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L’ultimo samurai

Immagine tratta da Coindesk

Tu pensi che un uomo può cambiare il suo destino? Io penso che un uomo fa ciò che può, finchè il suo destino non si rivela.

L’ultimo samurai, 2003

Per i supporter di Bitcoin il 5 aprile è un giorno speciale: scelto da Satoshi Nakamoto, lo pseudonimo del creatore di BTC, come giorno di compleanno all’interno del forum P2P Foundation, la data certamente non è casuale. Il 5 aprile del 1933 il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Franklin Roosvelt firmò l’Ordine Esecutivo n. 6102, tramite il quale vietava ai cittadini americani di possedere oro e obbligava questi ultimi a consegnarlo allo Stato: si trattò di una delle più grandi estorsioni della storia, un vero e proprio furto legalizzato.

Durante quel periodo, meglio conosciuto come Grande Depressione, il mondo intero versava in una situazione di forte crisi economica: in particolare, negli Stati Uniti, il tasso di disoccupazione era al 25% in scia alle fortissime pressioni deflazionistiche ed i livelli di produttività erano tornati a un terzo di quelli precedenti al 1929. Secondo le teorie economiche tradizionali, lo Stato avrebbe dovuto stimolare l’economia immettendo nuovo denaro nel sistema ma, siccome negli US vigeva ancora un regime di Gold Standard o Sistema Aureo (secondo il quale la Banca Centrale aveva il permesso di emettere denaro cartaceo a condizione che mantenesse riserve d’oro pari ad almeno il 40% del valore delle banconote emesse), gli Stati Uniti non possedevano abbastanza oro per supportare la creazione di nuova moneta.

L’oro espropriato ai cittadini venne pagato 20.67 USD all’oncia e, chi non lo avesse consegnato, avrebbe rischiato fino a 10 anni di carcere. Poco dopo aver confiscato gran parte dell’oro agli americani, il governo si preparò alla creazione di nuovo denaro e, con il Gold Reserve Act del gennaio 1934, aumentò il prezzo del metallo prezioso a 35 USD l’oncia, svalutando così il USD del 70%.

Se nello scritto di settimana scorsaDon’t Cry For Me Argentina” abbiamo discusso del tema della svalutazione monetaria, che riteniamo essere ancora di grande attualità, con lo scritto odierno vogliamo riportare l’attenzione del lettore verso il mondo degli asset digitali e come quest’ultimo si interseca con tematiche di privacy finanziaria e libertà personale nell’attuale contesto. 

L’ultimo samurai?

Negli Stati Uniti ha fatto molto discutere la notizia della settimana scorsa nella quale il Dipartimento di Giustizia (DOJ) annunciava l’arresto dei due fondatori di Samourai Wallet, un wallet Bitcoin non-custodial (ovvero all’interno del quale il controllo dei fondi rimane nelle mani dell’utente che lo utilizza) che, tramite una piattaforma decentralizzata, consentiva ai suoi utilizzatori di rendere anonime le proprie transazioni in criptovaluta preservandone la privacy e “mixandole” con i fondi di altri utenti.

I capi di accusa dell’agenzia sono piuttosto chiari: associazione a delinquere “finalizzata al riciclaggio di denaro e alla gestione di un’attività di trasmissione di denaro non autorizzata”. L’evento fa eco a quanto già accaduto ad agosto 2022, quando ad Amsterdam era stato arrestato uno degli sviluppatori di Tornado Cash, un applicativo che forniva servizi simili sulla blockchain di Ethereum, e sul cui caso il Dipartimento di Giustizia US si è pronunciato respingendo l’istanza di archiviazione proprio lo stesso giorno (lo scorso 26 aprile). Se dal punto di vista del regolatore è certamente legittima (e dovuta) un’indagine sul presunto riciclaggio di denaro con l’obiettivo di appurare l’origine e la destinazione dei fondi, risulta più difficile accettare che a venire criminalizzato sia il tramite, ossia chi fornisce accesso allo strumento e quindi chi “scrive il codice” dell’applicativo. Equivarrebbe a dire che sarebbe necessario perseguire tutti i negozianti che vendono coltelli perché qualche cliente li utilizza per uccidere.

La politica del governo degli Stati Uniti circa il trattamento degli sviluppatori di wallet crypto e gli utilizzatori di tali servizi è stata infatti chiara e, sinora, coerente almeno dal 2013: questi ultimi non possono essere considerati “trasmettitori di denaro” (money trasmitters), definizione che finora si riferiva soltanto ad intermediari come banche e servizi di pagamento, e come ben specificato nelle linee guida della FINCEN (agenzia governativa US attiva nella lotta ai reati finanziari) sotto:

Quella appena messa in atto risulta quindi un’inversione di marcia rispetto alla posizione adottata fino ad adesso dal Dipartimento di Giustizia, che è ora improvvisamente intenzionato ad accusare penalmente gli sviluppatori di questa tipologia di wallet anche se, di fatto, questi ultimi non esercitano alcun controllo effettivo sugli asset che gli utenti scelgono di “proteggere” tramite il loro software.

Un altro sviluppo altrettanto preoccupante arriva direttamente dall’FBI, che negli stessi giorni ha pubblicato un comunicato sui wallet crypto, nel quale “mette in guardia gli americani dall’utilizzare servizi di trasmissione di denaro sottoforma di asset digitali che non sono registrati come Money Services Businesses (MSB) secondo la legge federale degli Stati Uniti”. In linea generica, i sostenitori degli asset digitali applaudirebbero tale affermazione: uno dei principali obiettivi dei proponenti del mondo crypto è quello di ridurre al minimo le attività illecite nello spazio, e gli exchange custodial (ovvero che detengono i fondi dei clienti) non regolarmente registrati sono responsabili della maggior parte delle truffe nello spazio (basti pensare al caso dell’exchange FTX nel 2022): tuttavia, alla luce dei procedimenti giudiziari nei confronti di Samourai Wallet e Tornado Cash degli ultimi giorni, questa affermazione potrebbe rappresentare un problema. Infatti, sela posizione del Dipartimento di Giustizia è che “è considerato money trasmitter ogni entità che consente il trasferimento di criptovalute da un luogo all’altro”, allora potenzialmente ogni wallet crypto può essere inteso come tale, che sia un software attivo sul proprio cellulare, una chiavetta Ledger per custodire individualmente gli asset o l’exchange Coinbase, che è l’unico dei tre casi menzionati ad essere registrato come Money Services Business (MSB) ma, per contro, è un’entità centralizzata.

Alla luce dei recenti provvedimenti giudiziari, l’avvertimento dell’FBI può essere interpretato come una potenziale minaccia a tutti gli americani che detengono i propri asset al di fuori degli exchange. L’annuncio dell’FBI continua: “Coloro che utilizzano servizi di trasmissione di asset digitali senza licenza potrebbero riscontrare espropri e procedimenti legali da parte delle forze dell’ordine, specialmente se le criptovalute detenute sono state mixate in maniera illegale.”

L’anno degli ETF

Ci chiediamo quindi, in maniera volutamente provocatoria: e se il governo cercasse di confiscare Bitcoin nel momento in cui si rende conto che quest’ultimo può rappresentare una minaccia alla sua supremazia monetaria? Come potrebbe agire? Potrebbe creare un registro dei possessori di Bitcoin servendosi delle informazioni provenienti dal Know Your Customer (KYC) dei diversi exchange?

Bitcoin è, all’apparenza, molto più resistente al sequestro rispetto all’oro; uno dei “difetti fatali” dell’oro è rappresentato dalla sua natura fisica, che lo rende ingombrante da conservare e porta necessariamente a concentrarlo nelle mani di pochi enti depositari come le banche.

Sebbene Bitcoin sia considerato “oro digitale” e possa essere spostato con un clic, non è totalmente immune da questo rischio: una grande quantità di BTC esiste in silos fortemente regolamentati o è custodito da istituzioni centralizzate.

Se una versione bis dell’Ordine Esecutivo n. 6102 oggi sembra una minaccia più lontana per BTC, almeno al momento, forse il vero rischio è rappresentato dal fatto che le istituzioni spingano per un mondo crypto custodial, centralizzato, “iper-finanziarizzato” e ben esemplificato dagli ETF sulla criptovaluta recentemente approvati.

Un’eventuale confisca di questi strumenti sarebbe infatti molto più semplice da mettere in atto: come sottolinea Steven Lubka di Swan Bitcoin, una delle società primarie che offre soluzioni di self-custody per Bitcoin, il rischio principale legato all’introduzione dell’ETF sulla cryptovaluta è rappresentato dal fatto che i potenziali acquirenti dello strumento siano unicamente attratti dalla possibilità di un suo apprezzamento ma che, in termini più filosofici, prestino meno attenzione al fatto che gli ETF sono gestiti dalle banche, le stesse che hanno spinto Satoshi Nakamoto a creare Bitcoin come strumento decentralizzato per consentire a chiunque  di esprimere ed esercitare appieno la sua indipendenza e libertà finanziaria.

Satoshi Nakamoto è spesso considerato un cypherpunk, o almeno qualcuno che è strettamente allineato al movimento cypherpunk, una corrente politica e sociale incentrata sull’uso della crittografia e di altre tecnologie per salvaguardare la libertà personale e la privacy. I cypherpunk sostengono che il mantenimento della propria autonomia individuale e della libertà politica richiede la capacità di comunicare e condurre affari online senza essere soggetti alla sorveglianza governativa o aziendale. Il fondamento dell’etica cypherpunk è l’idea che le persone dovrebbero essere responsabili dei propri dati personali e che le potenti tecnologie di crittografia sono uno strumento cruciale per raggiungere tale obiettivo. Gli appartenenti al movimento cypherpunk riconoscono che l’uso della crittografia può essere indirizzato a coprire comportamenti criminali o sostenere il terrorismo. Di conseguenza, esiste indubbiamente un conflitto tra la necessità di sicurezza pubblica e la necessità di privacy individuale. Tuttavia, ponendo l’accento sulla responsabilità, sulla trasparenza e sull’uso etico delle tecnologie di crittografia e mirando a trovare un equilibrio tra queste preoccupazioni contrastanti, promuovono la creazione di una crittografia sicura che sia apertamente accessibile e le cui prestazioni possano essere verificate in modo indipendente.

Nell’epoca del capitalismo della sorveglianza, secondo la celebre definizione di Shoshana Zuboff, stiamo assistendo alla congiunzione tra potere politico e potere derivante dalle nuove tecnologie, ad esempio AI e computer quantistici, nell’analisi e nel monitoraggio dei dati, il che aumenta le probabilità di una deriva dispotica anche nelle democrazie più mature dell’Occidente. La Zuboff parla apertamente di intontimento psichico che ci rende assuefatti a una realtà in cui siamo tracciati, analizzati, sfruttati e modificati. C’è chi fa spallucce (“non ho niente da nascondere”), chi intuisce ma non vuole vedere il problema, ma la maggior parte delle persone non è consapevole e questo spiana la strada a quella che è una violazione senza precedenti della nostra privacy e della nostra libertà[1]. Per mitigare questi rischi, la comunità cypherpunk sarà certamente impegnata ad aggiornare o inventare nuove tecnologie, come algoritmi più potenti per la tutela della privacy e strumenti per la comunicazione anonima.

Chiudiamo con il tweet di Jake Chervinsky (Chief Legal Officer di Variant Fund ed ex Chief Policy Officer della Blockchain Association, la più importante associazione di settore attiva a Washington), di cui condividiamo il pensiero: anche noi auspichiamo un mondo nel quale i diritti e le libertà individuali di alcun tipo non vengano, mai e poi mai, negati o minacciati.

Approfondimento a cura di Andrea Accatino

Lugano, 5 maggio 2024


[1] Cfr. Zuboff, S., Il capitalismo della sorveglianza, ed. Luiss, 2018.

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