(foto: Marilyn Monroe, Andy Warhol, 1967)
«Ci volevano due grattacieli di banconote da cento per comprare, quando c’era, una bottiglia d’olio.» (Karina Sainz Borgo, Notte a Caracas)
Con lo scritto di oggi facciamo il punto sull’intensificarsi della presenza militare statunitense nell’area caraibica, resasi protagonista di numerosi attacchi contro presunte navi dedite al narcotraffico che, secondo funzionari e studiosi delle Nazioni Unite, violano chiaramente il diritto statunitense e internazionale, cercando di coglierne le ragioni e i possibili esiti[1].
La prossima settimana, la portaerei statunitense Gerald Ford, partita da Spalato, raggiungerà le coste del Venezuela. Questa nave, la più grande della flotta americana, arriverà accompagnata da 50 velivoli da combattimento, 4.000 militari e altre tre navi da guerra. Si unirà a un gruppo navale già composto da 15 mezzi, tra cui incrociatori e cacciatorpedinieri muniti di missili Tomahawk, un sottomarino a energia nucleare, bombardieri strategici B1 e B52, oltre a elicotteri delle forze speciali. Al largo del Venezuela sarà presente anche il traghetto MV Ocean Trader, impiegato come base galleggiante per le forze speciali, con a bordo 159 incursori addestrati ad operare in Sud America, insieme a una task force di Marines con 2.200 soldati e mezzi d’assalto. A Porto Rico sono stati posizionati circa dieci caccia F-35 e alcuni droni Reaper, mentre l’esercito americano sta modernizzando un’ex base navale utilizzata durante la Guerra Fredda. Davanti all’isola caraibica, a Trinidad e Tobago, le unità dei Marines hanno effettuato esercitazioni che hanno previsto sia manovre di sbarco sia attività di infiltrazione[2].
Verso un regime change in Venezuela?
Sulle reali intenzioni dell’amministrazione statunitense aleggia l’incertezza. A chiarire il quadro non aiutano le contrastanti dichiarazioni rilasciate in questi giorni. Venerdì scorso, il direttore dell’intelligence nazionale statunitense, Tulsi Gabbard, durante il vertice annuale sulla sicurezza in Barhein, ha smentito l’iniziativa per un possibile cambio di regime, auspicato, invece, a gran voce dal premio Nobel per la pace Maria Corina Machado[3].
Dal canto suo, il presidente Donald Trump ha respinto le voci di guerra ma, durante un’intervista alla CBS pubblicata domenica scorsa, ha avvertito che i giorni del presidente Nicholas Maduro sono contati[4].
Secondo Christopher Sabatini, ricercatore senior per l’America Latina presso il think tank Chatham House, la pressione militare non è tanto in vista di un attacco diretto, quanto a “incutere timore” nei cuori dell’esercito venezuelano e della cerchia ristretta di Maduro, in modo che siano questi ad agire contro di lui[5].
Andiamo con ordine e partiamo dalla narrazione ufficiale che giustifica la presenza militare statunitense nei Caraibi.
Lotta al narcotraffico: un pretesto fragile
Negli ultimi anni, la crisi degli oppioidi ha assunto proporzioni drammatiche negli Stati Uniti e il fentanyl, potente analgesico sintetico, è al centro dell’emergenza overdose. La maggior parte della sostanza illecita, il 96% secondo i dati del DEA e della US Customs and Border Protection, entra negli USA attraverso il confine con il Messico. La produzione del fentanyl avviene principalmente in laboratori clandestini messicani, che ricevono i necessari precursori chimici dalla Cina per, poi, commercializzare la sostanza nel mercato statunitense. Il ruolo dei cartelli messicani è centrale, mentre i Paesi sudamericani come Venezuela, Colombia o Ecuador sono marginalmente coinvolti. Sebbene il traffico di droga sia una questione concreta, con impatti reali, e ci siano ragioni legittime per cui Washington agisca contro rotte di narcotraffico, da un punto di vista strettamente geopolitico, tali mosse suggeriscono che il tema droga funga da giustificazione per operazioni che hanno altri scopi[6].

Dottrina Monroe, multipolarità e concorrenza strategica
I movimenti al largo delle coste caraibiche sembrano stravolgere l’obiettivo principe della Strategia di difesa nazionale statunitense:
“La Cina è l’unica minaccia per il Dipartimento, e la negazione di un’acquisizione cinese di Taiwan come fatto compiuto, mentre si difende contemporaneamente il territorio nazionale degli Stati Uniti, è l’unico scenario per il Dipartimento”.
Così recitava, secondo il Washington Post, un memo apparso lo scorso marzo in un documento interno del Pentagono, Interim National Defense Strategic Guidance, firmato da Pete Hegseth, il Segretario del nuovo Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti[7].
LA DOTTRINA MONROE
Questa dottrina prende il nome dal Presidente James Monroe e fu presentata nel suo messaggio al Congresso del 2 dicembre 1823: in essa Monroe proclamò che le Americhe dovevano essere libere da future colonizzazioni europee, così come dovevano essere libere dall’interferenza europea negli affari delle nazioni sovrane. L’impianto della dottrina, che era sostanzialmente difensivo, mutò nel 1904 quando, con il cosiddetto “corollario Roosevelt” (dal nome del Presidente Theodore, che portò gli USA in guerra con la Spagna per il controllo di Cuba), Washington rivendicò una sorta di “diritto di intervento” nelle questioni interne dei Paesi latinoamericani. Da allora, in pratica, l’America Latina è diventata il “cortile di casa” degli Stati Uniti. Da ciò deriva il preteso riconoscimento internazionale delle cosiddette “sfere di influenza” da parte delle grandi potenze, tra cui la Russia sul suo estero vicino.
La guida ad interim sembrava portare l’impronta del campo dei cosiddetti prioritizer, una fazione di funzionari e strateghi della sicurezza nazionale che sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero dare priorità alla deterrenza contro Pechino a scapito di tutto il resto. Tuttavia, il nuovo documento strategico (National Defense Strategy 2025 – NDS) licenziato tra fine ottobre e inizio novembre 2025, pur continuando a riconoscere la Cina come principale competitor strategico, pone in primo piano la sicurezza domestica e dell’emisfero occidentale, accogliendo le richieste dei cosiddetti restrainer: riduzione dell’impegno militare statunitense e una ridefinizione delle priorità, riproponendo di fatto la vecchia Dottrina Monroe in termini nuovi. La richiesta di bilancio della Difesa 2026 riflette questa inversione: le priorità Secure Our Border e America’s Golden Dome vengono prima di Deter China[8].
In questa cornice dobbiamo leggere sia l’istituzione di una zona militarizzata lungo il confine meridionale con il Messico, sia l’attivazione da parte del Pentagono di migliaia di soldati della Guardia Nazionale a supporto delle forze dell’ordine a Los Angeles e Washington, nonché l’invio di diverse navi da guerra nei Caraibi per intercettare il flusso di droga verso gli Stati Uniti.
Così, è possibile interpretare anche l’ipotetico accordo G2 tra gli USA e la Cina come una manifestazione concreta della nuova priorità delineata dall’ultimo documento del Pentagono[9].
L’amministrazione statunitense punta a riaffermare il primato sull’emisfero occidentale, reagendo alle infiltrazioni di potenze extra-regionali, in particolare Cina e Russia, che negli ultimi anni hanno consolidato la propria presenza finanziaria, militare e diplomatica in Venezuela e altre aree dell’America Latina.
L’attuale crisi venezuelana non è un semplice effetto di dinamiche interne, ma anche il riflesso di una competizione strategica tra Stati Uniti, Cina e Russia. Mosca ha fornito supporto militare e tecnologico al governo Maduro, Pechino ha investito nel settore energetico e nelle infrastrutture, Cuba ha offerto sostegno intelligence e repressione.

Questa espansione delle potenze rivali in quello che gli Stati Uniti hanno sempre considerato il loro “giardino di casa” si è scontrata brutalmente con la dottrina tradizionale nordamericana, la Monroe del 1823, riadattata oggi dall’amministrazione Trump in una versione “2.0” basata sui concetti di “Fortezza America” e “Western Hemisphere First”. In questa lettura, qualsiasi presenza strategica cinese o russa in America Latina è vista come una minaccia diretta e intollerabile per la sicurezza e la supremazia statunitense[10].
Petrolio e potere
Se gli USA riuscissero a instaurare un governo amico a Caracas, unendo il petrolio venezuelano a quello della Guyana già politicamente vicina, acquisirebbero nuove quote di potere mondiale a scapito della Cina[11].
Nonostante il Venezuela possieda le più grandi riserve petrolifere del mondo, oggi il Paese conta poco per il mercato energetico globale a causa di decenni di crollo produttivo e isolamento internazionale, conseguenti alla rivoluzione chavista. Nel 1998, la vittoria di Hugo Chávez in Venezuela, infatti, ha segnato l’inizio di nazionalizzazioni e politiche antioccidentali. Dopo la morte di Chávez, Nicolás Maduro ha guidato il Venezuela in una crisi profonda, aggravata dal crollo dei prezzi del greggio dal 2014 e da politiche economiche inflazionistiche senza controllo. Le tensioni tra Stati Uniti e governo Maduro hanno avuto finora scarso impatto sui prezzi del petrolio, dato che Caracas produce ai minimi storici e gran parte dell’output è già soggetto a sanzioni o contratti di baratto.

Bloomberg sottolinea che un’azione decisa degli Stati Uniti per rovesciare Maduro potrebbe innescare una prima reazione “rialzista” dei prezzi dovuta all’incertezza, per poi rapidamente trasformarsi nel suo contrario: il crollo del regime farebbe affluire il petrolio venezuelano verso i mercati globali con volumi significativi. Secondo l’analisi, la prospettiva di un cambio di regime farebbe rapidamente emergere partnership energetiche con imprese occidentali pronte a investire nella ricostruzione produttiva, riportando nuove forniture su scala mondiale entro pochi anni[12].
L’interesse americano nella regione è legato anche alla necessità di proteggere gli investimenti delle multinazionali energetiche, come ExxonMobil, specie con l’ascesa della Guyana come nuovo polo petrolifero sudamericano.

Dopo la sua rielezione, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha riaperto la disputa sull’ Essequibo, un’area di circa 160.000 km² situata all’interno dei confini sovrani della Guyana. Nel 1899, la controversia tra Venezuela e Regno Unito fu risolta con la piena sovranità britannica sull’Essequibo, poi divenuto parte integrante della Guyana una volta ottenuta l’indipendenza. Tuttavia, importanti giacimenti petroliferi scoperti da Exxon Mobile nel 2015 hanno spinto il Venezuela a negare la validità di quegli accordi, sostenendo invece che l’Essequibo appartiene al suo territorio. In tal senso, Maduro ha messo in atto diverse manovre per far pressione sull’apparato politico e aumentare la sua influenza nella zona. L’anno scorso, le compagnie petrolifere statali hanno ricevuto l’incarico di esplorare le opportunità nell’area contesa, mentre i legislatori venezuelani hanno approvato la creazione di un nuovo stato, la “Guayana Esequiba”, che dovrebbe essere governato da un funzionario venezuelano. Inoltre, nel febbraio 2024, le immagini satellitari hanno rivelato intensificati sforzi per rafforzare le capacità militari lungo il confine. La Guyana ha reagito minacciando di invocare l’intervento delle Nazioni Unite (ONU) in caso di violazione.
Queste iniziative suggeriscono la volontà di rafforzare la rivendicazione del Venezuela sull’area attraverso il soft power e mezzi militari. In definitiva, qualora dovesse intavolarsi un negoziato per decidere l’esito della controversia, il Venezuela punta ad avere argomenti più forti[13].
Gli Stati Uniti hanno così intensificato la cooperazione militare con la Guyana e i Paesi caraibici, fornendo deterrenza contro eventuali azioni di forza venezuelane e riaffermando il proprio ruolo di garante della stabilità regionale.
Scenari di rialzo
La pressione crescente degli Stati Uniti sul governo Maduro ha alimentato le aspettative tra gli investitori per un possibile cambio di regime o, almeno, per una rimozione, anche parziale, delle sanzioni che dal 2019 tengono ai margini il Venezuela.

I titoli obbligazionari venezuelani denominati in dollari hanno registrato un’impennata il 31 ottobre 2025, sulla scia dell’intensificarsi della pressione militare contro il paese sudamericano. In particolare, le obbligazioni con scadenza 2027 sono salite di oltre due centesimi, superando i 30 centesimi per dollaro, il maggior aumento dall’inizio di maggio. Anche i bond della compagnia statale PDVSA hanno beneficiato di questa ondata rialzista.
Un regime change in Venezuela, se percepito come plausibile, potrebbe far salire rapidamente i bond venezuelani fino 50 centesimi per dollaro anche nelle prime settimane, con ulteriori margini di rialzo se vi fossero prospettive di riforme e normalizzazione internazionale, sempre secondo Bloomberg. Anche una ripresa dei flussi commerciali USA-Venezuela potrebbe favorire la ristrutturazione del debito e l’apprezzamento dei titoli.
Tuttavia, occorre cautela: scommettere su un cambio di regime può essere rischioso, data la resilienza dimostrata da Maduro e prima da Chávez[14].
Fattori di instabilità e i rischi di un’escalation…
In effetti, la narrazione statunitense tende a semplificare la realtà venezuelana, riducendola a un “regime illegittimo” appoggiato da forze criminali, ignorando la struttura sociale, la resilienza militare e il radicamento della rivoluzione chavista in vasti strati della popolazione.

Secondo l’analisi proposta da Robert Muggah, esperto riconosciuto a livello mondiale in materia di sicurezza internazionale e latinoamerica, il regime di Nicolás Maduro, cosciente della minaccia, ha risposto dichiarando lo stato di emergenza e mobilitando forze armate, milizie civili e gruppi di difesa popolare su centinaia di fronti, con particolare attenzione alle frontiere sensibili come quella con la Colombia. Parallelamente, Maduro mantiene il sostegno di attori internazionali come Russia (che ha inviato missili antiaerei ed equipaggiamento militare), Iran (supporto ai droni tattici) e Cuba (consiglieri militari e intelligence). Questi alleati non possono impedire un eventuale caduta del regime, ma possono complicare notevolmente la pianificazione di un intervento USA, aumentando i rischi di escalation indiretta.
Internamente, l’opposizione venezuelana è divisa e indebolita dalla repressione post-elettorale: una rapida defezione delle élite o un’insurrezione popolare “spontanea” appaiono improbabili senza un massiccio shock esterno, e l’ingerenza americana rischia di rafforzare la coesione chavista.
Dal punto di vista operativo, gli Stati Uniti dispongono di superiorità militare e di opzioni per colpire obiettivi strategici con precisione, ma la capacità di resistenza del regime suggerisce che un’operazione limitata potrebbe non bastare a cambiare gli equilibri politici. Secondo Muggah, è più verosimile uno scenario di lenta guerra ibrida, con pressione militare, cyber e diplomatica combinata, con infiltrazioni e azioni coperte per indebolire il regime nel tempo.
A livello regionale e globale, una escalation potrebbe infatti rivelarsi un boomerang e rafforzare il nazionalismo venezuelano, polarizzare l’America Latina contro Washington e indebolire ulteriormente il consenso internazionale di Washington[15].

…e i possibili vantaggi
A fronte dei rischi e dei vantaggi economici, vi sono alcuni altri elementi di cui tener conto. I droni e le nuove tecnologie come l’AI stanno rivoluzionando la guerra e gli esperti del Military Industrial Complex americano hanno ben presente che la Russia, in guerra aperta con l’Ucraina da quasi quattro anni, sta acquisendo un’inestimabile esperienza da riversare sui campi di battaglia moderni che qualsiasi potenza farebbe bene a non ignorare.
Nell’ottica statunitense, la scelta di un nemico relativamente “debole” come il Venezuela (militarmente, economicamente e diplomaticamente) rappresenta, infatti, un caso ideale per prepararsi a conflitti maggiori (come il potenziale scontro per Taiwan con la Cina) sperimentando nuove armi e procedure operative in un ambiente controllato. Questo metterebbe gli Stati Uniti in una posizione migliore per competere strategicamente con i suoi pari, Russia e Cina.
Il Modern War Institute di West Point, una sorta di think tank che fa parte del Department of Military Instruction, nel 2023 ha pubblicato un’interessante analisi delle innovazioni sul campo di battaglia della Russia nell’SMO (Special Military Operation). La Russia, che ha siglato un’alleanza militare con Pechino, sta adattando e rivoluzionando la guerra moderna, rivelandosi in anticipo sui propri avversari in termini di avanzamento strategico-concettuale. Quando questa modernizzazione si salderà con gli sviluppi legati all’AI, vedremo un esercito, quello russo, come nessun altro, dotato di base dottrinale istituzionalizzata, tecnologia, equipaggiamento ed esperienza per operare efficacemente nei moderni campi di battaglia
Inoltre, gli USA potrebbero ottenere una vittoria propagandistica, sfruttando anni di narrazione negativa su Maduro e il regime bolivariano per rafforzare il consenso interno e internazionale nella logica di difendere la sicurezza e i valori occidentali[16].
Non c’è un romanzo più adatto di Notte a Caracas, ed. Einaudi, per chiudere la Side View di oggi. Leggendolo potrebbe quasi sembrare un romanzo distopico ma invece è una cronaca romanzata dell’attualità di un paese sull’orlo del disastro. L’autrice, Karina Sainz Borgo, ci offre una triste fotografia del Venezuela che, a seguito della crisi economica dovuta al crollo dei prezzi del petrolio, nel 2013, da nuovo El Dorado e paese prospero si trasforma in un paese lacerato dalla criminalità e dalla corruzione.
Pur essendo ambientato in uno Stato e in un periodo ben identificabile, l’autrice evitando di nominare direttamente il partito chavista e Maduro rende universale e non solo locale la messa in accusa di un certo modo di fare politica e di governare:
“Avevano promesso. Che nessuno avrebbe più rubato, che sarebbe andato tutto al popolo, che ciascuno avrebbe avuto la casa dei suoi sogni, che non sarebbe più accaduto nulla di male. Avevano promesso, finché si erano stancati.”

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti
Lugano, 9 novembre 2025
[1] Cfr. Center for Preventive Action, U.S. Confrontation with Venezuela, in Council on Foreign Relations, 21.10.2025.
[2] Cfr. Aa.vv., Venezuela, esercitazioni Trinidad e Tobago con Usa una minaccia, in Ansa.it, 27.10.2025.
[3] Cgr. Gambrell, J., US national intelligence director says former American strategy of ‘regime change’ is over, in AP Associated Press, 01.11.2025.
[4] Cfr. Aa.Vv, Trump says Maduro’s days are numbered but ‘doubts’ US will go to war with Venezuela, in The Guardian, 03.11.2025.
[5] Cfr.Wells, I., Cheetham, J., Warships, fighter jets and the CIA – what is Trump’s endgame in Venezuela?, in BBC, 24.10.2025.
[6] Cfr. Garcia, S., Majia, D., Fentanyl markets, distribution, and consumption in South America, in Brookings, 04.12.2024; Devlin, K, Ma, Y., How does fentanyl get into the US?, in BBC, 01.08.2025; Toscani, S., Trump rispolvera la dottrina Monroe: Sudamerica cortile degli USA, Messico e Venezuela infuriati, in l’Unità, 21.08.2025.
[7] Cfr. Aa.Vv., Secret Pentagon memo on China, homeland has Heritage fingerprints, in Washigton Post, 29.03.2025.
[8] Cfr. McLeary, P., Lippman, D., Pentagon plan prioritizes homeland over China threat, in Politico, 05.09.2025; Saunders, H., Should Taiwan Be Worried About the Pentagon’s New National Defense Strategy?, in Domino Theory, 30.09.2025.
[9] Cfr., Nguyen, N.N.Q., Trump’s G-2 riff ripples through an uneasy Global South, in Asia Times, 04.11.2025.
[10] Cfr. Ledford, J., Berg, R.C., Hemispheric Defense Is Back, in Hoover Institution, 21.10.2025.
[11] Cfr. Orsini, A., Petrolio Venezuela: per capire Trump bisogna sapere cosa accade in Guyana, in Il Fatto Quotidiano, 04.11.2025.
[12] Cfr. Blas, J., Venezuelan Regime Change May Open Oil’s Floodgates, in Bloomberg, 05.11.2025.
[13] Cfr. Gros, T., Oil, Politics, and Power: The Essequibo Dispute, in Bloomsbury Intelligence & Security Institute, 04.03.2025.
[14] Cfr. Karakaya, K., Venezuela’s Battered Bonds Tempt Investors Amid US Pressure, in Bloomberg, 11.09.2025; AA.Vv., Venezuela Bonds Jump on Reports of Increasing US Pressure, in Bloomberg, 31.10.2025.
[15] Cfr. Muggah, R., US squeeze on Venezuela won’t bring about rapid collapse of Maduro – in fact, it might boomerang on Washington, in The Conversation, 01.11.2025.
[16] Cfr. Sommer, J.R., America, Venezuela, and the Will-to-Machine, in Arktos Journal, 22.10.2025; Noorman, R., The Russian way of war in Ukraine: a military approach nine decades in the making, in Modern War Institute at West Point, 15.06.2023; Moretti, G., Ex Machina, in Side Views, brightside-capital.com, 09.07.2023.