
(foto: Now you see me 2, film 2016)
«Pensavo a James Ellroy, a American Tabloid. In quel libro, per immaginare chi avesse ucciso Kennedy, Ellroy aveva messo in campo decine, centinaia di protagonisti, portando allo scoperto tutti i fili della possibile cospirazione. Certo, inventando quello che non sapeva, immaginando scene, personaggi, intrecci, ambientazioni…Ellroy, però, partiva da migliaia di pagine ufficiali, dai rapporti di varie commissioni del Congresso, da foto e da filmati, da una valanga di controinchieste più o meno suffragate. Noi, invece, niente. Non avevamo, e non avremmo avuto, nemmeno lo scontrino di una lavanderia, la ricevuta di un versamento in banca, un biglietto del tram o del metrò.» (Bruno Arpaia, Il fantasma dei fatti)
Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un’impressionante accelerazione del processo di cambiamento della struttura dell’intero ordine mondiale da parte dell’amministrazione statunitense con il congelamento dei fondi diretti all’USAID e al NED (National Endowment for Democracy), l’avvio dei negoziati per una soluzione del conflitto ucraino tra Trump e Putin, con l’esclusione della UE e dello stesso Zelensky, al dirompente discorso del vice presidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, probabilmente il più importante geopoliticamente parlando degli ultimi anni che trova, infine, plastica rappresentazione nel voto del 24 febbraio all’Assemblea Generale delle Nazioni in cui Washington e Mosca si sono schierate contro una risoluzione che condannava l’aggressione russa in Ucraina, sostenuta da UE e Kiev[1].
La lente scelta dalla maggioranza dei media per leggere questo particolare momento è stata per lo più morale, per cui alle analisi si sono sostituite l’indignazione o l’incredulità a fronte delle decisioni del Presidente Trump, ascrivendole di volta in volta alla sua incapacità, o cattiveria o, addirittura, all’essere lo stesso tycoon manovrato da Putin. Un approccio che non aiuta la comprensione.
Come di consueto, con lo scritto di oggi prendiamo le distanze dal coro e proviamo a mettere in relazione questi episodi con l’ideologia di fondo che l’attuale amministrazione USA porta avanti e che unisce la variegata costellazione di movimenti e centri studi che formano il MAGA, da quelli più tradizionalmente conservatori ai cosiddetti tecno-ottimisti, che hanno in Elon Musk e nel suo gruppo di lavoro, il Department of Government Efficiency (DOGE), nato con l’obiettivo di modernizzare le infrastrutture digitali degli Stati Uniti, la massima espressione.
Il Realismo jacksoniano
La lente che vi proponiamo per interpretare la complessità della politica estera statunitense e, in particolare, quella dell’attuale amministrazione, è lo schema elaborato dal politologo Walter Russel Mead[2]. Mead individua quattro modelli corrispondenti ad altrettante figure di presidenti statunitensi: Alexander Hamilton, Thomas Woodrow Wilson, Thomas Jefferson e Andrew Jackson.
Questo schema di orientamento, a cui noi aggiungiamo un riferimento alle due principali dottrine di relazioni internazionali, ci è utile soprattutto perché permette fin da subito di uscire dalla logica della “mostrificazione” ai danni di Trump, evidenziando come certe posizioni siano tradizionalmente presenti nel dibattito statunitense[3].
MODELLI | DOTTRINA | ORIENTAMENTI |
Hamiltoniani | IDEALISMO | Considerano la politica estera in termini prevalentemente economici e commerciali; l’interesse strategico nazionale è rappresentato dal dominio sui mari. |
Wilsoniani | Ritengono che gli Stati Uniti abbiano il diritto/dovere di ingerenza negli affari interni degli altri Stati per promuovere la democrazia perché un mondo popolato da democrazie è un mondo più sicuro. | |
Jeffersoniani | REALISMO | Auspicano una politica estera che abbia come principale obiettivo strategico la difesa dei valori di libertà e democrazia all’interno del paese piuttosto che la loro esportazione all’estero. |
Jacksoniani | La scuola jacksoniana diffida delle alleanze permanenti perché gli interessi degli Stati sono mutevoli: ne deriva che il multilateralismo deve essere abbandonato a favore del perseguimento dell’interesse nazionale. |
Lo schema medesimo riflette, dunque, la contrapposizione fondamentale nella teoria delle relazioni internazionali tra realisti (come appunto il jacksoniano Trump) e globalisti idealisti (come i liberal Biden, Obama, Clinton e persino il repubblicano George W. Bush). In politica estera, i jacksoniani non sentono il bisogno di diffondere la democrazia nel mondo. Guardano con diffidenza alle Nazioni Unite e al diritto internazionale che vincolerebbe gli Stati Uniti. Solo nel caso in cui gli Stati Uniti vengano attaccati, ritengono di dover usare ogni misura per difendere il paese.
Ciò spiega, ad esempio, perché i jacksoniani giustifichino la guerra implacabile contro i terroristi e, pertanto, l’appoggio incondizionato ad Israele[4].
Il globalismo si basa sulla logica opposta: postula che il ruolo degli USA sia quello di essere un baluardo, difensore e sponsor della democrazia liberale, al servizio di interessi sovranazionali e dell’ideologia neoliberale. Il liberalismo economico, infatti, che è fondamentale per qualsiasi società moderna, si è trasformato dagli anni ‘80 in neoliberismo portando i principi del libero mercato agli estremi e producendo alti livelli di disuguaglianza e instabilità. Così, a sinistra, la disuguaglianza è stata reinterpretata non come disuguaglianza tra ampie classi sociali come borghesia e proletariato, ma come marginalizzazione di gruppi di identità più ristretti basati su razza, etnia, genere o orientamento sessuale da parte di una struttura di potere dominante, ciò che si potrebbe etichettare come “liberalismo woke”.
Come scrive il filosofo russo Alexander Dugin, Trump si oppone al globalismo perché respinge ogni forma di istituzione sovranazionale come l’ONU, l’OMS e l’Unione Europea, considerando, come i realisti tradizionali, che la massima autorità sia lo stato nazionale sovrano, senza nulla sopra di esso. Questo principio è alla base del suo slogan “Make America Great Again” (MAGA). Secondo questa visione, gli Stati Uniti sono una grande potenza che deve operare a livello globale come un attore indipendente, focalizzandosi esclusivamente sui propri obiettivi, valori e interessi. L’ideologia di Trump rifiuta qualsiasi forma di internazionalismo o discorsi su “valori universali”, “democrazia globale”, “diritti umani” e concetti simili. La priorità assoluta è il benessere dell’America. Chi condivide questo progetto è visto come alleato o amico, mentre chi si oppone è considerato nemico. Gli Stati Uniti non hanno altri obiettivi se non la propria prosperità e nessuna autorità ha il diritto di dettare agli americani cosa fare e come agire[5].
All’interno di questa cornice, diventa più facile comprendere gli ultimi accadimenti e appare in tutta la sua evidenza l’intento di Trump di smantellare il mondo immaginato e costruito finora dai globalisti in nome di una visione, però, anch’essa essenzialmente americana.
La chiusura di USAID, NED e USIP
A inizio febbraio, l’amministrazione Trump ha messo nel mirino l’USAID, l’agenzia di assistenza estera, scatenando un acceso dibattito a Washington tra i repubblicani che accusano il carattere ideologico dei programmi USAID, da un lato, dall’altro i democratici che difendono l’agenzia per motivi umanitari.
L’USAID (United States Agency for International Development) è un’agenzia governativa statunitense creata nel 1961 dal presidente John F. Kennedy tramite ordine esecutivo al culmine della Guerra Fredda nel 1961, sulla base dell’autorità fornita dal Foreign Assistance Act del 1961, per contrastare l’influenza sovietica all’estero.
Il NED (National Endowment for Democracy) è un’agenzia fondata dal Governo degli Stati Uniti nel 1983 sotto l’amministrazione Reagan, nella fase finale della Guerra Fredda e del confronto con l’Unione Sovietica. Il suo obiettivo, in sinergia con l’Usaid e altre agenzie, è quello influenzare la politica di Paesi stranieri attraverso il soft power al fine di promuovere la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto.
L’USIP (US Institute of Peace) è stata fondata nel 1984 come organizzazione indipendente dedicata alla protezione degli interessi degli Stati Uniti aiutando a prevenire, mitigare e risolvere i conflitti violenti all’estero. Il suo lavoro mira a ridurre il rischio che gli Stati Uniti vengano trascinati in costose guerre straniere.
Sebbene, USAID abbia certamente finanziato anche progetti umanitari che hanno salvato vite, come il United States President’s Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR), quello che emerge è un imponente dirottamento dei fondi in attività di propaganda ideologica e di “promozione della democrazia” non solo fallimentari nel contrastare le grandi potenze rivali degli Stati Uniti ma responsabili di minare l’influenza degli Stati Uniti nel Sud del mondo, dimostratisi nettamente contrari alla propaganda liberal occidentale[6].
Infatti, a differenza dei media occidentali, intenti a chiedersi che fine faranno le iniziative benefiche dell’USAID in giro per il mondo, alcuni media asiatici non hanno perso l’occasione per elencarne gli abusi facendo da eco all’amministrazione Trump.
Così, l’agenzia turca Anedolu riporta che l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale ha destinato per decenni ingenti somme di denaro a programmi per la diversità e l’inclusione LGBTQ. Per fare qualche esempio: sono stati spesi 1,5 milioni di dollari per “promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione nei luoghi di lavoro e nelle comunità imprenditoriali della Serbia, 47.000 dollari per un’opera transgender in Colombia e 32.000 dollari per un ‘fumetto transgender’ in Perù”. L’elenco di sprechi includeva inoltre 2 milioni di dollari per il cambio di sesso e l’attivismo LGBT in Guatemala[7].
Per il Global Times, organo ufficiale di Pechino, l’USAID ha supportato “agenti” degli Stati Uniti in altri paesi attraverso aiuti per espandere l’influenza e gli interessi di Washington nelle regioni beneficiarie, promuovendo ed esportando nel contempo valori e ideologie americane nel processo[8].
Ancora più duro e tagliente, lo Sri Lanka Guardian (SLG) che in un articolo del 3 febbraio, citato a titolo di esempio per questo motivo anche da Eurasia Review, definisce l’USAID addirittura come un “mostro sotto mentite spoglie”, ritenendo cruciale la spinta di Trump nell’evidenziarne le responsabilità. “Questa agenzia che afferma di essere un faro di democrazia e diritti umani, opera sotto un programma molto più insidioso di interferenza geopolitica, manipolazione e sfruttamento dei sistemi politici stranieri”, ha sostenuto il SLG. Ha inoltre affermato che il cosiddetto “finanziamento per la democrazia” dell’agenzia è uno stratagemma, ovvero una narrazione attentamente costruita progettata per nascondere i suoi veri obiettivi di destabilizzare i governi e controllare il panorama politico nelle nazioni per servire gli interessi geopolitici degli Stati Uniti”. Il SLG fornisce un lungo elenco di esempi a sostegno di questa affermazione che include il coinvolgimento dell’agenzia a Cuba nel progetto “ZunZuneo” (espressione gergale cubana che indica il colibrì), un’operazione di sorveglianza segreta progettata per tracciare e profilare le inclinazioni politiche dei cittadini cubani e manipolarne il pensiero politico in chiave antigovernativa[9]. Non si tratta di un caso isolato, come dimostra un progetto simile finanziato in Venezuela, che prendeva di mira il governo di Nicolas Maduro. Ancora, in Egitto l’agenzia è stata coinvolta nel movimento della “primavera araba” che ha rovesciato il presidente Hosni Mubarak.
L’Ucraina è un altro paese in cui USAID ha versato milioni di dollari nel corso degli anni per costruire un movimento anti-Russia[10]. Arricchiamo, quindi, l’elenco con i 16,8 miliardi di dollari dei 43,4 miliardi di dollari totali destinati all’agenzia nel 2023 e impiegati per il finanziamento di “media indipendenti” in Ucraina e decine di milioni nelle elezioni in Georgia.

Vi è, infine, un altro aspetto delle attività dell’USAID che intercetta una parte sostanziale dei finanziamenti, ovvero l’assistenza ad altre agenzie di aiuti americane e occidentali come la National Endowment for Democracy.
Arriviamo così all’ordine esecutivo del 19 febbraio con cui il presidente Donald Trump ha avviato una significativa riduzione della burocrazia federale, colpendo non solo enti come USAID e il National Endowment for Democracy (NED), ma anche numerose altre agenzie e comitati consultivi federali. L’ordine firmato dal presidente Usa stabilisce una “politica volta a ridurre le dimensioni del governo federale, diminuirne gli sprechi e aumentarne la responsabilità verso i cittadini americani”[11]. Tra queste figura l’USIP, l’US Institute of Peace.
A dare una prospettiva non allineata è anche il giornalista e blogger investigativo americano Lee Fang che descrive l’USIP come un’entità orwelliana. Il think tank finanziato dai contribuenti, infatti, lungi dall’essere un baluardo per la pace, riunisce i massimi sostenitori dell’intervento militare americano all’estero. La sua leadership negli ultimi anni include Stephen Hadley ed Eric Edelman, gli alti funzionari dell’amministrazione Bush coinvolti nella guerra al terrorismo. Roger Zakheim, membro del CDA dell’USIP, è un ex lobbista dell’industria della difesa che ha spinto pubblicamente per budget di difesa più elevati e un coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti a Gaza e in Iran. Gran parte del lavoro regolare dell’USIP, scrive Fang, consiste nell’ospitare leader militari americani per discutere del mantenimento dell’impero statunitense. L’USIP pubblica, poi, regolarmente articoli e podcast sull’importanza di un aumento degli armamenti della NATO e sulla necessità di aumentare le sanzioni economiche sugli avversari degli Stati Uniti. Ad esempio, un recente rapporto dell’istituto sostiene l’installazione di missili a lungo raggio in Germania, un sistema progettato per lanciare armi nucleari in Russia[12].
JD Vance alla Conferenza di Monaco
Alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza del 2025, J.D. Vance ha fatto un intervento che ha sbalordito gli uditori: il vicepresidente degli Stati Uniti ha sottolineato che la principale minaccia per l’Europa non viene da attori esterni come la Russia, ma anche dalle problematiche interne, come la crisi della democrazia e la crescente censura ad opera dell’élite globalista che ne è alla guida.
In particolare, ha citato il caso delle elezioni in Romania nel 2024, descritte come un esempio di indebolimento della democrazia. Vance ha esortato i politici europei a prestare maggiore attenzione alle preoccupazioni dei cittadini, come l’immigrazione e il malcontento sociale, sostenendo che ignorarle potrebbe minare ulteriormente la fiducia nel sistema democratico.
Il vicepresidente degli Stati Uniti ha messo in discussione la sostenibilità dell’assistenza militare e finanziaria a Kiev senza una chiara strategia di fine del conflitto.

Scrive Francesco Dall’Aglio, medievista esperto di Est Europa e questioni strategiche nonché animatore del seguitissimo canale Telegram War Room, che ciò che emerge dal vertice di Monaco è il disimpegno statunitense dal conflitto in Ucraina, accompagnato a un atteggiamento di disinteresse, se non quasi di ostilità, nei confronti dell’Europa stessa intesa come sintesi di NATO/UE[13].
Qual è il mondo che Trump sta costruendo?
Dal suo insediamento, Trump ha dichiarato che Washington si ritirerà dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dal patto negoziato all’interno dell’OCSE per tassare le grandi multinazionali[14]. In seguito, sono arrivati gli attacchi per smantellare le istituzioni internazionali associate agli ultimi ottant’anni, tra cui l’ONU, l’OMS, l’USAID e, come abbiamo visto a Monaco, la NATO e la UE. Trump non sta sostenendo l’egemonia occidentale, ma l’egemonia nazionale americana diretta. Trump vede il nuovo ordine mondiale come una rottura definitiva sia con il sistema di Yalta sia con il momento unipolare del globalismo.

A Monaco si è certificato l’addio al multilateralismo: la Russia non è più una minaccia esistenziale e la NATO europea non è più una cosa sulla quale sia necessario investire troppo.
Per quanto riguarda l’Europa, Trump sembra preferire un’Europa frammentata in stati nazionali ad una grande Europa unita potenzialmente concorrente degli USA, soprattutto finché l’UE rimane sotto il controllo dell’élite liberale e globalista, ideologicamente avversaria. In tal senso, lo slogan coniato da Elon Musk, “Make Europe Great Again” (MEGA), implica proprio la sostituzione di questa élite euro-globalista favorendo l’ascesa di populisti di destra, o euro-trumpisti.
In conclusione, sta arrivando un’America più isolazionista, secondo il modello jacksoniano appunto, determinata ad espandere il suo controllo diretto nella propria sfera di influenza nel nuovo ordine mondiale multipolare che si sta determinando.
In chiusura, un ottimo compendio letterario a quanto detto finora è il “quasi-romanzo” di Bruno Arpaia, Il fantasma dei fatti (ed. Guanda). Si tratta in realtà di un ibrido: per tutto il libro ci si chiede se si stia leggendo un saggio sulla storia di intrighi e potere dell’Italia dei primi anni Sessanta oppure un romanzo. Infatti, Tom il Greco è nientemeno che Thomas Hercules Karamessines (personaggio tutt’altro che di fantasia), newyorkese di origini greche, arruolato nei servizi segreti durante la Seconda Guerra mondiale, arrivò a lavorare nell’Office of Policy Coordination (OPC), l’ala delle operazioni segrete della CIA creata nel 1948. L’OPC si concentrava su propaganda e guerra economica mediante azioni dirette preventive, tra cui sabotaggio, antisabotaggio, misure di sovversione contro stati ostili, assistenza a gruppi di resistenza clandestini nei paesi minacciati del mondo libero durante la guerra fredda. Tra l’ottobre del 1961 e i primi mesi del 1964, il Greco è a capo della stazione Cia di Roma e proprio allora in Italia si verificano quattro avvenimenti molto particolari, dall’incidente all’ingegnere cinese che stava sviluppando un calcolatore elettronico tutto italiano per Olivetti alla morte di Enrico Mattei, che finiscono per ridimensionare non poco il ruolo politico del belpaese. Un romanzo che ci aiuta a riflettere sulle ingerenze di Washington negli affari interni di altri Paesi dal dopo guerra ad oggi.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti
Lugano, 2 marzo 2025
[1] Cfr. Vivaldelli, R., Svolta all’Onu: gli Usa votano con la Russia contro la risoluzione sull’Ucraina, in InsideOver, 24.02.2025.
[2] Cfr. Mead, W.R., Special Providence: American Foreign Policy and How It Changed the World, Routledge, 2002; cfr. Pezzoli, A. Lose Yourself, in Side Views, brightside-capital.com, 27.10.2020.
[3] Cfr. Karacay, K., School of thought that influenced American Foreign Policy, in Foreign Analysis, 05.05.2024.
[4] Cfr.Taspinar, O., Reviving Jacksonian Realism: Trump’s Foreign Policy in Potential Second Term, in Emirates Policy Center, 11.10.2024.
[5] Cfr. Dugin, A., Trump has a plan, in katehon.com,13.02.2025.
[6] Cfr. Earvolino, A., Why USAID No Longer Makes Sense, in American Conservative, 14.02.2025.
[7] Cfr. Dincel, S., In ‘waste’ of money, USAID channeled vast sums for DEI, LGBTQ programs: White House, in Anadolu Agency, 04.02.2025; cfr. Seneviratne, K., Trump’s Campaign To Cut USAID May Have A Silver Lining – OpEd, in Eurasia Review, 09.02.2025.
[8] Aa.Vv., GT investigates: How does USAID use aid to interfere with and ‘brainwash’ recipients?, in Global Times, 20.02.2025.
[9] Cfr. Aa.Vv. US secretly created ‘Cuban Twitter’ to stir unrest and undermine government. USAid started ZunZuneo, a social network built on texts, in hope it could be used to organize ‘smart mobs’ to trigger Cuban spring, in The Guardian, 03.04.2014.
[10] Cfr. Aa.Vv., Trump Unmasks USAID: The Monster in Disguise, in Sri Lanka Guardian, 03.02.205.
[11] Cfr. Vivaldelli, R., La scure di Trump sull’Usip, il think-tank che promuove le guerre, in InsideOver, 25.02.2025.
[12] Cfr. Fang, L., Unwinding Government’s ‘U.S. Institute of Peace’ Unlikely to Undermine Peace, in leefang.com, 24.02.2025.
[13] Cfr. Dall’Aglio, F., La guerra fredda ce l’hanno in testa, in arianneditrice.it, 16.02.2025.
[14] Cfr. Vidal Liy, M., Trump’s new world order: Goodbye to international agreements, hello to isolationism,in El Pais, 22.01.2025.