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Do you speak…Spanglish?

(foto: Spanglish, film 20004)

«Potrò aiutare quella gente. Parlo entrambe le lingue, conosco entrambe le culture. Ho vissuto in Messico e viaggiato in tutto il paese. Ho visto cittadine e villaggi abbandonati dai loro abitanti che partivano verso nord in cerca di lavoro. Ci saranno sempre persone perbene che cercano di oltrepassare il confine, e che io faccia parte o meno della polizia di confine, gli agenti saranno là ad aspettarli. Perlomeno, se sarò io ad arrestarli, potrò offrire un po’ di conforto, parlando la loro lingua e dimostrando di conoscere il loro paese» (Francisco Cantù, Solo un fiume a separarci. Dispacci dalla frontiera).

Ogni anno, dal 15 settembre al 15 ottobre, in tutti gli Stati Uniti si tiene l’Hispanic Heritage Month, il mese dell’eredità ispanica che rappresenta un’opportunità per molti statunitensi di conoscere e celebrare il contributo che i latinoamericani, provenienti da Spagna, Messico, Caraibi e America Centrale e Meridionale, hanno apportato agli Stati Uniti. Quest’anno, le misure repressive dell’amministrazione Trump sull’immigrazione, l’iniziativa federale per designare l’inglese come lingua ufficiale, hanno cambiato il clima nazionale in cui si svolgono queste celebrazioni. Gli organizzatori di tutto il paese, dal Massachusetts alla Carolina del Nord, dalla California allo stato di Washington, hanno rinviato o addirittura annullato i festival dedicati.

Il 15 settembre è stato scelto come punto di partenza per coincidere con l’anniversario di El Grito de Dolores, ovvero il “Grido di Dolores”, lanciato nel 1810 da una città del Messico che diede inizio alla guerra d’indipendenza del paese dalla Spagna.  Le nazioni centroamericane di Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua e Costa Rica celebrano la loro indipendenza il 15 settembre, mentre il Messico celebra la sua festa nazionale il 16 settembre, il giorno dopo il grido di indipendenza. Il Cile, a sua volta, celebra il suo giorno dell’indipendenza il 18 settembre[1].

Con lo scritto di oggi cogliamo l’occasione per toccare uno degli aspetti più dibattuti della politica americana: l’aumento dell’immigrazione di massa verso gli Stati Uniti. Essa ha avuto e sta avendo un impatto serio sull’identità dell’America, a tal punto da suscitare una forte polarizzazione in seno alla società, come dimostrato nelle campagne elettorali per le ultime presidenziali. Il mutamento identitario sempre più evidente costituisce un campanello d’allarme: l’America potrebbe in futuro intraprendere, infatti, cambiamenti fondamentali interni e nell’arena internazionale.

Seppur un paese storicamente legato ai flussi migratori, la capacità di assorbimento degli Stati Uniti è stata compromessa. Sin dal XVIII secolo, come notato da Milton Friedman, l’immigrazione costituiva il principale mezzo di aumento demografico e, conseguentemente, di accrescimento economico. In altri termini, un soggetto emigrato in America per lavorare accresceva la ricchezza personale e, allo stesso tempo, l’economia del Paese: un rapporto “win-win”. Con lo sviluppo del welfare dopo la Grande Depressione del 1929, invece, tale dinamica viene alterata, perché l’interazione tra welfare e immigrazione rischia di attrarre immigrati non tanto per lavorare, ma per beneficiare dei sussidi e dei servizi pubblici. Questo, a suo avviso, genera incentivi perversi e può mettere in crisi la sostenibilità del sistema. Pertanto, a suo giudizio, o si limita il welfare o si regola l’immigrazione. Infatti, poiché il sistema di aiuti si regge sulla tassazione, tra i contribuenti e gli assistiti si crea attrito tra i cittadini che lavorano e gli stranieri che beneficiano degli aiuti medesimi.[2]

Oltre al mutamento descritto da Friedman, si è alterata la provenienza del flusso. Gli Stati Uniti hanno visto la propria formazione e sviluppo tramite le migrazioni dal Vecchio Continente. L’Europa, infatti, fino agli anni ’70 ha rappresentato il principale luogo d’origine di soggetti emigrati negli Stati Uniti. In seguito, all’immigrazione europea si è sostituita quella sudamericana. Questo cambio drastico negli ultimi 50 anni ha alterato profondamente l’identità politica, economica e sociale degli USA. Con il mutamento delle traiettorie migratorie, da transatlantico a infracontinentale, si è erosa la capacità di preservazione del modello d’ingresso legale come unico metodo possibile per entrare e vivere negli Stati Uniti, permettendo, così, a milioni di soggetti privi di autorizzazione o documentazione di insediarsi in America. Ma vediamo meglio come la nuova migrazione avviene, chi e quanti ne arrivano e soprattutto gli effetti economici e politici.

Punto di ingresso

Il vulnus della sicurezza territoriale americana è il punto di connessione con il Messico. Washington e Città del Messico condividono 3,145 km di confine. Texas, New Mexico, Arizona, Nevada e California sono gli stati di confine, su cui si abbatte il flusso migratorio. Vi sono diversi checkpoint per entrare: tra i più utilizzati vi sono la valle del Rio Grande ed El Paso in Texas, o Tucson in Arizona.

Secondo gli ultimi dati del 2022, circa 65,2 milioni di persone di origine ispanica sono stimate vivere sul territorio americano. Della totalità registrata, quasi il 60% provengono dal Messico o discendono da famiglie messicane.[3] Il calcolo demografico migratorio avviene sommando soggetti regolarizzati e privi d’autorizzazione: la popolazione messicana rappresenta la maggioranza in entrambi i gruppi (seguiti, poi, da venezuelani, guatemalesi, honduregni, salvadoregni, colombiani, ecuadoriani, haitiani, cubani e nicaraguesi.)[4]

Gli effetti sull’economia americana

Il cambiamento demografico ha avuto un serio impatto sull’economia americana. La preservazione infrastrutturale e delle industrie fondamentali è stata delegata agli ispanici. Nel 2023, infatti, è stato stimato che soggetti di origine latina svolgano circa i 2/3 dei lavori manuali (i cosiddetti blue-collar jobs). Tale condizione è dovuta in particolare ad un basso tasso d’istruzione. Le generazioni più giovani tendono ad avere un background accademico avanzato, ma la fascia di età tra i 25 e i 34 anni dispone di un solo riconoscimento scolastico.[5] Gli svantaggi sociali e la ridotta gamma di lavori disponibili generano voglia di rivalsa e un carattere molto laborioso: il tasso di disoccupazione della comunità ispanica è più basso rispetto ad altre minoranze etniche, circa del 4,8% e genera il 14% del PIL americano. [6] Tuttavia, il gruppo etnico vive in uno stato di deficit fiscale e riceve in servizi e trasferimenti pubblici più di quanto contribuisce in tasse.

Oltre ad esercitare una pressione fiscale nociva sul governo federale, l’aumento della concentrazione ispanica nel sud ha spostato il baricentro industriale americano. Il cuore pulsante dell’industria americana, che ha reso grande l’economia statunitense, risiedeva nel Mid-West, nella cosiddetta Rust Belt: Illinois, Indiana, Michigan ed Ohio. Poiché la principale manodopera si è accumulata nel Sud, la Sun Belt (Florida, Georgia, Sud Carolina, Alabama, Mississippi, Louisiana, Texas, New Mexico, Arizona, Nevada e California) ha rimpiazzato, anche se non ancora in toto, la Rust Belt. La dislocazione della produzione non è stata, quindi, solo trans-pacifica verso l’Asia, ma anche nazionale, da Nord verso Sud.[7]

Immigrazione e inflazione

Il fenomeno dell’immigrazione, in particolare ispanica, incide fortemente sul mercato immobiliare statunitense. Nelle grandi città con alta presenza di immigrati, come Miami e Los Angeles, gli affitti risultano più elevati perché molti immigrati condividono gli alloggi, creando una forte domanda e permettendo ai proprietari di alzare i prezzi oltre le possibilità delle famiglie locali. Le politiche di deportazione varate da Washington, riducendo la presenza di immigrati, abbassano questa domanda e interrompono il “moltiplicatore degli affitti”, portando a un calo dei costi abitativi.

Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni funzionari della Federal Reserve, le deportazioni sarebbero quindi disinflazionistiche, poiché riducendo gli affitti contribuiscono a contenere l’inflazione. Un precedente storico è il periodo Clinton, quando un alto numero di espulsioni coincise con il più forte calo del peso degli affitti sui redditi. In senso più ampio, affitti più bassi favoriscono la riduzione dei tassi d’interesse, stimolano investimenti immobiliari e potrebbero aumentare l’offerta di alloggi nel lungo periodo.

Sebbene politicamente controverse, si sostiene che le espulsioni abbiano fornito un beneficio macroeconomico netto allentando le pressioni inflazionistiche dovute al settore immobiliare[8].

Le conseguenze politiche: tra rappresentanza, tradizione e contestazioni

Il crescente numero di ispanici ha avuto un impatto determinante nella rappresentanza politica in Congresso. In 24 anni, infatti, il numero di ispanici nel Congresso è cresciuto del 34%. La comunità ispanica rappresenta oggi circa il 15% dell’elettorato americano.[9] Sebbene non votino monoliticamente, la maggior parte, circa il 71%, tende a dare la preferenza ai candidati Democratici, ritenendo che questi facciano maggiormente i loro interessi rispetto ai Repubblicani.[10]

Vi è anche un fattore religioso in questa predisposizione. Gli ispanici sono di fede cattolica, a differenza della tipica tendenza protestante dell’America bianca. Il cattolicesimo e la povertà culturale e sociale spingono ad adottare una posizione maggiormente rappresentata dai dem. Differentemente, la dottrina protestante, soprattutto calvinista, è alla base dell’individualismo liberista tipicamente rappresentato dal GOP.

La comunità ispanica è diventata politicamente ancora più importante nelle ultime presidenziali. Durante l’amministrazione Biden, infatti, vi è stato un aumento vertiginoso di immigrazione illegale dal Sud America. Questo ha seriamente impattato sul sistema sociale ed è il motivo per cui lo stop all’immigrazione illegale è divenuto uno dei cavalli di battaglia di Trump. Kamala Harris, invece, senza porre alcuna distinzione tra irregolari e regolari, aveva cercato di stringere attorno a sé la comunità ispanica facendo leva sul concetto di appartenenza ad un unico gruppo etnico, tentando di legalizzare 11 milioni di persone in vista delle elezioni.

Le ragioni di tale mossa sono ravvisabili anche nelle particolari caratteristiche del sistema elettorale americano e nella concentrazione demografica della popolazione ispanica. I latini risiedono principalmente nel Sud del paese e, dato il loro aumento in questi Stati, ne possono determinare il risultato elettorale. La California è un’enclave democratica e lo Stato con la popolazione latina maggiore. Conseguentemente, è quasi impossibile possa cambiare il proprio orientamento politico. La California è anche lo Stato col maggior numero di grandi elettori, garantendo sempre un gran numero di voti sicuri al candidato democratico. Il Texas è da sempre una grande roccaforte repubblicana. Qui, tuttavia, è crescente la presenza della popolazione ispanica, a maggioranza messicana (40%), che, seguendo la logica elettorale di cui sopra, potrebbe in un prossimo futuro influenzarne il tradizionale orientamento. Il vero cambiamento, però, potrebbe avvenire nei cosiddetti “swing states”, ovvero quegli Stati che non hanno una tendenza politica fissa. Tra quelli del Sud, come Arizona o Georgia, il gruppo latino è la minoranza etnica principale. Tra questi vi sono molti irregolari. Perciò un mutamento demografico dell’elettorato potrebbe cambiare il volto delle elezioni americane ed i rapporti di potere tra gli schieramenti.

In tal senso, la polarizzazione e le tensioni derivanti da tale fenomeno sono tra i motivi per cui la popolazione americana ha eletto Donald Trump, il quale ha iniziato ad attuare una politica ferrea: sigillato il confine, l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) è stata incaricata di espatriare i soggetti irregolari presenti sul territorio. Come sappiamo, ciò ha provocato numerose manifestazioni con il supporto dem da New York a Los Angeles. Molti politici, come Alexandra Ocavio-Cortez, hanno preso parte alle proteste anti-ICE incitando soggetti irregolarmente presenti a resistere.

Implicazioni nelle relazioni internazionali

Di fronte alla crescente lotta delle istituzioni americane contro la minoranza ispanica la risposta di Città del Messico non si è fatta attendere. La presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha condannato le repressioni contro i suoi connazionali e contro i manifestanti a Los Angeles, rimarcando “il sostegno e difesa dei diritti umani dei Messicani all’estero, indipendentemente dal loro status legale”.[11]

Questo incide sui rapporti tra gli USA ed il Messico, sempre più precari. Anche se gli Stati Uniti rimangono il principale Paese in cui il Messico esporta, per un totale annuo di oltre USD 400 miliardi, la Cina sta cercando di aumentare il proprio potere economico nel contesto commerciale americano. Xi Jinping spinge infatti per un maggiore sviluppo delle relazioni tra i due paesi, mettendo sul tavolo un incremento dei rapporti commerciali ed espansione infrastrutturale tramite la BRI, entrando direttamente nel “cortile di casa” nordamericano. Se il Messico dovesse ritenere eccessivamente dannosa la politica sociale ed economica di Trump, potrebbe indirizzare il proprio sguardo verso Pechino.[12] Appare chiaro che Città del Messico potrebbe ritrovarsi nel mezzo di una nuova Guerra Fredda tra Washington e Pechino. Il Paese prova, tuttavia, ad uscire dalle maglie di questo duello geopolitico differenziando la propria politica estera e tentando di assumere una posizione di rilievo in America Latina. Nel contesto caraibico, infatti, cerca di porsi come mediatore attraverso la CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), ad esempio nella contesa tra Venezuela e la Guyana per la ricchezza della regione di Essequibo. Inoltre, promuove progetti infrastrutturali come gli sviluppi ferroviari per collegare il “Corredor Trans-Brasil-México” alle rotte NAFTA.

Se da un lato, vi può essere un miglioramento della posizione messicana nel contesto estero, quello interno lacera la sicurezza e credibilità del Paese stesso. I cartelli di Sinaloa, Golfo e Tijuana, infatti, dominano la politica interna, a tal punto da ridurre il Messico ad una sorta di narco-stato. Nel 2024, ben ventisei candidati alle presidenziali sono stati assassinati e, con l’ultima riforma della magistratura che prevede l’elezione diretta di 2.600 giudici, il sistema giudiziario viene esposto maggiormente a corruzione. Il ruolo dei cartelli, inoltre, è un’arma molto importante per Pechino, dato che la Cina è il principale sintetizzatore di Fentanyl ed i cartelli sono i principali distributori negli Stati Uniti. (Il Fentanyl è un oppioide molto potente e che crea una forte dipendenza. Bastano un paio di grammi per uccidere una persona, mentre in dosi non letali riduce un umano ad uno zombie.) In tal senso, con l’aumento della popolazione ispanica negli USA, è incrementato anche il numero di centri di distribuzione di narcotici, intensificando così il sentimento di odio dei cittadini verso l’immigrazione ispanica.

Va osservato che, sebbene il traffico di droga sia una questione concreta, con impatti reali, e ci siano ragioni legittime per cui Washington agisca contro rotte di narcotraffico o cartelli collegati al Messico o Venezuela, da un punto di vista strettamente geopolitico, tali mosse suggeriscono che il tema droga funga da giustificazione per operazioni che hanno anche altri scopi: politica, diplomazia, strategia di influenza.  Molti analisti sostengono che ciò che sta accadendo, come ad esempio le recenti manovre militari al largo delle coste del Venezuela o le minacce rivolte al Messico da Trump già dal 2020, possano essere viste come la messa in pratica di una Dottrina Monroe 2.0, cioè il tentativo di riaffermare il controllo strategico degli USA sull’America Latina, contrastando la penetrazione economica, diplomatica e infrastrutturale della Cina[13].

In conclusione

L’identità dell’America sta cambiando e continuerà a mutare sempre di più. L’America del Melting Pot sta scomparendo, a favore di una società “a mosaico”, che però ha sempre più i colori latini. Ovviamente si tratta di un processo che si misura in decadi, ma è già in moto.

L’attuale condizione degli Stati Uniti convalida sempre di più le tesi di Samuel P. Huntington sulla “sfida ispanica”. Huntington interpreta l’immigrazione messicana non come un fenomeno migratorio ordinario, ma come una potenziale fonte di conflitto di civiltà, in cui il flusso migratorio, costante e di vasta portata, rischia di compromettere il nucleo identitario anglo-protestante su cui, a suo avviso, è fondata la nazione. La sua analisi, che evidenzia l’unicità di tale processo migratorio in virtù della contiguità geografica, dell’entità numerica e della concentrazione regionale, suggerisce che l’assimilazione linguistica (gli ispanici sono i meno propensi ad imparare l’inglese) e culturale potrebbe risultare ostacolata. Di conseguenza, Huntington introduceva l’idea che gli Stati Uniti potessero dividersi in “due popoli, due culture e due lingue”.

Se così fosse, l’America cesserebbe di avere quella coesione patriottica, che la contraddistingue, ed inizierebbe un processo di sgretolamento interno, che potrebbe portare Washington a perdere il proprio peso e potere decisionale nelle relazioni internazionali, iniziando proprio da quello che ha storicamente considerato il proprio “cortile di casa”: l’America Latina.

Solo un fiume a separarci. Dispacci dalla frontiera, ed. Minimum fax, di Francisco Cantú, agente di frontiera per quattro anni, è una testimonianza vera e diretta di un confine sconosciuto nella sua quotidianità. L’autore acconta i suoi anni alla frontiera, dalla decisione di entrare nel corpo paramilitare per aiutare i dannati della terra alla routine di un poliziotto al limite del deserto, in una terra di mezzo fatta di storie che nessuno vuol sentire, un traffico illecito di droghe e persone, dove le prime riescono a passare più spesso delle seconde.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti

Lugano, 21 settembre 2025


[1] Figueroa, F., Annual Hispanic Heritage Month celebrations make adjustments in current political climate, in Associated Press News, 14.09.2025.

[2] Friedman’s, Milton. 2013. “Adam Smith Institute.” Adam Smith Institute. July 3, 2013. https://www.adamsmith.org/blog/economics/milton-friedman-s-objection-to-immigration/

[3] Moslimani, Mohamad , Luis Noe-Bustamante, and Sono Shah. 2023. “Facts on Hispanics of Mexican Origin in the United States, 2021.” Pew Research Center. August 16, 2023. https://www.pewresearch.org/race-and-ethnicity/fact-sheet/us-hispanics-facts-on-mexican-origin-latinos/.

[4] Bryan Baker and Robert Warren, Estimates of the Unauthorized Immigrant Population Residing in the United States: January 2018-January 2022 (Washington, D.C.: Office of Homeland Security Statistics, U.S. Department of Homeland Security, April 2024)., “Illegal Immigration Statistics in the U.S. 2025 | Key Facts.” 2025. The Global Statistics. July 20, 2025. https://www.theglobalstatistics.com/united-states-illegal-immigration-statistics/.

[5] U.S. Bureau of Labor Statistics. 2024. “Employment Trends of Hispanics in the U.S. Labor Force.” Bureau of Labor Statistics. October 8, 2024. https://www.bls.gov/blog/2024/employment-trends-of-hispanics-in-the-us-labor-force.htm.

[6] U.S. Bureau of Labor Statistics. 2025. “Civilian Unemployment Rate.” Bls.gov. U.S. Bureau of Labor Statistics. 2025. https://www.bls.gov/charts/employment-situation/civilian-unemployment-rate.htm.

[7] “Map of Hispanic Population, 2022 – Rural Health Information Hub.” 2022. Ruralhealthinfo.org. 2022. https://www.ruralhealthinfo.org/charts/25., ReNEW Manufacturing Solutions. 2025. “Rust Belt vs. Sun Belt: Why U.S. Manufacturing Isn’t Either/Or.” ReNEW Manufacturing Solutions. June 30, 2025. https://www.renewmfgsol.com/blog/rust-belt-vs.-sun-belt.

[8] Schlegel, S., BLS Madness, And Rate Cuts, in Global Commodities, Aletheia Capital, 12.08.2025.

[9] Krogstad, Jens Manuel, Jeffrey S. Passel, Abby Budiman, and Anusha Natarajan. 2024. “Key Facts about Hispanic Eligible Voters in 2024.” Pew Research Center. Pew Research Center. January 10, 2024. https://www.pewresearch.org/short-reads/2024/01/10/key-facts-about-hispanic-eligible-voters-in-2024/.

[10] Lopez, Jens Manuel Krogstad, Khadijah Edwards and Mark Hugo. 2022. “Most Latinos Say Democrats Care about Them and Work Hard for Their Vote, Far Fewer Say so of GOP.” Pew Research Center. September 29, 2022. https://www.pewresearch.org/race-and-ethnicity/2022/09/29/most-latinos-say-democrats-care-about-them-and-work-hard-for-their-vote-far-fewer-say-so-of-gop/.

[11] Staff, MND. 2025. “Sheinbaum Urges Peaceful Protest and Due Process after 42 Mexicans Detained in Los Angeles ICE Raids.” Mexico News Daily. June 9, 2025. https://mexiconewsdaily.com/news/mexico-sheinbaum-nationals-detained-los-angeles-ice-raids/.

[12] Baker, Juan Carlos. The Triangular Balance: Mexico, the United States, and China. Washington, DC: Woodrow Wilson International Center for Scholars, July 2024. https://www.wilsoncenter.org.

[13] Cfr. Di Legge, D., USA vs Maduro: alla base della “dottrina Monroe”, in Geopolitica.info, 03.06.2019; Watson, M., Rubio and the Return of the Monroe Doctrine, in Hudson Institute, 16.11.2024; Toscani, S., Trump rispolvera la dottrina Monroe: Sudamerica cortile degli USA, Messico e Venezuela infuriati, in l’Unità, 21.08.2025.

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