Private equity e aumento dei tassi
Con l’avvio delle politiche monetarie restrittive da parte delle banche centrali nel 2022, il mondo private markets ha subito una drastica riduzione sia nel numero che nei volumi degli investimenti e delle exit.
Lo vediamo per esempio con i dati legati al buyout raccolti da Bain per il 2023, dove si è registrata una contrazione del 60% ca. rispetto ai picchi del 2021.
Fonte del grafico: Bain, 2024
L’impatto del costo del debito
Il private equity spesso si basa sul debito per finanziare le operazioni: nel corso degli ultimi due anni l’aumento dei costi e l’accesso più limitato al debito hanno rallentato le attività di deal-making. Nel 2023, il valore delle emissioni di prestiti sindacati per LBO negli Stati Uniti e in Europa è crollato del 56%.
Questo si è verificato dopo un altro ripido calo (del 49%) verificatosi nel corso del 2022 rispetto al punto di massimo storico stabilito nel 2021.
Fonte del grafico: Bain, Pictet, 2024
Un difficile contesto di fundraising
I bassi livelli di exit e di deal-making che il mercato sta sperimentando hanno reso notevolmente più complicato il processo di fundraising: poche exit si traducono in poche distribuzioni agli investitori – che di conseguenza impegneranno meno commitment su nuove iniziative.
Annualizzando il dato, ad Agosto 2024 si registrano ca. USD 1.2Tn di fundraising, il 33% in meno rispetto ai picchi del 2021, con una flessione registrata su tutte le classi di attivo.
Fonte del grafico: JP Morgan, 2024
Commitment sempre più concentrati
Oltre ad un complicato contesto di fundraising, nel corso del 2023 e del 2024 si è anche vista una crescente concentrazione dei nuovi commitments su fondi con dimensione superiore a USD 1Bn: in momenti di incertezza, gli investitori preferiscono andare su gestori con un track record consolidato ed un taglio istituzionale, a discapito di manager emergenti e fondi di più piccole dimensioni.
Fonte del grafico: Pitchbook, 2024
Holding period dei buyout vicino ai massimi
L’holding period, ovvero il tempo per cui un asset resta in portafoglio, per i buyout americani ha raggiunto il massimo storico nel 2023, superando i 6 anni. Anche l’Europa nel corso del 2024 si è riavvicinata ai suoi massimi di sempre.
Questa dinamica impatta in ultima istanza sugli IRR dei vintage che sono adesso in periodo di disinvestimento e fornisce allo stesso tempo una importante forza contrattuale a tutti i manager in periodo di investimento.
Tutto ciò va ad ulteriore conferma dell’importanza di diversificare tra vintages nei programmi di investimento in private markets.
Fonte: Prequin pro, 2024
I net cash flows restano negativi
Come diretta conseguenza del difficile contesto, i net cash flows (la differenza tra richiami di capitale e distribuzioni) si confermano al momento in territorio negativo: arrivano quindi più richiami che distribuzioni. Diversi investitori si rivolgono quindi al mercato del secondario per dismettere alcune delle loro partecipazioni in fondi, così da poter generare liquidità e far fronte alle esigenze di cassa derivanti dai commitments residui in essere.
Fonte del grafico: Pitchbook, 2024
Secondario: il mercato “dell’usato” in crescita
Come ulteriore conferma del ruolo da “normalizzatore” di mercato che riveste il secondario, per il 2024 si prevede un anno record, con un valore transato globale stimato in USD 140Bn. Questo è un mercato piuttosto concentrato, con alcuni grandi fondi (es. Ardian, Lexington, Strategic Partners) che hanno raggiunto dimensioni superiori ai USD 20Bn.
Data la grande diversificazione dei sottostanti che gli stessi vanno ad acquisire, il secondario è anche caratterizzato da una minore dispersione di ritorni tra gestori rispetto al private equity tradizionale.
Fonte del grafico: Jefferies, 2024
Sconti medi per le transazioni di secondario
Gli sconti sul mercato del secondario restano su livelli importanti: se da un lato la media delle diverse strategie registra un 10% ca. di sconto sul NAV, alcune classi di attivo registrano degli sconti molto più significativi: tra queste in particolare il real estate e il comparto early stage del private equity (Venture Capital & Growth), quest’ultimo penalizzato in particolare dai bassi livelli di IPO registrati negli ultimi anni, che rappresentano uno degli exit path principali per questo tipo di strategie.
Fonte del grafico: PJT Partners, 2024
Poche IPO = poche exit per il growth
Dopo il boom di IPO in USA (ma anche a livello globale) registrato durante l’anno record 2021, negli ultimi 3 anni il mercato ha ritracciato su livelli notevolmente inferiori rispetto al passato, attestandosi al di sotto del 2019 sia come numero di IPO sia come valore totale.
Come riferimento, le IPO nel 2021 avevano rappresentato oltre il 30% delle exit per il comparto growth. Molti dei fondi che avevano previsto una IPO come exit strategy entro 4-5 anni dall’investimento iniziale, sono ora costretti a valutare altre alternative.
Fonte del grafico: FT, 2024
Exit: Raggiunto il punto di flesso nel 2024?
Appreso che non si viene da un periodo particolarmente positivo, la domanda è: si intravede la luce in fondo al tunnel? Secondo i dati pubblicati da Pitchbook sui livelli di exit USA per i primi nove mesi del 2024, sembra essere stato raggiunto un punto di flesso nel corso dell’anno.
Vedremo a fine 2024 l’entità della ripresa, ma questo lascia sperare che il mercato si stia effettivamente stabilizzando su livelli superiori, e che questo possa a tendere riportare i net cash flows in territorio positivo.
Fonte del grafico: Pitchbook, 2024