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| | Geopolitica

“POPE CORN”

«Gli uomini hanno pensato – sviati dai seduttori – che l’unità delle nazioni fosse il premio più grande di questa vita, dimenticando le parole del nostro Salvatore, che disse di essere venuto a portare non la pace, ma la spada, e che è attraverso molte tribolazioni che entriamo nel Regno di Dio. Prima, quindi, dovrebbe essere stabilita la pace dell’uomo con Dio, e poi seguirà l’unità dell’uomo con l’uomo. Cercate prima, disse Gesù Cristo, il regno di Dio, e poi tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.» (Robert Hugh Benson, Il Padrone del mondo)

Scriviamo queste righe nelle ore in cui i cardinali stanno per chiudersi nel conclave che eleggerà il prossimo Papa. Un appuntamento che avviene in un contesto di svolta epocale per quanto riguarda l’architettura del sistema globale.

Proviamo a fare qualche considerazione su tale evento cercando di coglierne le implicazioni geopolitiche, senza cedere alla tentazione di azzardare previsioni sull’identità del futuro nuovo pontefice e senza entrare nelle questioni più propriamente attinenti al dibattito teologico, per quanto fondamentali per il futuro della Chiesa cattolica.

Sul fatto che la geopolitica possa giocare un ruolo nelle elezioni papali, per quanto secondario rispetto a quello dovrebbe giocare lo Spirito Santo, dobbiamo pensare che, mentre i cardinali scelgono il successore di Pietro, essi stanno anche eleggendo il capo di un’entità giuridica sovrana di diritto internazionale che partecipa attivamente alle relazioni internazionali bilaterali e multilaterali attraverso l’accreditamento e l’accoglienza dei rappresentanti diplomatici e la ratifica dei trattati. Se pensiamo che la Santa Sede abbia perso il potere di influenzare gli affari globali attraverso questo status sovrano, basta tornare con la mente alla ormai iconica foto che immortala il dialogo tra Trump e Zelensky tra le mura vaticane per ricrederci.

Da giorni, i vaticanisti propongono diversi nomi che potrebbero succedere a Francesco, scelti all’interno di un collegio che vede gran parte dei cardinali provenienti dalle aree più remote rispetto al centro della cristianità. In molti neppure si conoscono e ciò suggerisce che ancor di più la geopolitica potrebbe giocare un ruolo importante nella scelta del nuovo pontefice[1].

Quali sono, dunque, i fattori che influenzeranno il conclave?

Progressisti contro tradizionalisti

Gran parte del dibattito attuale è concentrato sulla contrapposizione tra “progressisti” e “tradizionalisti”, in quanto riflette anche lo scontro culturale che si svolge a livello globale tra liberal e conservatori.  

In termini generali, questo si riferisce alla crescente divisione nella Chiesa cattolica tra i progressisti favorevoli a riforme inerenti a questioni culturali e sociali (in particolare quelle relative a genere e sessualità) e i tradizionalisti che si oppongono alle stesse.  In tal senso, Francesco era considerato più progressista, mentre il suo predecessore Papa Benedetto XVI era un tradizionalista.

Washington e Roma

Ancor oggi, il ruolo dell’amministrazione Obama nella rinuncia di Benedetto XVI è oggetto di speculazioni. Alcune e-mail rivelate da Wikileaks mostrano discussioni tra esponenti democratici su come promuovere una “primavera cattolica” per riformare la Chiesa in senso progressista. Si sospetta inoltre che il blocco delle transazioni dello IOR nel 2012, causato da pressioni statunitensi, abbia contribuito alla decisione del Papa di abdicare. Francesco ha, poi, mostrato apertura verso molte istanze dell’agenda progressista, in particolare l’ambientalismo e l’immigrazionismo, ma anche con significative sterzate verso il pride e il femminismo di quarta ondata.

Questa divisione tra progressisti e tradizionalisti, dunque, si riflette in modo particolarmente evidente nella polarizzazione politica negli Stati Uniti. Infatti, i seguaci del MAGA non fanno mistero del loro desiderio di veder emergere vittorioso un conservatore[2].

Negli Stati Uniti circa il 20% della popolazione è cattolica (70 milioni di persone), ma solo una minoranza (28–33%) frequenta settimanalmente la messa. Nonostante il calo simile a quello italiano, si registra una ripresa tra i fedeli più tradizionalisti, grazie anche all’apporto dell’immigrazione latino-americana e alla crescente attrazione per forme liturgiche più solenni e ortodosse. Questo “revival” è visibile soprattutto nei giovani, nei seminaristi e in alcune diocesi conservatrici.

Il cattolicesimo americano è spaccato: da un lato i modernisti, che abbracciano le riforme del Vaticano II, promuovono un’agenda sociale progressista e tendono a votare per i Democratici; dall’altro i tradizionalisti, fedeli alla dottrina preconciliare, legati a celebrazioni in latino e attivi politicamente, spesso in sintonia con la destra populista del movimento MAGA. Questi ultimi costituiscono il 20–30% dei cattolici, ma hanno un’influenza crescente tra i giovani e nel clero. Parrocchie e diocesi che adottano forme liturgiche tradizionali vedono spesso aumentare la partecipazione, mentre quelle progressiste continuano a perdere fedeli.

Alle presidenziali del 2024, il 55% dei cattolici ha votato per Trump, con percentuali fino al 70% tra i giovani tradizionalisti (grafico qui a lato). Questo segmento mostra un’altissima mobilitazione elettorale (quasi l’80%), legata all’adesione a valori come la difesa della vita, della famiglia tradizionale e del ruolo pubblico della religione. Piattaforme mediatiche come EWTN e figure come padre Mike Schmitz, seguitissimo podcaster cattolico, sono centrali nella diffusione di questa visione.

Nella nuova amministrazione Trump, i cattolici occupano tra il 48% e il 60% dei ruoli chiave, una presenza molto superiore al loro peso demografico. A guidare questa “rappresentanza” c’è il vicepresidente J.D. Vance, figura di spicco del cattolicesimo conservatore. L’influenza politica dei cattolici tradizionalisti è quindi cresciuta, sia nel governo che nella società, con un impatto tangibile sul futuro della Chiesa cattolica negli USA e forse anche a Roma[3].

Alla luce di quanto finora detto, molti ritengono di poter dire che l’obiettivo di Trump sia quello di esercitare pressioni sufficienti a favorire l’ascesa al soglio petrino l’attivissimo cardinale di New York Timothy Dolan.

Tuttavia, come fa notare Piero Schiavazzi, vaticanista di Limes e docente di geopolitica vaticana alla Link University, per la composizione del Sacro collegio, con 108 cardinali aventi diritto di voto nominati da Francesco, non c’è una maggioranza conservatrice ed è ben difficile che si possa insediare un esponente di questa corrente.

Dolan o Burke, possono esser al massimo candidati di bandiera, a testimoniare una presenza e un ruolo importante. La Chiesa non è più percepita come un costola dell’Occidente e la partita vera che sta giocando Trump è quella di rallentare una deriva della stessa verso l’Asia e la Cina[4].

Pivot to Asia

L’attenzione crescente del pontificato di Francesco verso l’Asia si inserisce in un più ampio contesto geopolitico che, già sotto l’amministrazione Obama, aveva visto un mutamento dell’asse strategico globale verso il Pacifico con la sua politica del pivot to Asia ed il contenimento della Cina.

Il prossimo conclave segna un evidente cambiamento nella geografia del potere ecclesiastico: mai come ora l’Asia sarà rappresentata tra i cardinali elettori. Questo spostamento ha portato alcuni esperti a definire “rivoluzionaria” la nuova distribuzione dell’influenza nel Collegio cardinalizio. Secondo il teologo Gianni Criveller, missionario a lungo in Cina e oggi direttore di Asia News, viene così superata la storica supremazia europea nelle dinamiche interne della Chiesa[5].  

Sorprende notare che città simbolo come Milano e Parigi, così come interi Paesi quali Austria e Irlanda, non abbiano rappresentanti nel conclave mentre, al contrario, avranno voce realtà come la Mongolia (con solo un migliaio di cattolici), il Myanmar e la Thailandia, e nazioni a prevalenza buddista.

Come si vede dal grafico che segue, con 23 cardinali su 135, l’Asia avrà una presenza significativa, sproporzionata rispetto al numero di cattolici effettivi nella regione (circa il 10% del totale mondiale). La Cina, in particolare, sarà rappresentata dal vescovo di Hong Kong, Stephen Chow Sau-Yan.

Papa Francesco, coerente con la sua visione pastorale e geopolitica, ha favorito una Chiesa meno eurocentrica meno filoccidentale, cercando di staccare Roma dagli Usa, valutando negativamente l’appiattimento voluto da Giovanni Paolo II sulla superpotenza, peraltro di cultura protestante[6].

Francesco ha mostrato particolare attenzione verso i Paesi del cosiddetto “Sud globale”. Ha viaggiato in molti Stati asiatici, ma non è mai riuscito a visitare India e Cina, anche perché il Vaticano mantiene relazioni ufficiali con Taiwan, ostacolo diplomatico importante nei rapporti con Pechino. Nel 2018, tuttavia, si è registrato un passo importante con la Cina: un accordo tra Vaticano e governo cinese consente alla Santa Sede di approvare le nomine episcopali, mentre in precedenza queste avvenivano unilateralmente. Il compromesso ha evitato tensioni maggiori ma ha anche imposto silenzi scomodi, ad esempio sui diritti umani, gli uiguri, i tibetani e la situazione di Taiwan.

Attualmente si stima che in Cina ci siano circa 10 milioni di cattolici ufficiali, ma ci sono anche gruppi sotterranei, non riconosciuti dallo Stato, che seguono vescovi approvati dal Vaticano.

Secondo Silvia Menegazzi, esperta di relazioni internazionali e Cina contemporanea, sebbene Francesco abbia favorito un riavvicinamento tra Roma e Pechino, non tutto è andato secondo le aspettative. Molto dipenderà ora da chi sarà il suo successore e da come vorrà gestire i rapporti con l’universo asiatico, in particolare con la Cina, che resta una delle realtà più secolarizzate al mondo[7].

Nessun nuovo vescovo viene nominato nella Chiesa cattolica tra la morte di un Papa e l’elezione del suo successore. Solo il Papa può farlo. La Cina, tuttavia, ha deciso di nominare due nuovi vescovi durante questo periodo di “sede vacante”. Come riportato da Asia News, sia a Shanghai che a Xinxiang, nell’Henan, le autorità hanno informato i cattolici che i nuovi vescovi erano stati nominati. Il processo è probabilmente iniziato prima della morte di Papa Francesco, ma avrebbe potuto e dovuto essere sospeso[8].

Per quanto riguarda la Cina, la mossa potrebbe mirare a consolidare il suo vantaggio nell’accordo con il Vaticano, rendendo qualsiasi inversione di tendenza troppo rischiosa per i cattolici cinesi. Allo stesso tempo, un analista, Ed Condon, vede il tentativo della Cina di fomentare il malcontento tra i cardinali riguardo all’accordo come una mossa strategica per minare le prospettive papali dell’uomo più associato all’accordo del 2018 poi rinnovato nell’ottobre 2024, il Segretario di Stato Pietro Parolin, al fine di favorire l’elevazione del cardinale filippino Luis Antonio Tagle[9].

Su questo punto, il cardinale Joseph Zen di Hong Kong, predecessore del cardinale Chow, aveva dichiarato a Reuters, dopo la conclusione dell’accordo: “Stanno mandando il gregge in bocca ai lupi. È un tradimento incredibile. Le conseguenze saranno tragiche e durature, non solo per la Chiesa in Cina, ma per l’intera Chiesa, perché ne danneggia la credibilità”[10].

Il Sud del mondo è diviso

Alcune stime suggeriscono che entro il 2050, il 78% dei cristiani del mondo vivrà nel Sud del mondo. Il cristianesimo africano, in particolare, ha registrato una crescita enorme, con dati che indicano che entro il 2050, il 40% dei cristiani del mondo vivrà in Africa. Per il cattolicesimo in particolare, questi numeri sono ancora più netti, e gli stessi rapporti del Vaticano mostrano che il futuro della Chiesa cattolica è innegabilmente in Africa.

Si potrebbe supporre che i progressisti all’interno della Chiesa cattolica sostengano l’ascesa di leader extraeuropei. Eppure, una scomoda verità per molti di questi progressisti è che il Sud del mondo, e in particolare l’Africa, è diventato un importante centro di potere per i tradizionalisti nei feroci dibattiti culturali che hanno scosso il cristianesimo negli ultimi quattro decenni. Naturalmente, è importante notare che milioni di dollari sono stati spesi per promuovere un’agenda sociale conservatrice in Africa e che i cristiani africani sono tutt’altro che un monolite. Tuttavia, in termini demografici generali, un cattolico progressista probabilmente preferirebbe un papa europeo a uno africano. Date le realtà demografiche che la Chiesa cattolica si trova ad affrontare, un cardinale europeo progressista sembra altamente improbabile. Tutto ciò pone il prossimo conclave in una situazione apparentemente impossibile.

L’uomo che potrebbe offrire una via d’uscita a questa situazione di stallo potrebbe venire proprio dall’Asia, ad esempio proprio con il cardinale progressista Luis Antonio Gokim Tagle. La sua elezione placherebbe i progressisti occidentali, offrendo al contempo al Sud del mondo un leader in cui riconoscersi[11].

Tuttavia, proprio su queste divisioni potrebbe inserirsi l’azione di chi vuole evitare questo scivolamento verso l’Asia e la Cina.

In conclusione

Chiunque comparirà davanti alla folla dopo la fumata bianca sarà probabilmente un compromesso, un uomo che dovrà soddisfare, in una certa misura, le diverse fazioni di una Chiesa cattolica in evoluzione, sempre più divisa dalla geografia e dalla politica, riflesso delle divisioni di un mondo sempre più articolato in sfere di influenza.  

Scritto nel 1907, il romanzo che chiude questa Side View narra l’ascesa di Giuliano Felsemburgh, un carismatico filantropo, promotore della pace mondiale e simbolo di un nuovo umanitarismo che appiana le differenze religiose e proclama la tolleranza universale. Tuttavia, proprio in nome di questa tolleranza, l’unica realtà a essere rigettata è la Chiesa Cattolica, perseguitata fino quasi alla sua completa distruzione. Nel romanzo compaiono sorprendenti anticipazioni del mondo attuale: comunicazioni istantanee, trasporti aerei e sotterranei, luce solare artificiale, un parlamento europeo, attentati suicidi, il crollo della Russia, la crisi delle vocazioni religiose, l’apostasia di sacerdoti e vescovi, la persecuzione del Papa e la sua solitudine. Il Padrone del mondo descrive il declino della fede cristiana non attraverso una brutale repressione, ma mediante l’avanzata silenziosa e ingannevole di una religione relativista mascherata da umanitarismo. Eppure, la speranza resiste nell’unico che resta sempre fedele, nella Sua gloria eterna.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti

Lugano, 7 maggio 2025


[1] Cfr. A.a.Vv., A Conclave in a Time of Fraught Geopolitics, in FSSPX News, 19.05.2024.

[2] Cfr. Clark, E., Why Trump’s MAGA faithful are watching the Vatican and the ‘fight for the soul of the Catholic Church’, in ABC News, 01.05.2025.

[3] Cfr. Mastrangelo, E., Stati Uniti: il peso dei cattolici, fra declino dei liberal e ascesa dei tradizionalisti, in Centro Studi Machiavelli, 28.04.2025.

[4] Cfr. Schiavazzi, P., Verso il Conclave. I poteri nella Chiesa in https://www.youtube.com/watch?v=fDwa4PmJObg.

[5] Cfr. Criveller, G., This is why there is so much Asia in the upcoming conclave, in Asia News, 27.04.2025.

[6] Cfr. Fabbri, D., Il mondo senza Francesco in https://www.youtube.com/watch?v=jQ1elaRdo_I

[7] Cfr. Cantone, S., Come il peso della Cina influenzerà il prossimo Papa dopo le aperture di Francesco all’Asia, in EuroNews, 25.04.2025.

[8] Cfr. Introvigne, M., China’s Shadow Over the Conclave: Two Bishops Appointed Without Vatican’s Approval, in Bitter Winter, 05.05.2025.

[9] Cfr. Condon, E., Parolin may not be China’s preferred conclave candidate, in The Pillar, 01.05.2025.

[10] Cfr. A.a.V.v., Cardinal Zen: Reform needed ‘because we are sinners’, in The Pillar, 04.05.2025.

[11] Cfr. Kelaidis, C., Pope Francis is dead. The Church must now confront an uncomfortable truth, in Vox, 21.04.2025.

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