Buy it, use it, break it, fix it, trash it, change it, mail, upgrade it
Technologic – Daft Punk
Charge it, point it, zoom it, press it, snap it, work it, quick, erase it
Write it, cut it, paste it, save it, load it, check it, quick, rewrite it
Plug it, play it, burn it, rip it, drag it, drop it, zip, unzip it
“Human after all” album – 2005
Non c’è testata finanziaria che negli ultimi mesi non abbia dedicato pagine e commenti al comparto tecnologico, con particolare attenzione a Nvidia, il colosso americano per molti sinonimo di Intelligenza Artificiale (AI), e alle sue performance. Nello scritto di oggi non abbiamo l’ambizione di analizzare i fondamentali dell’azienda né di ragionare sugli sviluppi dell’AI, quanto di aiutare i nostri lettori a comprendere meglio com’è strutturata una filiera complessa come quella dei semiconduttori (vera materia prima alla base dell’AI), cercando di completare l’analisi con uno zoom sulla geopolitica per capire come, anche attorno a questo tema, si giochi una partita importante nello scacchiere globale.
L’enciclopedia Treccani ci aiuta anzitutto con la definizione di semiconduttore: “Materiale che presenta, rispetto alla conduzione elettrica, un comportamento intermedio tra quello degli isolanti e quello dei conduttori”[1]. I principali materiali con queste caratteristiche sono silicio, germanio e gallio. Ogni centralina computerizzata ad oggi opera sulla base di un chip, che non è altro che un circuito elettrico chiuso composto da semiconduttori.
Limitandosi alla definizione scientifica di questa famiglia di materiali, si perde però la visione generale sulle applicazioni industriali che compongono il vero “X Factor” per questo segmento. Ancor prima dell’uscita di ChatGPT e del conseguente hype mediatico dell’intelligenza artificiale (AI), la domanda per i materiali come i semiconduttori è letteralmente impennata negli ultimi anni, senza che però l’offerta potesse sostenere questo aumento, causando uno “shortage” dal 2020 al 2023, con relativi colli di bottiglia in diverse filiere industriali. Per tamponare questo problema a livello di produzione, si stima che il valore degli investimenti privati nel prossimo decennio sia intorno agli USD 2’300 miliardi e che gli Stati Uniti d’America da soli contribuiranno per il 28% del totale: un incremento di circa 320% rispetto al decennio precedente[2].
Andando più nel dettaglio, i semiconduttori possono essere suddivisi in tre categorie principali: logica, memoria e DAO (discreti o singoli, analogici e altri). Ogni categoria ha caratteristiche uniche e applicazioni specifiche, che la rendono fondamentale per il funzionamento dei dispositivi elettronici moderni.
La categoria dei semiconduttori logici include circuiti integrati che operano su codici binari (0 e 1), fungendo da elementi costitutivi essenziali o “cervelli” della computazione. Tra gli esempi di semiconduttori logici troviamo microprocessori, unità di elaborazione centrale (CPU), unità di elaborazione grafica (GPU) e processori di applicazioni (AP). Questi semiconduttori sono comunemente utilizzati in applicazioni come telefoni cellulari, computer personali, server, sistemi di intelligenza artificiale e supercomputer.
I semiconduttori di memoria, invece, sono progettati per memorizzare le informazioni necessarie per eseguire qualsiasi calcolo. Tra i tipi più comunemente usati ci sono la memoria ad accesso casuale dinamico (DRAM) e la memoria NAND. La DRAM è utilizzata per memorizzare dati o codici programma necessari a un processore per funzionare, ed è comunemente presente in personal computer e server. La memoria NAND, invece, è impiegata per l’archiviazione permanente, con esempi tipici che includono unità a stato solido (SSD) e schede SD utilizzate in dispositivi portatili[3].
La terza categoria, quella dei semiconduttori discreti o semplici, analogici e altri (DAO), comprende dispositivi che trasmettono, ricevono e trasformano informazioni, trattando parametri continui come temperatura e tensione. I semiconduttori discreti, come diodi e transistor, svolgono singole funzioni elettriche. I semiconduttori analogici, come i regolatori di tensione e i convertitori di dati, trasformano segnali analogici provenienti da fonti come la voce in segnali digitali. Altri prodotti in questa categoria includono i sensori utilizzati nelle fotocamere, nonché una vasta gamma di sensori presenti nei dispositivi Internet of Things (IoT).[4]
La supply chain nel comparto dei semiconduttori
Per un investitore, comprendere più in dettaglio le fasi che compongono la filiera dei semiconduttori è interessante anche per fare chiarezza sulle possibili verticali di investimento. Anzitutto, nell’industria dei semiconduttori è fondamentale distinguere tra i produttori integrati, come Intel e Samsung, e quelli specializzati in segmenti specifici della filiera, come Nvidia, TSMC, ASML e Qualcomm, solo per citarne alcuni. Le aziende specializzate in segmenti specifici si concentrano su una singola fase della supply chain, ovvero:
Progettazione. in questo comparto esistono due tipologie di player: quelle “Integrated” che abbiamo appena introdotto e le aziende “Fabless”, che progettano chip senza possedere impianti di produzione (ad esempio, Nvidia). Entrambe le tipologie di aziende che progettano si affidano a software di progettazione automatizzata (come quelli di Cadence) e licensed architectures (come quelle di ARM) per progettare i chip. Dopo aver progettato il chip secondo requisiti specifici, si passa alla fase di produzione.
Produzione. Le aziende Fabless esternalizzano la produzione alle fonderie (ad esempio, TSMC). Sia le fonderie che i produttori integrati iniziano con due fasi critiche:
- L’acquisizione di strumenti di litografia dai produttori di apparecchiature (come ASML) per la produzione di chip;
- L’approvvigionamento di materie prime essenziali (wafer, silicio, neon).
Assemblaggio, packaging e test. Questa fase finale viene gestita internamente dai produttori “Integrated”, mentre le aziende “Fabless” esternalizzano questi compiti a specialisti (ad esempio, Teradyne, TSMC)[5].
Negli ultimi cinque anni, in particolare, l’innovazione tecnologica ha significativamente influenzato il mercato dei semiconduttori, spingendone verso l’alto la domanda e favorendo sviluppi tecnologici mai sperimentati. Guardando al futuro, sarà necessaria la produzione di chip sempre più performanti e complessi, capaci di sostenere la maggiore potenza dei processori con materiali in grado di resistere a stimoli elettrici sempre più elevati. Questa evoluzione richiederà una componente di semiconduttori maggiore e più sofisticata, in grado di supportare le richieste provenienti dal campo dell’intelligenza artificiale e da altre tecnologie avanzate. Per rappresentare la potenza dell’innovazione richiesta per soddisfare la domanda di sistemi sempre più complessi ed avanzati come i supercomputer, dal 2010 ad oggi, il numero di operazioni di calcolo che un chip è in grado di effettuare (misurato dal FLOP)
è cresciuto in media di 4.1x volte all’anno, come evidenziato dal grafico di EpochAI.
Dal punto di vista dei fondamentali di mercato, invece, è importante rilevare come il prezzo unitario dei semiconduttori sia in diminuzione, nonostante i volumi di materiali scambiati sul mercato siano in forte crescita. Questo incremento nei volumi si verifica nonostante i problemi legati all’offerta, che non è riuscita a compensare completamente l’incremento della domanda. In termini di volumi, secondo i dati riportati da Statista, il mercato è cresciuto del 32%, passando dai USD 460,39 miliardi del 2020 ai USD 607,41 miliardi stimati per il 2024[6].Per il prossimo quinquennio, invece, la crescita stimata è doppia rispetto al periodo 2020-2024, con un incremento previsto del 65% che porterebbe il valore totale del mercato dei semiconduttori a sfiorare i 1.000 miliardi di USD entro il 2029. Questa crescita sarà chiaramente trainata dall’innovazione tecnologica e dall’AI, che agisce come principale catalizzatore del settore.
A fine 2023, il mercato dell’intelligenza artificiale ha raggiunto i 135,94 miliardi di USD. Per il 2024, sempre statista.com stima che i volumi arriveranno intorno ai 184,05 miliardi di USD, registrando una crescita del 36%. Entro il 2030, si prevede che questi volumi possano crescere fino a 826,76 miliardi di USD, pari ad un aumento del 450% (pari ad un CAGR del 28.5%)[7].
A frenare, però, tutti questi fattori di crescita potrebbero entrare in gioco dinamiche geopolitiche. Come illustrato nel grafico qui sotto, nel 1990 la produzione mondiale dei semiconduttori era dominata da Stati Uniti ed Europa, che insieme rappresentavano circa l’80% del totale. Tuttavia, a distanza di soli dieci anni, nel 2000, la situazione aveva già subito un notevole cambiamento a causa del basso costo della manodopera asiatica. Questo fattore ha ribilanciato gli equilibri mondiali, con il 44% della produzione nelle mani delle economie occidentali e il 52% in quelle dei paesi asiatici[8].
Il ventennio successivo è stato caratterizzato da un’ulteriore espansione della produzione asiatica, trainata dall’ondata di globalizzazione e dall’espansione delle aziende private verso il mercato asiatico. Questo ha portato a un aumento significativo della produzione di semiconduttori in Asia a scapito del mondo occidentale. Le proiezioni per il 2025 indicano che la produzione mondiale dei semiconduttori sarà concentrata al 75% in Asia, principalmente in Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone. Anche guardando ad un orizzonte temporale più esteso, la quota di mercato delle economie occidentali rimarrà pressoché invariata rispetto alle stime del 2025.
I semiconduttori nello scacchiere geopolitico
Come anticipato, semiconduttori e chip sono centrali nelle dinamiche che stanno ridefinendo i rapporti tra grandi potenze, in particolare Stati Uniti e Cina, nella transizione verso un nuovo ordine multipolare, in quanto elementi fondamentali in settori strategici, ossia nelle aree con applicazioni militari o di sicurezza nazionale. La loro centralità è emersa nel 2020, quando a causa della pandemia la crisi di offerta dei semiconduttori ha messo le istituzioni americane di fronte all’evidenza della loro dipendenza dall’estero per la loro fornitura. Sebbene gli Stati Uniti abbiano una significativa capacità di ricerca e sviluppo e alcuni impianti di produzione di semiconduttori, come quelli di Intel, gran parte della produzione di massa dei chip più avanzati avviene in Asia, in particolare a Taiwan e in Corea del Sud.
Alla disponibilità di questi prodotti, è strettamente legato il mantenimento del primato tecnologico dell’industria bellica americana: i chip presenti nei satelliti, nei velivoli stealth come l’F-22 o nei missili da crociera come il Tomahawk, ad esempio, non sono prodotti negli USA. Il problema è che, se in un futuro prossimo, plausibilmente a seguito dell’invasione cinese di Taiwan, TSMC interrompesse la sua fornitura di semiconduttori, gli Stati Uniti non avrebbero modo di soddisfare la domanda interna nel breve periodo dati i costi esorbitanti delle fabs.
Gli Stati Uniti hanno così messo in campo un’ampia strategia volta a rallentare il progresso tecnologico della Cina. In primo luogo, ampliando i provvedimenti sanzionatori già adottati nel 2019 dall’amministrazione Trump, che aveva inizialmente inserito Huawei e altre società cinesi nella cosiddetta “Entity List”, inserendovi anche la SMIC (Semiconductor Manufacturing International Corporation), un’azienda cinese tra i principali produttori di semiconduttori, e iniziando un’ondata di controlli sulle esportazioni che limitano la capacità di queste aziende di acquistare componenti e tecnologie critiche dagli Stati Uniti. Questi ultimi hanno ulteriormente ampliato le restrizioni richiedendo alle aziende di ottenere una licenza per esportare prodotti contenenti tecnologia statunitense in Cina. Inoltre, sono state applicate nuove regole che estendono i controlli sull’export ai prodotti fabbricati al di fuori degli Stati Uniti ma che utilizzano tecnologia, software o attrezzature statunitensi.
In secondo luogo, per ridurre la dipendenza dall’estero e rafforzare la sicurezza della supply chain, gli USA stanno investendo nella produzione domestica di semiconduttori attraverso leggi come il CHIPS Act.
Nell’agosto del 2022, infatti, l’amministrazione Biden ha varato il Creating Helpful Incentives to Produce Semiconductors (CHIPS) and Science Act con lo scopo di riportare il chipmaking negli Stati Uniti, dopo decenni di delocalizzazione della tecnologia da parte di singole aziende. Sebbene, come abbiamo anticipato, il Paese abbia prodotto quasi il 40% della fornitura mondiale di semiconduttori nel 1990, tale statistica è scesa ad appena il 12% ad oggi. Taiwan, d’altro canto, produce oltre il 60% della fornitura mondiale di semiconduttori e oltre il 90% dei chip più avanzati. Oggi, gli Stati Uniti non producono chip di fascia alta [9]. Sicché, con questo provvedimento, Washington ha previsto uno stanziamento di USD 50 miliardi nei 5 anni seguenti tramite sussidi e crediti d’imposta, con l’obiettivo di produrre il 20% dei chip più avanzati al mondo entro la fine del decennio. Tuttavia, le fabs statunitensi difficilmente potranno competere con quelle asiatiche, costruite in tempi minori e in grado di produrre più wafer di silicio al mese, con minori costi unitari. Il Chips and Sciences Act è anche rivolto a limitare lo sviluppo tecnologico cinese, mediante sanzioni, con tale provvedimento, infatti, per ottenere i sussidi e i crediti d’imposta, le imprese devono attenersi a una serie di restrizioni nei rapporti commerciali non solo con la Cina, ma anche con Russia, Corea del Nord e Iran.
Un’altra sfida che le aziende di semiconduttori devono affrontare negli Stati Uniti è l’attuale mancanza di una forza lavoro qualificata. La rinascita manifatturiera legata ad un processo di reindustrializzazione degli USA è per il momento qualcosa che esiste nella teoria, ma non nella pratica. Tuttavia, questo processo, pur perdente nel medio periodo, nel lungo termine potrebbe risultare vincente, in quanto il modello di produzione dell’Asia orientale, di così grande successo negli ultimi decenni, sarà anch’esso colpito dalla scure della demografia[10]. Per ultimo, ma non meno grave, c’è il problema che per produrre semiconduttori servono metalli e terre rare che vengono prodotti in una situazione di quasi-monopolio dalla Cina.
Sebbene, dunque, gli Stati Uniti costruiscano una discreta capacità di chipmaking, la prima fase della supply chain dei semiconduttori, l’estrazione delle materie prime necessarie, continuerà ad essere in parte controllata dalla Cina, proprio dal Paese con cui Washington ha iniziato una sorte di nuova Guerra Fredda 2.0. La questione che rimane dunque insoluta, dal punto di vista di questa concezione di sicurezza nazionale è: nel caso di uno scontro tout court, tecnologico, economico o militare che sia, come faranno gli Stati Uniti a risolvere il problema delle materie prime? La nuova guerra fredda tecnologica, con la Cina sta rimodellando le catene di fornitura industriali come abbiamo visto con un maggiore reshoring, ma anche con il friendshoring, ovvero la produzione e l’approvvigionamento di componenti e materie prime all’interno di un gruppo di paesi con valori condivisi, riducendo la loro dipendenza dai regimi autoritari per materiali quali terre rare e altri minerali, e dalla Russia per materie prime quali gas, prodotti alimentari e fertilizzanti[11]. In tal senso è fondamentale il ruolo e la difesa di Taiwan quale alleato. Fino al momento in cui la RPC non avrà raggiunto la “frontiera tecnologica” e una capacità produttiva in grado di sostenere la domanda interna di semiconduttori, difficilmente potrà invadere militarmente l’isola. Quindi le sanzioni statunitensi, rallentando la corsa cinese nell’ambito dei semiconduttori, allontanerebbero lo scenario di un’invasione di Taiwan[12].
Questa la situazione ad oggi. Tuttavia, lo scenario potrebbe cambiare drasticamente con la rielezione di Donald Trump e del suo vice J.D. Vance con una politica industriale volta a ridurre i costi energetici e ridurre la regolamentazione per attrarre più onshoring.
Trump, noto per la sua forte opposizione alla Cina durante la sua precedente presidenza, ha accennato, quasi “casualmente”, che gli Stati Uniti potrebbero non difendere Taiwan, sottendendo così un via libera ad un’eventuale “conquista” cinese[13]. Questa è una posizione di enorme importanza, alla stregua dell’apertura a Mao di Kissinger nel 1971.
Come suggerisce Chau Thompson sulle colonne di Nikkei Asia, le critiche di Trump alle alleanze tradizionali e la sua propensione a concludere accordi suggeriscono che potrebbe adottare un approccio più transazionale dell’attuale amministrazione in carica. “Fondamentalmente, per Trump, la Cina è la sfida e la minaccia chiave. Vuole fermare la Cina, ma è anche un mediatore che dà e riceve. Taiwan, per lui, fa parte del suo piano per trattare con la Cina“, ha affermato Lin Chong-pin, professore associato presso il Graduate Institute of Strategic Studies della National Defense University di Taiwan. In tal senso, Lev Nachman, professore di scienze politiche alla National Taiwan University, ha messo in guardia dal dare per scontato che una seconda amministrazione Trump sarebbe uguale alla prima. “Non solo la sua retorica su Taiwan è cambiata, ma anche tutto il suo personale, in particolare quelli in politica estera, non è più lo stesso”, ha detto Nachman, facendo riferimento all’assenza nell’attuale squadra di Trump di funzionari chiave che in precedenza avevano guidato le politiche su Cina e Taiwan come l’ex Segretario di Stato Mike Pompeo e Matt Pottinger, un esperto di Cina ed ex vice consigliere per la sicurezza nazionale. A Taiwan, l’ex parlamentare Alex Tsai del principale partito di opposizione Kuomintang (KMT) ha previsto che la democrazia dell’isola sarà una pedina di scambio nei negoziati USA-Cina sotto Trump. Secondo Tsai, gli USA non invieranno truppe per difendere Taiwan se la Cina attacca[14].
Dello stesso avviso è il prof. Alessandro Volpi dell’Università di Pisa, secondo il quale dietro a questa opzione, mediaticamente coperta dal ritiro di Joe Biden, potrebbe ravvisarsi il tentativo di un accordo con Pechino per mantenere il dollaro come valuta dominante[15].
Trump, infatti, mira a reindustrializzare gli Stati Uniti e a riportare in patria una parte significativa della produzione. Per realizzare questo, sono necessari finanziamenti internazionali che si concretizzano nell’acquisto del debito statunitense, il che richiede che la dollarizzazione non sia messa in discussione. La Cina è un elemento centrale in questo processo poiché circa un terzo degli scambi globali coinvolgono beni e servizi cinesi, quindi, se la Cina decidesse di staccarsi del tutto dal dollaro, la centralità di quest’ultimo finirebbe.
Una cosa è certa: questo disegno, qualora fosse corretta tale interpretazione, necessiterebbe della disponibilità del Partito Comunista Cinese ad accettare la sopravvivenza della centralità del dollaro. Nel breve termine, Pechino potrebbe accettare una tale mediazione per prendersi il tempo necessario a sostituire definitivamente l’impero americano, processo già avviato liberandosi del debito statunitense e preparando una nuova soluzione monetaria alternativa al dollaro.
Approfondimento a cura di Nicola Lampis, Gilberto Moretti e Federico Scioli
Lugano, 04 agosto 2024
[1] Cfr. https://www.treccani.it/vocabolario/semiconduttore/
[2] Cfr. https://www.semiconductors.org/emerging-resilience-in-the-semiconductor-supply-chain/
[3] Cfr. BCG-x-SIA-Strengthening-the-Global-Semiconductor-Value-Chain-April-2021_1.pdf (semiconductors.org)
[4] Cfr. Understanding the Semiconductor Value Chain – Quartr Insights
[5] Cfr. Understanding the Semiconductor Value Chain – Quartr Insights
[6] Cfr. https://www.statista.com/outlook/tmo/semiconductors/worldwide#volume
[7] Cfr. https://www.statista.com/outlook/tmo/artificial-intelligence/worldwide#market-size
[8] Cfr. https://www.semiconductors.org/wp-content/uploads/2024/05/Report_Emerging-Resilience-in-the-Semiconductor-Supply-Chain.pdf
[9] Cfr. Kurilla, M., What Is the CHIPS Act?, in Council on Foreign Relations, 24.04.2024.
[10] Cfr. Aresu, A., TSMC – Stati Uniti, in Limes online, 12.04.2024.
[11] Cfr. Sinodinos, A., The latest US presidential twist throws the race wide open – but what could it mean for Australia?, in The Guardian, 22.07.2024.
[12] Cfr. Cardi, L., Geopolitica dei semiconduttori: tra libero mercato e sicurezza nazionale, in Geopolitica.info, 30.10.2023.
[13] Cfr. McCarty, S., Could a Trump-Vance win reshape America’s relationship with China – and Taiwan?, in CNN, 18.07.2024.
[14] Cfr. Thmpson, C., Taiwan braces for transactional Trump after ‘pay for defense’ remark, in Nikkei Asia, 18.07.2024.
[15] Cfr. Trump scopre le carte, Giacomo Gabellini intervista Alessandro Volpi, https://www.youtube.com/watch?v=22FNuZw3ELk