l’ala neoconservatrice del Partito Repubblicano continua a mobilitarsi per una nuova guerra: il senatore Lindsey Graham, uno dei principali falchi, ha affermato di non aver bisogno di prove per lanciare un attacco preventivo: “Quello che farei è bombardare le infrastrutture petrolifere iraniane”, ha detto alla CNN la settimana scorsa. Altrove, Elliott Abrams della Coalizione Vandenberg ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero “contemplare una sorta di reazione militare” contro l’Iran[8].

Nelle ultime cinque settimane, l’IDF è stato impegnato in scontri quotidiani con Hezbollah lungo il confine israelo-libanese e ha lanciato diversi raid aerei contro le milizie in Siria.

Secondo Reuters, il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha detto ad Hamas, quando si sono incontrati a Teheran all’inizio di novembre, che il suo paese avrebbe continuato a offrire sostegno politico e morale ma non sarebbe intervenuto direttamente nella guerra. Questo approccio cauto è stato ripreso in un recente discorso del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, in cui ha elogiato Hamas per la sua capacità di affrontare Israele da solo, e ha elogiato il suo gruppo per aver distolto l’attenzione di Israele coinvolgendo l’IDF nel sud del Libano. Per ora, i paesi arabi, così come la Turchia, sembrano seguire un approccio simile: parlare duro con Israele ma intraprendere poche azioni concrete[9].

Le due conferenze concomitanti, la Lega Araba e l’OIC (tenutesi contemporaneamente a Riyadh), in ogni caso, hanno sottolineato il completo collasso dell’immagine di Israele in tutto il mondo islamico. Parallelamente, in Occidente, nonostante la campagna mediatica a sostegno di Israele, la durezza eccessiva della sua reazione sta dividendo l’opinione pubblica occidentale causando ampie proteste.

Il 22 novembre, il Qatar ha annunciato un accordo di tregua tra Israele e Hamas di qualche giorno per lo scambio di alcuni degli ostaggi israeliani detenuti a Gaza con il rilascio di decine di prigionieri palestinesi[10]. Anche se la tregua tra Israele e Hamas fornirà un sollievo immediato sia agli abitanti di Gaza dilaniati dalla guerra che alle famiglie degli ostaggi restituiti, questo non è il momento di festeggiare. Netanyahu ha chiarito che la guerra continuerà finché non otterrà la “vittoria assoluta”. Ciò è profondamente preoccupante, non solo per il destino degli abitanti di Gaza, ma anche perché la guerra si sta già estendendo al resto della regione.

Conclusione

Più di quattrocento rappresentanti dell’amministrazione americana hanno firmato una lettera di critica al Presidente Joe Biden per la sua politica in Medio Oriente. L’iniziativa riguarda consiglieri e appartenenti a quaranta agenzie governative, tra cui il Dipartimento di Stato e l’Fbi.

Le divisioni interne e le imminenti elezioni presidenziali fanno sì che l’amministrazione Biden non abbia un chiaro piano di gioco e appaia, anzi, preoccupata dalle possibili escalation iraniane, tanto che, con una mossa controversa, ha concesso lo sblocco di circa 10 miliardi di dollari che l’Iraq deve all’Iran ma che non può pagare a causa delle sanzioni[11].

Perché? Principalmente perché gli Stati Uniti non sono pronti per una vera guerra su vasta scala, non hanno le munizioni o le risorse a posto, né hanno la determinazione, poiché c’è un ammutinamento in piena regola all’interno del Dipartimento di Stato mentre sempre più funzionari si dimostrano scettici verso le scelte adottate dall’attuale amministrazione.

L’opinione pubblica internazionale sta prendendo posizione critica nei confronti del governo Netanyahu Israele, con molti nelle strutture occidentali che ora credono che un cessate il fuoco e una sorta di soluzione politica siano la cosa migliore segnando, di fatto, un’ulteriore sconfitta dei progetti neocon.

Come già accaduto in una precedente Side Views, abbiamo fatto ricorso all’Amleto e poiché Shakespeare, evidentemente, è un autore in grado di raccontare, a un livello lirico sublime, di noi e di quello che siamo il suggerimento in chiusura cade su Chiedilo a Shakespeare. Gli antidoti del Bardo al mare delle nostre pene edito da Ponte alle Grazie. Qui, l’autore Cesare Catà ci accompagna per mano in un viaggio tra le opere di Shakespeare compiendo «un’esplorazione delle meraviglie e degli orrori che ci portiamo dentro come uomini». Dieci capitoli in cui affronta altrettanti testi (Sogno di una notte di mezza estate, Macbeth, Molto rumore per nulla, Enrico V, Otello, La tempesta, Antonio e Cleopatra, Amleto, Romeo e Giulietta, Come vi piace) cercando risposte al nostro vivere, interrogando Shakespeare come un testo sacro a cui applicare l’arte della bibliomanzia che consiste, appunto, «nel ricercare le soluzioni ai nostri quesiti» in un percorso di auto-conoscenza estremamente originale e proficuo.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti

Lugano, 26 novembre 2023


[1] Cfr.Aa.V.v., Neocons. L’ideologia neoconservatrice e le sfide della storia, ed. Il Cerchio, 2021.

[2] Cfr. https://www.archives.gov/files/declassification/iscap/pdf/2008-003-docs1-12.pdf.

[3] Cfr. Sachs, J., Ukraine is the latest neocon disaster, in Other News Voices against the tide, 27.06.2022; Cfr.  Burilkov, A., Satterwhite, W., The Case for American-Led Peace in Ukraine, in The National Interest, 21.08.2023.

[4] Cfr. Haass, R., Kupchan, C., Redefining success in Ukraine. A new strategy must balance means and ends, in Foreign Affairs, 17.11.2023.

[5] Cfr. A.a.V.v, Almost all Russia’s oil sold above the price cap last month, in Bloomberg, 16.11.2023.

[6] Cfr. Moretti, G., Chi è Keyser Soze?, in Side Views, brightside-capital.com, 22.10.2023.

[7] Cfr. Fang, L., Republican hawks now want a war with Iran. America’s neocons spy an opportunity in Israel, in UnHerd, 19.10.2023.

[8] Cfr. Norton, B., Why does the US support Israel? A geopolitical analysis with economist Michael Hudson, in geopoliticalenomy.com, 12.11.2023.

[9] Cfr. Aa.Vv, Insight: Iran’s ‘Axis of Resistance’ against Israel faces trial by fire, in Reuters, 16.11.2023.

[10] Cfr. Federman, J., Jeffery, J., Qatar announces Israel-Hamas truce for hostages deal that would pause Gaza fighting, bring more aid, in AP News, 22.11.2023.

[11] Cfr. Aa.Vv., Biden allows Iran to access another $10 billion amid Gaza war, in Iran International, 15.11.2023.

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