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Houdini

Immagine tratta dalla serie TV Houdini – History Channel – 2014

Ooh, what you doin’?
Don’t know who you think that you’re confusin’
I be like, “Ooh, it’s amusin'”
You think I’m gonna fall for an illusion

Dua Lipa – Illusion
Radical Optimism album, 2024

Chi ci segue da tempo sa bene come siamo fermamente convinti che “people are leaving institutions” sia la cifra economica e sociale della nostra epoca. “Broken politics = broken money” ma non solo: “Broken politics = broken data”, dato che creare confusione e ansia nelle teste dei cittadini è un obiettivo strutturale e sistematico.

Molto spesso in occidente si fa correttamente riferimento al fatto che ci sono altre zone del mondo, anche molto rilevanti economicamente come la Cina, dove la poca trasparenza dei dati e delle informazioni che vengono condivise dagli organi governativi rende difficile un’analisi puntuale del quadro economico e sociale. La Side View di oggi, attraverso alcuni esempi puntuali, pone l’attenzione sul fatto che, anche nei paesi del G8 ed in particolare gli Stati Uniti, l’utilizzo dei dati ufficiali deve essere gestito con estrema cautela e vuole essere una chiamata alle armi per gli investitori a non “prendere per buoni in modo acritico” i dati istituzionali, ricordando che come sempre solo il pensiero critico ed un approccio multidisciplinare e che ascolti più fonti, sono l’unico percorso da seguire nella complicata missione di preservazione del proprio patrimonio nel tempo. 

Il primo esempio parte davvero dalle basi: quanto è in salute l’economia americana? Questa domanda interessa non solamente gli investitori di tutto il mondo per capire verso quali asset indirizzare il proprio capitale, ma anche i funzionari delle più importanti istituzioni monetarie al mondo, come la Federal Reserve, la quale ha il noto obiettivo di garantire la stabilità dei prezzi e favorire la crescita economica.

Una metrica che gli analisti utilizzano per fare questa valutazione è la variazione mensile dell’occupazione attraverso il conteggio dei nuovi posti di lavoro. Questo dato è calcolato dall’Ufficio di Statistica del Lavoro (o Bureau of Labour Statistics – BLS) che mensilmente lo pubblica sul suo sito (https://www.bls.gov/) insieme alla revisione (positiva o negativa) del numero del mese precedente. Analizzando i dati dell’agenzia statistica governativa, fino al 21 agosto 2024 gli Stati Uniti hanno registrato una forte crescita dell’occupazione: da luglio 2023 a luglio 2024, l’economia ha prodotto 2’512’000 posti di lavoro, ossia circa 210’000 al mese. Da marzo 2023 a marzo 2024, i posti di lavoro sono cresciuti di 2’900’000, per un guadagno mensile di 242’000.

L’economia a stelle e strisce era davvero così in salute?

La risposta è arrivata a fine agosto scorso, quando il Bureau of Labour Statistics ha pubblicato, seppur in modo preliminare (quella ufficiale verrà pubblicata il prossimo febbraio), la revisione del dato nel periodo marzo 2023 – marzo 2024: stando all’annuncio del BLS, i dati sull’occupazione erano stati in precedenza sovrastimati di 818’000 unità fino a marzo 2024. Come mostra il grafico sotto, si tratta della più grande revisione dal 2009 e, mentre i cambiamenti sono rari (la revisione media si attesta solitamente ad un trascurabile 0.1% dell’occupazione totale), questa variazione dello 0.5% è degna di nota. Infatti, la crescita totale di posti di lavoro nei dodici mesi tra marzo 2023 e 2024 è ora di 2’082’000 e la media mensile scende a 173’000. Dovesse il BLS applicare lo stesso livello di revisione al ribasso nel periodo luglio 2023 – luglio 2024, i nuovi posti di lavoro creati sarebbero 1’694’000, riducendo i guadagni mensili a 141’000.

Se non bastasse poi: la serie Job Openings and Labour Turnover Survey (JOLTS) calcolata dal BLS produce stime mensili e annuali sulle nuove aperture di posti di lavoro. Il dato pubblicato ad inizio settembre ha mostrato che a luglio, il numero di posti di lavoro vacanti è crollato a 7.6 milioni, il più basso da gennaio 2021, rispetto al dato di giugno di 8.1 milioni. Come evidenzia il grafico sotto, si è trattato di uno scostamento rispetto alle aspettative di circa 5 deviazioni standard che ha portato il mercato obbligazionario a scontare un rallentamento del mercato del lavoro e conseguentemente dell’economia.

Il secondo grafico mostra la reazione del tasso governativo a 2 anni che subito dopo la pubblicazione del dato è sceso di circa 8 punti base scontando una politica monetaria della Federal Reserve più accomodante. Quello che il mercato sembra non considerare riguardo a questi dati è che la loro affidabilità è calata drasticamente nel tempo.

Secondo i dati raccolti da Interactive Brokers, il tasso di risposta degli intervistati in merito ai JOLTS è passato da circa il 70% di solamente 10 anni fa all’attuale 34%, rendendo di fatto la serie molto meno affidabile (grafico qui sotto).

Anche il secondo esempio non scherza quanto a centralità ed importanza: L’inflazione potrebbe essere stata più alta di quanto pensiamo.

In un thread su X dello scorso febbraio[1], l’ex segretario al Tesoro Larry Summers sosteneva che l’aumento dei tassi di interesse ha accelerato drasticamente il vero tasso di inflazione sperimentato da un cittadino medio. La critica principale mossa dall’economista di Harvard è che tale aumento dei prezzi non sia stato rilevato dalle misurazioni ufficiali del BLS (i.e. Consumer Price Index, o CPI), dando così la visione distorta alla banca centrale americana che il problema dell’inflazione si stesse via via risolvendo.

Prima del 1983, i costi dei mutui erano considerati all’interno dell’indice CPI, così come i finanziamenti per l’acquisto di un’auto prima del 1998: “Dal momento che la maggior parte delle persone non acquista la propria auto a titolo definitivo in contanti, è utile prestare attenzione al concetto di leasing e al concetto di prestito” afferma Larry Summers. Ora, gli indici dei prezzi non includono tali costi. Pertanto, quando i tassi di interesse sono saliti l’anno scorso, l’inflazione ufficiale non ha colto appieno gli effetti che questa dinamica ha avuto sul benessere dei consumatori.

Per essere del tutto chiari, Summers non sostiene che questa variabile debba essere aggiunta al paniere di prezzi presi in considerazione dal BLS. Questo perché, nel caso in cui la Federal Reserve alzasse i tassi, il valore dei finanziamenti aumenterebbe pari passu: aumentano i tassi di interesse, sale il costo dei mutui ipotecari e meccanicamente cresce il tasso di inflazione.

A causa di questa dinamica, i finanziamenti su mutui o leasing per la macchina sono stati via via esclusi dal calcolo dell’inflazione da inizio anni ’80: tuttavia Summers sostiene che bisognerebbe trovare un metodo che incorpori questi costi pur tenendo conto della loro elevata correlazione con l’andamento dei tassi di interesse anche alla luce del fatto che, secondo il sondaggio dell’Università del Michigan, le preoccupazioni dei consumatori riguardo ai costi di finanziamento (linea blu del grafico) siano ai massimi storici, superate solo nell’era Volcker (anni ’80).

In seguito a queste considerazioni, Larry Summers ha sviluppato una misurazione alternativa del CPI che prendesse in considerazione il costo del denaro. Come detto in precedenza, l’indice pubblicato dal BLS esclude il costo del mutuo, oltre ai pagamenti degli interessi personali che nel 2023 sono aumentati del 50% a causa della stretta monetaria attuata dalla banca centrale. Utilizzando il metodo per il calcolo dell’inflazione antecedente al 1983, il risultato è che l’inflazione ha toccato il picco al 18% (invece che al 9% a giugno 2022) e secondo l’ultima rilevazione disponibile (novembre 2023) si attestava ben al di sopra del dato ufficiale (linea blu del grafico sotto).

Una prova che i consumatori stiano soffrendo il rialzo generale dei prezzi (sebbene l’inflazione ufficiale si stia avvicinando al target del 2% e il tasso di disoccupazione rimanga sui minimi dal post Seconda Guerra Mondiale) è l’indice che rileva le percezioni e le opinioni (i.e. sentiment) riguardo l’economia (linea blu del grafico) che si attesta attualmente sui minimi storici. Considerando gli attuali livelli di inflazione e disoccupazione, il sentiment dovrebbe attestarsi sui livelli visti pre-Covid (linea rossa) ma l’attuale gap tra le due serie è il più ampio mai registrato.   

Proprio di recente, un articolo di Bloomberg[2] è tornato sul punto fatto dall’ex segretario del Tesoro Summers con un’intervista a Steve Reed, economista del BLS, il quale afferma che: “il CPI riesce a catturare la variazione dei beni e dei servizi che si acquistano per il consumo, ma ci sono cose che influenzano il costo della vita che vanno al di fuori di questo”. Per esempio, circa 628 miliardi di dollari di debito riconducibile all’utilizzo di carte di credito vengono prorogati o non pagati ogni mese con un tasso di circa il 22%. Ciò significa che, mentre l’articolo o il servizio acquistato con la carta di credito è incluso nella misura ufficiale del CPI, milioni di dollari di pagamenti di interesse non vengono conteggiati. Per riassumere, mentre i pagamenti degli interessi costituiscono una grossa fetta delle spese di molti americani, il CPI misura le variazioni di prezzo degli articoli acquistati, non quello del debito contratto per finanziare tali acquisti.

Come ammesso anche dallo stesso BLS, “il CPI non misura necessariamente la tua esperienza con la variazione dei prezzi” aggiungendo che “una media nazionale riflette milioni di esperienze individuali; raramente rispecchia l’esperienza di un particolare consumatore”. Tale dinamica non è unica al BLS; l’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali (o PCE), prodotto dal Bureau of Economic Analysis, presenta alcuni fattori poco chiari quando si tratta di misurare determinate spese come quelle per l’assistenza sanitaria: il PCE è indicizzato al tasso di inflazione delle tariffe legate al programma governativo “Medicaid” che però vengono negoziate dal governo e perciò inflazionate ad un tasso più basso rispetto alle tariffe applicate dalla sanità privata come mostrato dai due grafici sotto.

Mentre l’inflazione può sembrare in calo se consideriamo i dati ufficiali degli organi statali, la realtà vissuta degli americani è più complessa, influenzata da costi che si estendono oltre il paniere di beni tradizionalmente monitorato dai dati federali.

Un cambiamento necessario

Un nuovo studio pubblicato dall’American Statistical Association afferma che c’è in primis la necessità di utilizzare nuovi metodi per calcolare le statistiche macroeconomiche ma soprattutto di aumentare gli investimenti indirizzati a quegli organi che lavorano alla loro pubblicazione al fine che i dati rimangano affidabili e indipendenti da influenze politiche.

Gli autori – statistici della George Mason University, dell’Urban Institute e di altre istituzioni – hanno paragonato il sistema statistico a infrastrutture fisiche come autostrade e ponti: vitali, ma spesso ignorate fino a quando qualcosa non va storto. Lo studio, dal titolo “The Nation’s Data at Risk”, evidenzia la debolezza delle indagini prodotte in tutto il governo federale, compresi i dati sull’istruzione, la salute, la criminalità e le tendenze demografiche. I rischi per i dati economici sono particolarmente evidenti a causa dell’attenzione che ricevono dalla politica e dagli investitori. La maggior parte di questi dati si basa su indagini presso famiglie o imprese e, come evidenziato in precedenza, i tassi di risposta ai sondaggi sono calati negli ultimi anni, così come per i sondaggi privati.

Secondo l’analisi, il problema potrebbe essere in procinto di peggiorare. Di fronte all’aumento dei costi per condurre i sondaggi e un budget che non tiene il passo delle spese, il BLS ha recentemente dichiarato che prevede di ridurre le dimensioni del Current Population Survey di circa 5’000 famiglie nel prossimo anno fiscale (solitamente le famiglie intervistate sono 60’000)[3]. “Problemi legati alle preoccupazioni sulla privacy, le difficoltà a contattare gli intervistati nelle famiglie che utilizzano solo il cellulare e la disponibilità degli intervistati quando viene stabilito il contatto hanno contribuito al declino dei tassi di risposta“, ha dichiarato Ron Jarmin, vicedirettore del Census Bureau aggiungendo che “abbiamo ricercato e testato modi per stabilizzare o invertire questa tendenza, perché un tasso di risposta più elevato significa dati di qualità superiore“.

Gli esperti concordano sul fatto che le statistiche federali dovranno in ultima analisi incorporare più dati provenienti da fonti private e registri amministrativi. Questo processo è già iniziato: il Census Bureau, ad esempio, utilizza i dati degli aggregatori del settore privato Circana e Nielsen per ampliare i dati dei sondaggi utilizzati per il rapporto mensile sulle vendite al dettaglio. Ma un tale approccio richiede molte risorse, in quanto gli statistici governativi devono raccogliere e verificare dati esterni, capire come unire diverse fonti e testare le statistiche risultanti per garantirne l’affidabilità, il tutto continuando a produrre rapporti utilizzando i metodi tradizionali. Tuttavia, le risorse per questo tipo di innovazione sono in costante declino: i finanziamenti per il Bureau of Labor Statistics sono diminuiti del 18% in termini corretti per l’inflazione dal 2009, secondo il rapporto dell’American Statistical Association.

In conclusione, i dati economici pubblicati dagli enti governativi, come quelli riportati negli esempi precedenti su inflazione e occupazione, vanno sempre interpretati con un approccio critico. Tali numeri possono riflettere metodologie specifiche (e in parte anche obsolete) oltre che il bias di chi li commissiona o del referente politico di turno, guidato dal suo interesse particolare, di corto termine; ciò rischia di restituire una visione non completa e di parte della situazione. Per evitare interpretazioni affrettate è utile consultare più fonti e considerare diverse prospettive. Un atteggiamento critico può aiutare a costruire una comprensione più equilibrata della realtà economica ed interpretare i dati con maggiore consapevolezza senza lasciarsi incantare dai numeri come se fossero le illusioni di un moderno Houdini.

Approfondimento a cura di Nicola Lampis

Lugano, 3 novembre 2024


[1] https://x.com/LHSummers/status/1762607534676853015

[2] https://www.bloomberg.com/news/articles/2024-10-22/us-cpi-inflation-doesn-t-account-for-some-of-your-biggest-expenses?sref=6uww027M&embedded-checkout=true

[3] https://www.bloomberg.com/news/articles/2024-06-07/us-jobs-household-survey-size-to-be-cut-amid-budget-constraints?embedded-checkout=true

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