The Cure – Trust
There’s no-one left in the world
That I can hold onto
There is really no-one left at all
There is only you
And if you leave me now
You leave all that we were
Undone
Wish album, 1992
Spesso il dibattito sulla trasparenza in ambito filantropico si concentra sulla mancata capacità, da parte degli enti non-profit, di generare un impatto misurabile. Poco spesso si analizza anche l’altra faccia della medaglia: quali condizioni, da parte del filantropo finanziatore, limitano la capacità di generare un impatto? Una delle risposte è perché non viene dedicato sufficiente tempo, da parte di chi dona, a coltivare relazioni aperte e di fiducia con i destinatari delle donazioni. E la fiducia è senza dubbio il pilastro principale su cui si regge la filantropia: senza di essa, le relazioni tra donatori e destinatari diventano fragili e poco efficaci.
Nella beneficenza convenzionale, il donatore tende ad esercitare un controllo rigido sull’ente finanziato: talvolta esigendo una rendicontazione che sovraccarica lo staff, talvolta facendo sì che l’ente, per aggiudicarsi un finanziamento, debba affrontare iter lunghi e altamente burocratici, partecipare a dei bandi che richiedono settimane di lavoro e risorse che vi si dedicano full-time, invece che destinare sforzo, impegno e creatività ai progetti. Tutto ciò senza aver poi alcuna certezza dell’aggiudicazione del finanziamento.
Ciò porta, all’estremo, a una situazione paradossale: i comportamenti e le norme imposte dai donatori finiscono con l’ostacolare la capacità delle organizzazioni non profit di raggiungere l’impatto desiderato. Di conseguenza, non emergono le condizioni necessarie per promuovere il cambiamento sociale, le missioni delle organizzazioni non profit subiscono un indebolimento quando, ciclicamente, la maggior parte del loro tempo è dedicata a soddisfare le richieste (per quanto legittime) dei finanziatori.
Un cambio di paradigma
Nel 2020 si è iniziato a osservare un cambiamento significativo quando, nel mezzo della pandemia COVID-19, i finanziatori hanno cominciato a rivalutare il proprio operato su ogni fronte. Vista l’emergenza, molti hanno semplificato i requisiti di rendicontazione e hanno distribuito i fondi più rapidamente, imponendo meno vincoli, facendo sì che i grantees (coloro che fanno domanda e/o si aggiudicano il finanziamento) spendessero il 25% di tempo in meno sul processo di richiesta fondi, rispetto a quanto avveniva prima della pandemia (si veda grafico qui sotto).[1]
Fonte: Katarina Malmgren, “Before and after 2020 – How the Covid-19 Pandemic Changed nonprofit experiences with Funders”, 2024, https://cep.org/wp-content/uploads/2023/07/Before_and_After_2020.pdf
Ancora oggi, le attività di beneficenza spesso sono caratterizzate da un approccio paternalista: i grandi donatori sentono la responsabilità di garantire un reale cambiamento positivo nella vita di coloro che intendono sostenere. Si incaricano di dover garantire opportunità a chi si trova in condizione di vulnerabilità, andando a supportare determinate attività, pensando che il monitoraggio sia solo a livello finanziario e che si basi su una rendicontazione economica collegata solo agli ambiti coperti tramite la loro donazione. Ma le donazioni vincolate alla copertura di limitate e determinate attività non consentono alle organizzazioni non profit di avere la flessibilità necessaria per rispondere a esigenze impreviste. Esiste quindi uno squilibrio di potere intrinseco tra finanziatori e organizzazioni non profit, con i primi che dettano le regole su come e quante risorse debbano essere allocate sui progetti. Latrust-based philanthropy rappresenta, tra le altre cose, una reazione a dinamiche di questo tipo e alle conseguenze che portano con sè, soprattutto in termini di reportistica.
Questo modus operandi emerge come un approccio trasformativo al coinvolgimento filantropico, basato sul riconoscimento del fatto che la fiducia non è solo una cortesia, un nice-to-have, ma una necessità per impostare una collaborazione significativa tra donatori e destinatari. I modelli filantropici tradizionali spesso enfatizzano dinamiche che mettono i donatori in una posizione di autorità, portando inevitabilmente a una mancanza di fiducia e trasparenza. In contrasto, la trust-based philanthropy cerca di smantellare queste gerarchie, promuovendo vere partnership alla pari basate su rispetto reciproco e comprensione. Piuttosto che imporre requisiti rigidi e restrizioni ai destinatari, la trust-based philanthropy privilegia flessibilità e reattività, rinunciando al controllo ossessivo e sbloccando il pieno potenziale delle risorse donate, dando potere alle organizzazioni non profit di guidare il cambiamento sociale. Essere un filantropo che fa della fiducia il cavallo di battaglia del suo impegno vuol dire applicare un esame costante e continuo delle implicazioni di questi squilibri di potere, nella cultura e nelle pratiche. Quando non esaminiamo queste dinamiche, rischiamo di rafforzare o amplificare le disuguaglianze.
Una ricerca condotta da Grantmakers for Effective Organizations, un’organizzazione non profit con sede negli Stati Uniti che si impegna a migliorare l’efficacia della filantropia, fornisce segnali incoraggianti sul tema: negli ultimi due anni sia i leader non profit che i finanziatori hanno infatti manifestato un forte desiderio di relazioni più trasparenti e alla pari.
Altri input arrivano da piattaforme come Yelp, Inside Philanthropy e Philamplify, che consentono ai leader non profit di valutare la loro esperienza con le istituzioni finanzianti, che evidenziano come le organizzazioni non profit vogliano cambiare la relazione con i loro finanziatori: ad esempio, tutti i 637 enti finanziatori che hanno partecipato alla ricerca, hanno infatti dichiarato l’importanza della costruzione delle relazioni tra i funders e i grantees, in modo che questi possano essere sinceri riguardo alle sfide e gli ostacoli che si trovano a dover gestire[2].
Metodi di implementazione ed esponenti degni di nota
Come abbiamo visto, l’implementazione della trust-based philanthropy richiede un cambiamento culturale e operativo nel modo in cui vengono gestite le pratiche di finanziamento. Approcci come decisioni collaborative, finanziamenti multi-years e flessibili, e supporto non finanziario consentono una maggiore fiducia e resilienza nelle partnership tra donatori e beneficiari. È necessario sviluppare dei KPIs qualitativi da affiancare a quelli quantitativi, che riflettano l’ascolto attivo dei bisogni e delle opinioni di destinatari e partners. Dai finanziamenti pluriennali alle iniziative di capacity building, questo approccio offre una gamma di strategie per promuovere la fiducia e la collaborazione all’interno dell’ecosistema filantropico.
Fonte: https://www.trustbasedphilanthropy.org/
I benefici apportati da questo paradigma sono evidenti per entrambe le parti:
- Per i donatori, ciò si traduce in un maggiore impatto delle loro donazioni e in relazioni più soddisfacenti con le organizzazioni non profit.
- Per i destinatari, significa una maggiore autonomia e sostenibilità nel perseguire la propria missione.
Per questo motivo alcuni donatori e fondazioni hanno adottato esplicitamente i principi della trust-based philanthropy nei loro approcci di finanziamento. Ad esempio, la Ford Foundation, la Hewlett Foundation, la Surdna Foundation e la Robert Sterling Clark Foundation sono solo alcune delle fondazioni che hanno abbracciato questo cambiamento e hanno pubblicato risorse e linee guida per incoraggiare altre fondazioni ad adottare un approccio più fiducioso e collaborativo.
Non solo fondazioni, ma anche singoli filantropi hanno imboccato questa strada: Jeffrey Walker ha fatto il suo ingresso nel mondo della filantropia dopo una carriera di successo nel mondo for profit. È stato CEO e co-fondatore della società di private equity JPMorgan Partners. Ha fatto parte di numerosi consigli di amministrazione non profit e negli ultimi anni ha dedicato gran parte del suo tempo a portare le sue competenze di investitore attivo negli spazi della filantropia, delle organizzazioni non profit e delle imprese sociali. Nel suo ultimo libro, insieme a Jennifer McCrea, “The Generosity Network: Nuovi Strumenti Trasformativi per una Raccolta Fondi di Successo” illustra come le tradizionali relazioni tra donatori e destinatari possano portare ad insuccesso per entrambi, mentre connessioni aperte e personali portano a crescita, sviluppo e spesso a risultati sorprendenti.
MacKenzie Scott, ex moglie del fondatore di Amazon Jeff Bezos, ha fatto notizia per le sue generose donazioni a una vasta gamma di organizzazioni non profit e cause sociali, e rappresenta un altro esempio virtuoso di filantropia basata sulla fiducia. MacKenzie Scott non ha una fondazione personale, ma ha scelto di donare direttamente e in modo indipendente, senza creare una struttura filantropica formale. Lo scorso marzo ha annunciato i vincitori della sua open call per finanziare progetti sociali di spicco: il concorso per aggiudicarsi i finanziamenti, supervisionata da Lever for Change, un’organizzazione non profit che promuove premi per risolvere sfide globali, era stata descritta come un’iniziativa che avrebbe assegnato 1 milione di dollari ciascuno a 250 organizzazioni comunitarie con budget da 1 a 5 milioni di dollari. Tuttavia, MacKenzie Scott ha annunciato 361 vincitori – 279 che hanno ricevuto 2 milioni di dollari e altri 82 che hanno ottenuto 1 milione di dollari.
Questa iniziativa ha permesso a oltre 6.000 organizzazioni non profit focalizzate sulla comunità di presentare direttamente domande per finanziamenti. Successivamente, nel corso di alcuni mesi, Lever for Change ha contribuito a selezionare i vincitori. È stata proprio la risposta travolgente e l’eccezionale gruppo di candidati – una testimonianza della necessità di risorse non vincolate – ad aver portato MacKenzie Scott a raddoppiare il suo impegno iniziale, concedendo alla fine 640 milioni di dollari a 360 organizzazioni.
La sua filosofia donativa ruota attorno a due principi chiave: rapidità e fiducia. Evita i lunghi processi di domanda di finanziamento e valutazioni estese, optando invece per identificare e donare rapidamente a organizzazioni ad alto impatto. Inoltre, i finanziamenti erogati non sono vincolati. Ciò consente a questi gruppi di continuare il lavoro vitale che svolgono nelle loro comunità senza essere ostacolati dalla burocrazia.
L’attenzione all’impatto è evidente nei tipi di organizzazioni supportate dalla milionaria americana: prioritizza coloro che lavorano su questioni di equità razziale e di genere, opportunità economiche, salute pubblica e cambiamenti climatici. Nel 2023, ad esempio, quasi 2,2 miliardi di dollari delle sue donazioni sono andati a gruppi che sostengono l’apprendimento precoce, l’edilizia economica e l’impegno civico – aree cruciali per costruire una società più equa.
Anche l’alto livello di trasparenza rappresenta a suo modo un unicum: le sue donazioni sono annunciate pubblicamente, così come sono rese note e le organizzazioni destinatarie, consentendo loro di sfruttare il riconoscimento mediatico e potenzialmente attrarre finanziamenti aggiuntivi.
Conclusioni
Nonostante i suoi numerosi vantaggi, la trust-based philanthropy non è priva di sfide. Cambiamenti delle dinamiche di potere, superamento dell’inerzia istituzionale e gestione del rischio richiedono sforzi intenzionali e un impegno continuo sia da parte dei donatori che dei destinatari, ma sono condizioni necessarie per massimizzarne il potenziale.
La beneficenza tradizionalmente intesa parte dal presupposto che, se il finanziatore non richiede un rendiconto economico, le organizzazioni avranno meno incentivo a raggiungere gli obiettivi. Ma ciò che muove e motiva i grandi leader del non profit non sono certo le esigenze di controllo e rendicontazione di un finanziatore o la pressione che esso può imprimere sulle scelte dell’ente: spesso hanno infatti dedicato tutta la loro vita a quella specifica missione e migliorare la situazione esistente è ciò che più gli sta a cuore in assoluto. E forse, oltre al finanziamento economico, beneficerebbero anche di supporto strategico per raggiungere questi scopi.
La trust-based philanthropy rappresenta un’opportunità unica per trasformare il settore della filantropia in uno più inclusivo, collaborativo ed equo. Promuovere la fiducia reciproca tra donatori e beneficiari è essenziale per costruire un futuro solidale e sostenibile per tutti. Il problema culturale risiede nel framework che spesso viene utilizzato, secondo il quale i finanziatori “danno” e le comunità “ricevono”. Questa prospettiva confonde il fatto che le comunità possiedono le soluzioni e la saggezza necessarie per un cambiamento efficace. Senza la conoscenza, il contesto e le relazioni comunitarie, i finanziatori non sarebbero in grado di progredire su questioni che ci interessano. La conoscenza di un problema, da parte della comunità che lo vive, non può essere sostituita dalla competenza tecnica e la capacità donativa di chi si sente sollecitato ad intervenire: bisogna piuttosto sviluppare un paradigma che permetta ad entrambi di contribuire al meglio. Questa è la vera cooperazione.
Tutto ciò non significa voler scappare dai numeri, anzi, il processo di selezione delle corrette metriche è fondamentale in tre ambiti nello specifico:
- Delivery: quale obiettivo si è raggiunto
- Behaviour: come è cambiato il comportamento di un sistema, in seguito all’intervento
- Impact: quale cambiamento materiale è avvenuto, in seguito all’intervento
Da qui possiamo partire per analizzare tutto il resto.
Quello della filantropia basata sulla fiducia è un mondo in cui non ha più senso considerare un divario netto tra donatori e beneficiari, ma ha senso considerare questi attori come partner, dove sia chi dona sia chi implementa è un agente del cambiamento. Entrambe le parti sono legate e sono uno lo strumento dell’altro per raggiungere un obiettivo di cui beneficiano tutti, in maniera contagiosa. Un mondo in cui uno non può esistere senza l’altro.
Approfondimento a cura di Beatrice Marzi
Lugano, 12 maggio 2024
[1] Lowell Weiss, “How Funders Can Get Better at Getting Better,” Washington Monthly, January 12, 2020, https://washingtonmonthly. com/2020/01/12/how-funders-can-get-better-at-getting-better; Phil Buchanan, Ellie Buteau, Ph.D., and Shahryar Minhas, “Can Feedback Fuel Change at Foundations?” (Cambridge, Mass.: Center for Effective Philanthropy, 2011), https://cep.org/portfolio/ can-feedback-fuel-change-at-foundations/
[2] Fonte: J McCray, “Better Relationships, Better Results”, Standford Social Innovation Review, 2014, https://ssir.org/articles/entry/better_relationships_better_results#