I’m not afraid
Eminem, I’m not afraid, 2010
To take a stand
Everybody
Come take my hand
We’ll walk this road together, through the storm
Whatever weather, cold or warm
Just lettin’ you know that you’re not alone
Durante l’ultimo anno e mezzo, nelle lettere a sfondo geopolitico, abbiamo approfondito più volte le tensioni, spesso sfociate in veri e propri conflitti, che stavano sconvolgendo gli equilibri esistenti nelle diverse zone del mondo. I numeri confermano una sensazione diffusa, ovvero che stiamo assistendo ad un pericoloso aumento degli eventi militari su scala globale: come sottolineato dal grafico riportato nella pagina successiva, tratto da un articolo del The Economist dal titolo “Why are Civil Wars lasting longer?”[1], nel 2021 erano 16 i paesi impegnati in due o più conflitti, mentre nel 2010 tale conto era fermo solamente a 4. L’attuale fase di transizione verso un mondo sempre più multipolare, caratterizzato da continue tensioni geopolitiche ma soprattutto da un grande livello di incertezza, impone quindi delle riflessioni attorno a come i portafogli reagiscono a queste situazioni, per non rischiare di farsi trovare impreparati.
Nella Side View di oggi concentriamo quindi l’attenzione sugli impatti che precedenti eventi bellici hanno avuto sulle diverse classi di attivi, cercando di portare in evidenza quale postura meglio si presta ad affrontare la volatilità che essenzialmente caratterizza situazioni di questa natura.
Guardando al passato più o meno recente, dato l’elemento di incertezza che porta con sé un evento come una guerra, la reazione iniziale (il “Next Day”) da parte del mercato e degli investitori è negativa, come dimostrato nella tabella sotto. Se però si allunga l’orizzonte temporale a 30 giorni, si noti come, in realtà, il mercato azionario tenda a scrollarsi di dosso l’impatto negativo iniziale e riporti in media delle performance positive.
Quindi, se da un lato la tabella qui sopra elaborata da Goldman Sachs indica che le emozioni in questi contesti rischiano, più di altre volte, di non essere buone consigliere (si sente spesso parlare di panic selling), dall’altro si vede come il rendimento azionario dalla data di inizio del conflitto al punto più basso possa essere motivo di preoccupazione per gli investitori con performance che vanno da -3% (nel caso dell’invasione dell’Iraq nel 2003) a -44% (durante gli anni della Seconda guerra mondiale). In base a quanto evidenziato, abbiamo cercato, utilizzando dati storici per le guerre prese in considerazione da Goldman Sachs dal 1970 in poi (aggiungendo il più recente conflitto in Medio Oriente), di ricreare la performance delle varie asset class (azionario, obbligazionario, oro e materie prime) in modo tale da ricostruire come le diverse asset allocation avrebbero reagito in media durante gli eventi presi in considerazione. In particolare, l’analisi si focalizza su un periodo temporale che va dai 30 giorni precedenti a 60 giorni successivi lo scoppio del conflitto rappresentato dallo “0” nel grafico che segue. Il grafico di seguito ci mostra la media delle performance delle diverse asset class durante i seguenti eventi:
- Hamas – Israele (2023)
- Russia – Ucraina (2022)
- Russia – Crimea (2014)
- US – Iraq (2003)
- US 9/11 (2001)
- Iraq – Kuwait (1990)
- Iran – Iraq (1980)
- Embargo petrolifero (1973)
Ad un primo sguardo balza subito all’occhio in modo evidente il ruolo dell’oro nei giorni immediatamente successivi al manifestarsi delle ostilità, con il metallo giallo che si apprezza in media del +4.6% in una settimana. L’oro tende a beneficiare dei momenti di incertezza poiché gli investitori tendono a evitare gli investimenti più rischiosi e a rifugiarsi in quelli che vengono definiti “safe Heaven assets” o “investimenti rifugio”. Molti investitori, persino i governi allocano oro nei loro portafogli come copertura durante scenari di avversione al rischio. Questo attivo funziona quindi come un’assicurazione. I conflitti armati possono infatti arrivare a stravolgere nel lungo termine le catene di approvvigionamento globali, mettendo in discussione lo status quo non solo dal punto di vista geopolitico, ma anche da quello industriale, impattando negativamente sulla fiducia negli strumenti finanziari. Per ridurre tali rischi, gli investitori tendono dunque ad aumentare la loro allocazione al metallo giallo, per le sue note proprietà di bene rifugio.
Un chiaro esempio di quanto riportato si manifesta con l’attuale situazione venutasi a verificare dopo lo scoppio del conflitto Hamas-Israele, dove il prezzo dell’oro è tornato a toccare nuovamente gli USD 2.000 all’oncia, valore che non raggiungeva dalla crisi delle banche regionali in America nel marzo scorso. In particolare, nei giorni successivi l’inizio delle tensioni, l’oro ha registrato una performance del +7.6% (superiore alla media del +4.6% che si è registrata per i precedenti conflitti presi in analisi).
Tra le dirette conseguenze di uno scoppio della guerra c’è anche l’aumento generale dei prezzi delle materie prime, e quindi, dell’inflazione. Il grafico sotto mostra come, generalmente, negli Stati Uniti l’inflazione si attesti su livelli il doppio più alti durante un conflitto rispetto ai tempi di pace.
Tornando al grafico “Asset Class performance pre e post war” si noti come l’indice sulle materie prime calcolato da Bloomberg (linea grigia) nei 60 giorni successivi all’inizio della guerra riporti, in media, una performance positiva del +3.2%. Rimanendo nella storia recente, la reazione dell’asset class nei 7 giorni successivi è stata del +11.1% e ancora più forte dopo 60 giorni con un apprezzamento del +14.7%.
Data la rilevanza della Russia nello scacchiere globale come esportatore di materie prime, lo shock derivato dall’invasione dell’Ucraina e le potenziali contromisure a livello di sanzioni, hanno portato i maggiori trading desk a speculare su possibili ripercussioni sull’offerta di materie prime come il grano (la Russia deteneva anteguerra il 37% dell’export mondiale) o il petrolio (terzo produttore al mondo nel 2021 con in mano il 12% della produzione mondiale). Questi dati aiutano a spiegare la sovra performance dell’asset class durante questo conflitto vis-à-vis la media storica durante i precedenti eventi presi in considerazione, come dettagliato nella tabella riportata qui.
Un tema d’investimento meno tradizionale, con un track record di minore rilievo ma senza dubbio di sicuro interesse, è il tema degli asset digitali e delle criptovalute; questi attivi sono spesso interpretati come alternativa alle valute emesse dai governi (le cosiddette fiat currencies) per la loro caratteristica di decentralizzazione, possono dunque attirare i flussi degli investitori quando la sfiducia nei confronti della politica si diffonde e senza dubbio durante periodi di guerra c’è questa possibilità. Si sente inoltre spesso parlare del Bitcoin come digital gold, ovvero come una riserva di valore nel mondo digitale allo stesso modo in cui l’oro lo è nel mondo fisico, per le sue caratteristiche di finitezza dell’offerta (21 milioni e non uno di più quindi impossibile da inflazionare, a differenza delle fiat currencies). Sebbene sia uno strumento estremamente volatile e relativamente recente data la sua introduzione che data 2009, il Bitcoin ha già dato prova dopo lo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia di poter avere un ruolo di protezione. Durante il mese di febbraio 2022 e in particolare in seguito all’invasione russa, la criptovaluta ha registrato una sovra performance rispetto all’oro.
Portfolio at war
Per completare l’analisi, lasciamo la chiusa a dei ragionamenti di asset allocation verificando come si comportano durante questi momenti di instabilità. In particolare, analizziamo due diversi portafogli bilanciati:
- 55% obbligazionario + 35% azionario + 10% oro
- 50% obbligazionario + 30% azionario + 10% oro + 10% materie prime
Il grafico qui sotto evidenzia chiaramente come l’allocazione che meglio si presta alla protezione del capitale sia quella rappresentata dalla linea grigia, ovvero quella che comprende al suo interno sia oro che materie prime. La volatilità e il calo iniziale dato dalla sottoperformance della componente azionaria e obbligazionaria sono attutite dalle contribuzioni positive che arrivano dall’oro (che protegge dallo shock geopolitico) e materie prime (che proteggono da un aumento delle aspettative di inflazione).
Che insegnamenti trarre quindi da questa analisi comparativa? Al di là delle considerazioni legate alla composizione dei portafogli e degli strumenti che meglio si prestano alla preservazione del capitale in situazioni come queste, l’evidenza più importante è legata al ruolo centrale del processo di costruzione di portafoglio: in un contesto in cui regna sovrana l’incertezza, in cui provare a prevedere il futuro è un esercizio difficile e spesso inutile, le fallace emotive ed il gut feeling rischiano infatti di non essere buoni alleati e di compromettere, anche irrimediabilmente, la tenuta di risparmi accumulati con tanta fatica negli anni. In questi frangenti, solo una costruzione di portafoglio attenta e “preventiva” (“più che prevedere, meglio essere pronti”) permette di dormire sonni tranquilli in mari così agitati e purtroppo sempre più frequenti.
Approfondimento a cura di Nicola Lampis
Lugano, 3 dicembre 2023
[1] https://www.economist.com/films/2023/04/18/why-civil-wars-are-lasting-longer