“Quando il passato è sempre con te, potrebbe anche essere presente e, se è presente, sarà anche futuro.”
(William Gibson, Neuromante)
La condizione di spaesamento, di confusione e, in molti casi, di allarme causata dall’azione di smantellamento delle strutture transnazionali rappresentative dell’ordine globale liberale iniziata da Trump, che accelera vertiginosamente l’affermarsi di un nuovo ordine multipolare basato sull’equilibrio tra grandi potenze, ci spinge a proseguire nel percorso già iniziato con le precedenti Side Views di mappatura delle tendenze che stanno cambiando il mondo con l’obiettivo di chiarire, per quanto possibile, da dove prendano le mosse.
IL TITOLO: UN NUOVO ORDINE EMERGE DAL CAOS
Chaosmos è un termine, originariamente inventato dallo scrittore James Joyce in Finnigans Wake, reso famoso dal filosofo Felix Gattari. Il termine unisce i concetti di caos (disordine, potenziale di cambiamento) e kosmos (ordine, armonia). In Gattari, questi termini non sono in opposizione ma rappresentano forze che si mescolano e interagiscono: il caos genera nuove forme di ordine, mentre l’ordine è in costante evoluzione grazie al caos.
La notizia da cui prendere spunto non può che essere quella della storica telefonata intercorsa il 12 febbraio tra il Presidente degli Stati Uniti e quello della Federazione Russa che ristabilisce il dialogo tra le due potenze, interrotto dall’inizio dell’operazione speciale in Ucraina. A seguito della stessa, negoziatori statunitensi e russi si sono incontrati nella capitale saudita Riyad e hanno concluso un ciclo di colloqui durato 12 ore, volto a garantire un cessate il fuoco parziale in Ucraina.
Dai resoconti della stampa specializzata e dalle dichiarazioni rilasciate dai protagonisti, sappiamo che il tycoon e Putin hanno avviato una discussione che non riguarda solo l’Ucraina, ma si concentra sulla rilegittimazione della Russia. Il segretario di Stato, Marco Rubio, ha parlato di una “cooperazione geopolitica ed economica” come incentivo per concludere il conflitto in Ucraina. Qualora un accordo venisse raggiunto, si prevede la fine delle sanzioni e persino investimenti americani, che i russi vorrebbero utilizzare nell’Artico.
La scelta di Riyad per il primo incontro non è casuale: la cooperazione in corso di Riyad con la Russia per gestire i prezzi del petrolio all’interno dell’OPEC+, ospitando anche il presidente ucraino Zelenskyy al vertice della Lega araba nel 2023, ha rafforzato la capacità del regno saudita di presentarsi come un partner neutrale e vi è sullo sfondo la possibilità di un’intesa tra i tre principali produttori di petrolio (Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti) per stabilizzare il prezzo del barile [1]. Inoltre, in tale scelta è evidente l’interesse per il quadrante mediorientale, con l’intenzione di coinvolgere la Russia nel contenimento del conflitto Iran-Israele e nelle pressioni a Teheran per un nuovo accordo sul nucleare[2].

Nel frattempo, Trump ha inviato messaggi chiari riguardo all’Europa, indicando che la nuova amministrazione vuole disinnescare la NATO, vederla come una semplice alleanza difensiva, e ridurre la sua influenza in Europa. Un’indicazione di questa strategia è l’intervento di J.D. Vance a Monaco, dove ha sostenuto che il vero nemico non è la Cina o la Russia, ma la decadenza interna delle élite liberali. Questa visione si estende anche alla politica estera, in particolare all’esportazione della democrazia che, secondo Trump, spesso porta alla guerra.
In sintesi, Trump offre ai russi una prospettiva di normalizzazione delle relazioni, ma allo stesso tempo insiste su una revisione completa degli equilibri geopolitici, chiedendo all’Europa di non considerare più Mosca come una minaccia.
Sebbene, i colloqui non abbiano portato per il momento ad alcun tipo di piano concreto per la pace in Ucraina è, altresì, evidente che Putin e Trump stiano gettando le basi per una nuova architettura delle relazioni internazionali.
L’ordine che sta prendendo forma sotto i nostri occhi segna una netta discontinuità con l’unipolarismo liberale, promosso dalle precedenti amministrazioni statunitensi all’indomani della fine della Guerra Fredda.
Queste notizie ci consentono di svolgere il seguente ragionamento.
Premessa
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti attraversano due fasi, quella dello scontro ideologico con l’URSS e il blocco socialista durante la Guerra Fredda (1947-1991) e il periodo dell’unipolarismo e della “fine della storia” con il trionfo e l’esportazione del modello liberale occidentale (1991-2024).
In questa seconda fase, usciti vincitori dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, gli USA diventano l’unica superpotenza globale politica, militare e ideologica: l’iperpotenza. Negli anni Novanta, tale predominio ideologico si incarna nell’affermarsi dell’ideologia liberal di sinistra che combina gli interessi del grande capitale internazionale con quelli della cultura individualista progressista.
L’idea fondamentale, sostenuta trasversalmente dai Dem e dai Repubblicani influenzati dai neoconservatori (ideologici e interventisti), era che il capitalismo a guida americana avrebbe mantenuto una traiettoria di crescita mediante la diffusione globale dei valori democratici e liberali.
Gli anni Novanta

Alcuni intellettuali americani cominciano ad esprimere riserve sulla fattibilità a lungo termine di questo approccio. Un esempio chiaro di questo è rappresentato dall’idea di “scontro delle civiltà” di Samuel Huntington, il quale predisse sostanzialmente l’avvento della multipolarità. A questa analisi, tuttavia, fu preferita quella offerta da un altro intellettuale, Francis Fukuyama, che parlava di “fine della storia”. La sua argomentazione era che la storia aveva dimostrato la forma ideale di organizzazione politica: economia di mercato e stati democratici liberali che cooperano tra loro interconnessi grazie al diritto pubblico internazionale e alle organizzazioni transnazionali. Secondo Huntington, al contrario, la fine della Guerra Fredda non solo non avrebbe portato all’affermarsi di un modello unico ma, anzi, avrebbe liberato le diverse civiltà dal giogo del bipolarismo politico ed ideologico USA-URSS, lasciandole libere di svilupparsi autonomamente con modi e tempi differenti tra loro.

A partire dagli anni 2000, il capitalismo globale e la crescente interconnessione economica, pur portando in alcune aree a una maggiore prosperità, iniziarono anche a generare crescenti disuguaglianze e una reazione da parte di diverse aree del mondo. La globalizzazione, infatti, contribuì alla frammentazione della politica mondiale e conflitti interni, con movimenti populisti, nazionalisti, indipendentisti e protezionisti che emersero in risposta alle sue sfide.
L’idea di una globalizzazione che avrebbe unito i popoli del mondo iniziò a vacillare, con nuove crisi economiche (come la crisi finanziaria del 2007-2008) e l’aumento della polarizzazione politica.
La globalizzazione neoliberista, che inizialmente sembrava spingere verso un mondo sempre più interconnesso, ha portato alla creazione di catene di fornitura globali complesse, ha anche esacerbato le disuguaglianze, alimentando il malcontento sociale e la sfiducia verso le istituzioni. La crisi economica e le tensioni geopolitiche hanno accelerato il fenomeno di “deglobalizzazione” e protezionismo, segnando una fine di quella che sembrava una marcia trionfante verso un capitalismo senza confini.
L’élite occidentale si trova così di fronte alla scelta se continuare a perseguire questo disegno o riconoscere le tendenze in atto e cercare nuove risposte adattando la sua strategia a una realtà sempre più frammentata. Opta per la prima, ignorando le tendenze antagoniste e tentando di sopprimerle attraverso il dominio dell’informazione, le narrazioni guida e la censura nei media. Dopo la prima presidenza Trump, vissuta come un incidente di percorso, si è ritenuto di intensificare la pressione sugli oppositori, cercando di infliggere alla Russia un’improbabile sconfitta strategica, sopprimere l’espansione regionale della Cina (sabotando la Belt and Road Iniziative, l’ambizioso piano per sviluppare due nuove rotte in grado dii collegare la Cina al resto del mondo), contrastare l’ascesa dei BRICS, sedare i movimenti populisti negli USA e in Europa.
Questa linea si è rivelata fallimentare: la Russia non ha capitolato e ha resistito a pressioni senza precedenti; movimenti come la Brexit, la guerra commerciale USA-Cina e l’affermarsi quasi ovunque di partiti sovranisti hanno rappresentato risposte a questo processo di frammentazione.

Trump, dal canto suo, non si è arreso, ha consolidato la sua presa sul Partito Repubblicano a danno dei neocon. Nel tempo, il trumpismo che origina dal tradizionale pensiero isolazionista americano si è evoluto in un’ideologia con caratteristiche originali, la cui premessa centrale era che il globalismo aveva fallito e che sua crisi non era una narrazione propagandistica dei suoi avversari, di conseguenza si doveva abbandonare Fukuyama e seguire Huntington, tornare al realismo politico, abbandonare la cultura woke gli esperimenti liberal degli ultimi decenni.
L’affermazione del MAGA
Il punto di svolta è che una parte dell’élite capitalista americana ha riconosciuto la realtà della crisi del globalismo e ha deciso di abbandonare i vecchi schemi per promuovere il revisionismo trumpiano. Sicché, abbiamo assistito al nascere di un eterogeneo gruppo formato da personalità come Elon Musk, JD Vance, Peter Thiel, Robert F. Kennedy Jr., Tulsi Gabbard, Kash Patel, Pete Hegseth, Tucker Carlson e Alex Jones. JD Vance, ad esempio, si dichiara apertamente “post-liberale” segnando una rottura completa e totale con il liberalismo di sinistra e della destra neocon.
Il movimento MAGA, come abbiamo già avuto modo di dire, non è un monolite ma possiamo ricavare un tratto essenziale comune a tutte le sue anime nel rifiuto del globalismo e della visione di un unico mercato globale in cui i confini nazionali siano sempre più sfumati e gli stati nazionali cedano gradualmente i loro potere a organismi internazionali. In opposizione al nichilismo insito nell’individualismo progressista, i trumpisti sostengono valori e stili di vita tradizionali promuovendo il ritorno alle pratiche religiose, lo sport, la famiglia.
All’interno di questo quadro generale, una linea di demarcazione è quella tra destra tecnocratica e destra tradizionalista.
La destra tradizionalista è rappresentata da figure come Steve Bannon, l’ex consigliere per la sicurezza di Trump durante il primo mandato, e difficilmente da sola avrebbe potuto esprimere una visione convincente per il futuro e una macchina organizzativa in grado di contrastare e di battere nuovamente i liberal.
Alle elezioni del 2024, Trump ha ricevuto il determinante sostegno di figure chiave della Silicon Valley, oligarchi e tecnocrati tradizionalmente associati esclusivamente al Partito Democratico.
La partecipazione attiva di questa nuova destra tecnologica, insieme all’impegno dei giovani attraverso i social media e altri strumenti di influenza, ha assicurato la vittoria di Trump.
Progresso tecnologico e accelerazionismo
Nato negli anni ’90, questo gruppo è interamente dedicato all’accelerazione del ritmo del tempo, un processo che ha dato origine a un termine particolare e alla filosofia corrispondente, l’accelerazionismo, che trae origine dalla teoria della deterritorializzazione elaborata da Gilles Deleuze e Felix Gattari. Gli accelerazionisti credono che facendo rapidamente avanzare il progresso tecnologico, specialmente nei social media enell’intelligenza artificiale, l’umanità possa raggiungere un livello qualitativamente nuovo. In sostanza, ciò rappresenta un balzo verso la post-umanità o la super-umanità.
DETERRITORIALIZZAZIONE
Questo termine viene utilizzato anche per indicare quel fenomeno che porta gli uomini ad allacciare legami non più in base ai confini nazionali ma in relazione a flussi economici o a interessi comuni. Ne consegue una nuova identità determinata non più da spiriti nazionalistici ma in funzione di interessi comuni.
Ad un certo punto, tuttavia, gli accelerazionisti della Silicon Valley si sono divisi in due correnti: accelerazionisti di sinistra e accelerazionisti di destra. I primi credevano che il progresso tecnologico si allineasse naturalmente con un programma di sinistra-liberale e si opponevano fermamente al conservatorismo e al populismo. I secondi, tuttavia, avevano proposto già diversi decenni fa la tesi che il progresso tecnologico e l’accelerazionismo non dipendono affatto dall’ideologia prevalente nella società. Più radicalmente, sostenevano che l’ideologia liberale, con i suoi dogmi incrollabili, la politica di genere, la cultura woke, la DEI (Diversità, Equità, Inclusione), la cultura della cancellazione, la censura, la cancellazione dei confini e la migrazione incontrollata, attualmente ostacola lo sviluppo, non solo non riuscendo ad accelerare il tempo, ma rallentandolo attivamente. I leader intellettuali di questo movimento, come Curtis Yarvin e Nick Land, hanno formulato la teoria cosiddetta Dark Enlightenment (illuminismo oscuro), affermando che per entrare nel futuro, l’umanità deve scartare i pregiudizi dell’umanesimo e dell’Illuminismo classico. Al contrario, un ritorno alle istituzioni tradizionali come la monarchia, la società di classe, le caste e i sistemi chiusi favorirebbe in modo significativo il progresso tecnologico[3].

Gli accelerazionisti di destra promuovono le criptovalute, l’esplorazione dello spazio e propongono persino di trasformare la Groenlandia in un vasto laboratorio per lo sviluppo di nuove tecnologie.
Molti di loro possono definirsi anarcocapitalisti che ritengono di dover liberare tutte le forze capitalistiche compresse dai tentativi di centralizzazione statale e sovranazionale. Secondo Peter Thiel, se vogliamo incrementare la libertà dobbiamo incrementare il numero degli Stati. Come racconta lo storico canadese Quinn Slobodian in Il capitalismo della frammentazione, Thiel prospetta l’idea di un futuro in cui il mondo è composto da migliaia di entità statali in competizione tra loro[4].
CURTIS YARVIN E IL TECHNO FEUDALESIMO
Per comprendere il contesto, è importante conoscere il ruolo svolto da Curtis Yarvin, un blogger che nei primi anni 2000 ha scritto una serie di post con lo pseudonimo Mencius Moldbug che sono diventati molto influenti tra i conservatori e i libertari della Silicon Valley, tra cui Peter Thiel e Marc Andreessen. Yarvin è stato definito un neo-reazionario, ma sarebbe più corretto dire che è neo- o techno-feudale.
Dove stiamo andando
Come ha scritto Alexander Dugin, quello che sta emergendo è un modello di relazioni internazionali che può essere descritto come “Ordine delle grandi potenze”[5]. Il nome stesso sottolinea che non riguarda l’Occidente e le democrazie che lo compongono, non riguarda l’atlantismo, ma specificamente gli Stati Uniti come stato nazionale. L’equilibrio che viene promosso non coinvolge stati ordinari, ma quelli che vengono chiamati “stati-civiltà” a pieno titolo e perciò autosufficienti. Non si tratta quindi di sovranità formale, ma di sovranità reale, sostenuta da un corrispondente volume di risorse economiche, militari, demografiche, territoriali, naturali, intellettuali, tecnologiche e culturali.
A questo punto, appare evidente che Trump è per l’America l’uomo più adatto ad interpretare tale momento storico.
Il suo programma “America first” sostiene che la potenza più potente del mondo è stata sistematicamente sfruttata dal sistema che ha creato e che un paese che ha a lungo sopportato oneri globali unici non ha alcun obbligo di perseguire altro che il proprio interesse.
La globalizzazione ha creato vulnerabilità strategiche, come la dipendenza dell’Europa dall’energia russa e l’intreccio del mondo democratico con le aziende di telecomunicazioni cinesi. Trump ha riconosciuto che difendere gli interessi americani avrebbe richiesto di limitare e persino invertire l’integrazione globale[6].
Secondo la visione di Trump, occorre liberarsi completamente dal globalismo, insieme ai vincoli, agli obblighi e agli imperativi ad esso associati. Agli occhi di Trump, quasi tutte le istituzioni internazionali esistenti riflettono questo vecchio ordine: l’ONU, la NATO, l’OMC, l’OMS e tutti gli altri organismi sovranazionali.
Anche al suo interno, come testimonia l’azione di DOGE, lo Stato deve essere ridotto al minimo per garantire alle forze vitali del capitalismo la libertà necessaria allo sviluppo delle loro potenzialità.
In conclusione, si è chiesto Jeff Diest, ex direttore del Mises Insitute, se la tendenza del XXI secolo invertisse quella dominante il XIX e XX sec., ovvero la centralizzazione del potere politico nei governi nazionali e nelle struttura sovranazionali, e ci stessimo avviando verso una sempre maggiore separazione e regionalizzazione?[7]
D’altra parte, abbiamo già avuto modo di affermare più volte che lo zeitgeist contemporaneo è…people are leaving institutions.
Tutto questo milieu culturale è ben rappresentato dalla letteratura cyberpunk che, tra i temi caratterizzanti, tratta il rapporto che tra l’essere umano e la tecnologia, con il superamento dell’umano mediante innesti meccanici nel corpo. Pubblicato nel 1984 e divenuto in breve un vero e proprio romanzo culto, Neuromante di William Gibson è l’opera che più di ogni altra ha contribuito a diffondere tra il pubblico internazionale il genere cyberpunk.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti
Lugano, 30 marzo 2025
[1] Cfr. Quilliam, N., Ukraine talks show Saudi Arabia is now a major diplomatic player, in Chatham House, 24.03.2025.
[2] Cfr. Petroni, F., Perché Trump normalizza la Russia, in Fiamme Americane, limesonline.com, 20.02.2025.
[3] Cfr. Land, N., L’Illuminismo Oscuro, GOG Edizioni, Roma, 2021; Simon, E., What We Must Understand About the Dark Enlightenment Movement, in Time Magazine, 24.03.2025; Foroohar, R., The strange political philosophy motivating Musk. Inside the rise of the Dark Enlightenment’s ‘neo-reactionary movement’, in Financial Times, 10.02.2025; Miranda, A., Curtis Yarvin, idéologue du trumpisme et de la fin de la démocratie, in The Conversation, 23.03.2025.
[4] Cfr. Slobodian, Q., Il capitalismo della frammentazione, Einaudi, Torino, 2023.
[5] Cfr. Dugin, A., Trump’s and Putin Great Power Order, in Katehon, 23.03.2025.
[6] Cfr. Brands, H, The Renegade Order. How Trump Wields American Power, in Foreign Affairs, 25.02.2025.
[7] Cfr. Diest, J., The Prospects for Soft Secession in America, in Mises Institute, 21.09.2021.