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| | Filantropia

Just an illusion

M. C. Escher – Relativity

Follow your emotions anywhere
Is it really magic in the air
Never let your feelings get you down
Open up your eyes and look around

Just an illusion – Imagination
In the heart of the night album, 1982

Essere filantropi rappresenta un impegno serio: può voler dire farsi carico di una causa, facilitare delle donazioni, prodigarsi per la raccolta fondi, agire da intermediari. Nonostante questo, è possibile e consigliato avvalersi del supporto di figure professionali che si occupano di diversi aspetti legati allo sforzo filantropico, come ad esempio del fundraising per le organizzazioni non-profit, al fine di assicurare trasparenza e la buona riuscita delle operazioni commerciali. Negli ultimi anni, grazie anche ai canali di comunicazione che hanno il potenziale di rendere ogni informazione virale, molti individui che hanno deciso di impegnarsi nel sociale sfruttando la loro grande visibilità mediatica hanno cercato di gestire direttamente attività di raccolta fondi o di donazione, dimostrando spesso scarsa conoscenza del settore no-profit e dei meccanismi che lo regolano. Come stiamo vedendo in queste ultime settimane, il comportamento erroneo di qualcuno può arrecare danni all’intero terzo settore, verso il quale già c’è scarsa fiducia proprio a causa della trasparenza che non sempre lo contraddistingue.

Nella Side Views di questa settimana, prendendo spunto da recenti vicende di cronaca, abbiamo messo a fuoco una dimensione centrale ma spesso sottovalutata della sfera filantropica, ovvero l’importanza della professionalizzazione del settore e del ruolo che gli intermediari possono avere in questo senso. Troppo spesso, infatti, agire direttamente crea solo l’illusione di fare il bene di chi riceve i fondi, che dev’essere il fine ultimo di ogni attività legata alla filantropia. Non è raro che l’effetto che deriva da azioni di questo tipo sia l’esatto opposto.

Tendenze

Il cambiamento all’interno del mondo non-profit in Italia sta avvenendo sotto gli occhi di tutti e stiamo assistendo a delle tendenze positive, incentivate dalle nuove leggi che disciplinano il settore e che depongono a favore di una spinta verso la professionalizzazione dello stesso. Ad esempio, è molto promettente l’eliminazione del salary cap: se prima di tale riforma, gli Enti del Terzo Settore (ETS) non potevano corrispondere ai dipendenti retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi esistenti per le realtà for-profit, ora tutti gli ETS avranno la possibilità di superare tale limite. È certamente un buon punto di partenza per incentivare le non-profit a ricercare talenti e retribuirli adeguatamente, concorrendo finalmente con i livelli di retribuzione tipici del settore for-profit. Certamente è un buono inizio, ma non possiamo pensare che sia uno sforzo sufficiente, anzi molto c’è ancora da fare.

Siamo infatti rimasti ancorati ad una logica disfunzionale che obbliga le non-profit a minimizzare i costi di gestione. In questo modo, le organizzazioni fanno a gara ad avere la percentuale di “costi per i progetti” più alta, ritenendolo talvolta l’unico e il più importante indicatore che ne misura la salute. Tuttavia, non dedicare risorse sui costi indiretti (ovvero quelli non direttamente collegati ad uno specifico progetto) significa togliere risorse ad aree centrali per il buon funzionamento di un’organizzazione, come la crescita professionale del personale che si occupa di raccolta fondi o di comunicazione, ad esempio. Questo, a sua volta, si traduce in campagne di comunicazione troppo spesso scadenti e insensibili, che utilizzano talvolta stereotipi per raccogliere velocemente fondi. Ma si traduce anche nella rinuncia ai talenti che hanno investito sulla propria formazione e che confluiranno in ambito for-profit, per trovare una soddisfazione professionale maggiore. Si traduce, da ultimo, in una penalizzazione per i beneficiari dei progetti. Questa spinta al contenimento dei costi di gestione spinge spesso le organizzazioni non-profit, o le aziende che hanno attività di filantropia e CSR (corporate social responsability) ad organizzare raccolte fondi in maniera approssimativa, eliminando l’intermediazione di fundraiser professionisti.

Il trend delle donazioni, negli anni, è aumentato in modo positivo, e gli italiani che hanno fatto almeno una donazione a un ente non-profit sono saliti al 55% nel 2022, rispetto al 35% del 2021 e al 21% del 2020 (dati Italy Giving Report 2023). Questi dati sono incoraggianti: il terzo settore si sta sviluppando, ma è importante che la struttura che lo regge sia solida e che i principali attori siano sani e incentivino un dibattito costruttivo, sottolineando l’importanza di professionalità e trasparenza quando si tratta di raccolta fondi, donazioni o accordi tra aziende e fondazioni.

Fonti: Vita, Online Magazine, https://www.vita.it/italy-giving-report-2023-donazioni-boom/

Assieme alle donazioni, sono cresciuti negli anni anche le realtà pronte ad accoglierle: secondo i dati dell’ultimo censimento ISTAT, risalente al 2020, sono più di 360.000 le organizzazioni non-profit attive in Italia, registrando una crescita di oltre il 20% rispetto al 2011 (come da tabella qui sotto). Un segnale positivo, senza dubbio, ma che porta con sé anche una sempre maggior difficoltà nella ricerca, analisi e valutazione dell’ente o degli enti da sostenere.

Fonte: ISTAT, https://www.istat.it/it/files/2023/05/Censimento-non-profit-primi-risultati.pdf

Su questo punto, con la riforma del terzo settore pubblicata nel 2017 ed entrata in vigore nel 2021, sono stati imposti degli iter e degli obblighi alle non-profit in Italia affinché possano mantenere la qualifica fiscale e la semplificazione fiscale e tributaria a essa connessa: a ottobre 2023, sono circa 115.000 gli enti che hanno effettuato l’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS)

La tendenza alla disintermediazione è, in questo senso, preoccupante. Non coinvolgere professionisti che sono preparati e che possono portare competenze all’interno di questo mondo rischia di essere una scelta miope: se da un lato l’obiettivo resta quello di massimizzare l’impatto delle donazioni assicurando che una percentuale significativa di esse raggiunga direttamente coloro che necessitano di assistenza, dall’altro il rischio è che l’assenza di professionalità porti a scelte di allocazione non ottimale per i beneficiari. Il cosiddetto “taglio del middle-man” sicuramente permette di abbattere i costi, ma porta un messaggio pericoloso: non contano le competenze e l’esperienza nel settore, tutti possono improvvisarsi donatori non curandosi degli effetti potenzialmente negativi sui beneficiari.  

Il concetto di disintermediazione ha origini nel 1967 nel settore finanziario, con l’idea che l’evoluzione delle tecnologie consentisse agli utenti di gestire autonomamente una serie di attività precedentemente mediate da figure terze, soprattutto nell’ambito degli investimenti finanziari. Questo implica la possibilità di abbattere alcuni costi, come possiamo apprezzare nel commercio elettronico, dove molte piattaforme consentono di mettere in contatto diretto chi compra e chi vende, agevolando una connessione diretta tra le parti coinvolte.

Nel momento in cui questo fenomeno appare nel non-profit e, nello specifico, nel fundraising, emerge una significativa possibilità che molte persone coinvolte in attività di raccolta fondi possano non avere una piena comprensione delle regole fondamentali che rendono una campagna efficace e una donazione successiva, con il conseguente rischio di causare problemi significativi agli enti che ricevono.

Ormai sono moltissime le piattaforme di crowdfunding o di fundraising di massa, che però funzionano come una lama a doppio taglio: se è vero che rendono le attività benefiche più accessibili, è ugualmente importante tenere a mente che vanno bene per degli interventi limitati, sia negli scopi che nel tempo, poiché spesso non ci sono professionisti del fundraising esperti che le pianificano e le dirigono; dunque, non c’è garanzia del rispetto degli standard di buona gestione e trasparenza da rispettare. Gli strumenti digitali hanno sicuramente incoraggiato la disintermediazione filantropica, ma la tendenza ha subito un’accelerazione a causa del crescente desiderio di controllo della donazione e soprattutto dell’impatto: i donatori vogliono vedere come vengono utilizzati i fondi, se raggiungono chi ne ha bisogno, e lo vogliono fare godendo dello strumento digitale, che appare sempre più semplice. Per questo motivo negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a un boom delle donazioni tramite piattaforme di crowdfunding: 17,2 mln di dollari vengono generati annualmente attraverso il crowdfunding solamente negli Stati Uniti, con 6.455.080 campagne di crowdfunding lanciate nel 2022 e previsioni di crescita del mercato del crowdfunding di 300 bln entro il 2030.[1]

I loghi di alcune delle piattaforme di crowdfunding e fundraising internazionali

La disintermediazione permette di sentirsi direttamente connesso con la causa che si vuole sostenere e la propria volontà. Questa però è un’impressione falsata poiché è solo ricorrendo ad esperti delle organizzazioni non-profit, che agiscono come intermediari tra il donatore e il beneficiario, che si può assicurare la possibilità reale di controllare e verificare l’operato delle stesse, ma soprattutto che le risorse vengano allocate nel modo migliore per i beneficiari.

Henry Rosso è il fondatore della Fund Raising School, presso l’Indiana University Center on Philanthropy, ed è uno dei primi sostenitori dell’importanza della professionalizzazione del settore e della necessità di adottare un approccio sistemico nelle attività di raccolta fondi. Sottolinea il fatto che la raccolta fondi filantropica sia una vera e propria professione, con una sua filosofia e un corpo di competenze specifico di riferimento. Il fundraiser chiede al donatore di aiutare il beneficiario: è un rapporto a tre, nel quale è il fundraiser a fungere da ponte tra uno e l’altro. Il fundraiser assicura lo scambio di beni relazionali che sono importanti principalmente per la loro caratteristica di utilità sia per chi lo consuma (c’è un impatto sociale, viene mitigato o risolto un problema) sia per chi lo produce (la donazione rende il donatore felice, la società tutta ne beneficia, si alza il livello di benessere generale). L’intermediazione in questo caso è necessaria perché chi otterrà maggiori risultati di raccolta fondi è chi conosce meglio il donatore e riesce quindi a ripagarlo emotivamente per la donazione fatta. E chi conosce meglio il donatore, se non l’intermediario? Non sarà di certo il beneficiario stesso a ringraziare il donatore, il compito è del professionista.

Uno sguardo alla cronaca recente

Il problema della disintermediazione può essere direttamente collegato con l’esposizione mediatica di chi incarna la causa o la specifica attività. Possiamo guardare ad esempi ben più datati del recente “PandoroGate”, come lo scandalo che, nel 1997, ha investito il ciclista Lance Armstrong e la sua omonima fondazione. La Fondazione Lance Armstrong è nata con l’obiettivo di sostenere la ricerca contro il cancro, fornire servizi ai pazienti e promuovere la consapevolezza sulla malattia. Lo scandalo associato alla Fondazione Lance Armstrong in quel caso emerse principalmente a causa delle accuse di doping contro il ciclista stesso: interruppe la carriera ciclistica e nel 2012 fu privato dei titoli vinti durante i Tour de France, a seguito di un’indagine dell’US Anti-Doping Agency, fu squalificato dalle competizioni ciclistiche e vi fu un decadimento generale della sua immagine pubblica.

La Fondazione stessa subì il contraccolpo, nonostante le sue dimissioni dalla presidenza della stessa, subì un calo di finanziamenti e sostegno. La Livestrong Foundation ha continuato a operare, modificando il suo nome e cercando di riaffermarsi come organizzazione impegnata nella lotta contro il cancro, anche se senza la figura di Armstrong al suo vertice.
Nel caso di Armstrong il rischio stava nella sovrapposizione tra una fondazione privata e un personaggio pubblico (una lama a doppio taglio), e questo meccanismo è stato anche al centro del dibattito cha ha visto coinvolti la persona di Chiara Ferragni, l’azienda Balocco e l’ospedale Regina Margherita. La narrazione, nelle ultime settimane, si è concentrata sui primi due attori e raramente si è parlato del terzo. Non vogliamo ribadire quanto già detto in interviste e articoli redatti da professionisti del settore, è importante soffermarci su una considerazione. Vedendo le tre parti coinvolte, azienda, influencer e beneficiario, sorge una domanda: sarebbe accaduto ugualmente se fosse stata coinvolta una non profit o un fundraiser professionista? La disintermediazione è costata cara a tutte le parti coinvolte. Non ne ha beneficiato sicuramente l’intero terzo settore italiano, verso il quale potenziali donatori e vasto pubblico già nutrono diffidenza, e casi come questo di certo non aiutano.

Spostandoci dal panorama strettamente italiano e guardando oltre il confine, ugualmente preoccupante è la decisione di Marlene Engelhorn, giovane ereditiera austro-tedesca, che dopo aver ricevuto 25 milioni di euro ha dichiarato di non meritare quel patrimonio, chiamando in causa la società civile[2]: ha quindi selezionato in maniera randomica 10.000 cittadini austriaci, che dovranno sottoporsi a un sondaggio, poi lei restringerà il campo a 50 persone di diversa estrazione e con loro deciderà come donare parte del patrimonio. Di fronte a una notizia del genere, nuovamente ci chiediamo: siamo sicuri che i cittadini siano dotati della conoscenza e dell’esperienza per stabilire quali siano le aree di intervento più urgenti e le modalità migliori per intervenire?

Professionisti della donazione studiano, si formano continuamente, elaborano modelli per selezionare i beneficiari, per rendere questi ultimi partecipi della progettazione, sistemi per monitorare e valutare l’impatto sociale. Professionisti del settore portano avanti dibattiti fondamentali sul l’impatto trasformativo, finanziamenti a lungo termine rispetto a quelli a breve termine o una tantum, sovvenzioni operative generali rispetto a quelle specifiche per progetti. Eppure, in questo caso, si ritiene che il modo più sicuro e affidabile per fare filantropia sia non utilizzare i professionisti ma chiedere direttamente ai cittadini, eliminando completamente la professionalità nella fase di pianificazione e dunque rinunciando agli strumenti tecnici necessari per pianificare un impatto duraturo e profondo sulla società. L’intermediazione è necessaria a raccogliere fondi ma anche a spenderli poiché questo vuol dire supportare degli enti che vivono grazie alle donazioni. I fondi per svolgere il lavoro sono limitati e quando un ente riceve delle somme consistenti non è raro che, oltre alla gioia, provi una sensazione di preoccupazione: c’è il timore che le relazioni necessarie e le risorse di capitale che ne derivano, non saranno facilmente sostituibili quando l’ente erogatrice avrà terminato i fondi da erogare. C’è timore per la sostenibilità economica del progetto nel lungo termine.

La disintermediazione è una forma di ipercorrezione che sposta il dibattito sull’estremità dello spettro. Se la necessità è quella di creare un nuovo paradigma filantropico, la domanda non dovrebbe essere incentrata su come possiamo sfidare le strategie filantropiche che sono informate più dalla politica, dagli interessi e dalle opinioni di alcuni grandi stakeholder e piuttosto da ciò che accade sul campo? Un ambiente non profit senza professionisti diventa più complicato non soltanto a causa dell’aumento delle transazioni potenziali, ma anche delle verifiche necessarie e delle responsabilità di controllo che comporta.

Donare è un’attività seria, è una disciplina, una materia che si collega alla sociologia, alla geopolitica, all’economia. Sottovalutare questa pratica vuol dire incorrere nel rischio di danneggiare gli altri, quando invece ci si illude di aiutarli.

Approfondimento a cura di Beatrice Marzi

Lugano, 18 febbraio 2024


Fonti:

[1] Crowdfunding Statistics: Market Size and Growth, Marrie Shepherd, Jan 2023, https://www.fundera.com/resources/crowdfunding-statistics

[2] Fonti: La Repubblica, https://video.repubblica.it/mondo/la-giovane-ereditiera-austriaca-donero-25-milioni-di-euro-a-sconosciuti-decidete-voi-a-chi-marlene-engelhorn-scrive-a-diecimila-concittadini/460740/461704

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