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| | Geopolitica

Krav M.A.G.A.

(foto: Tatami, film 2023)

«Non capivano, semplicemente non capivano. Si combatte la guerra con le armi, si combatte la pace con le storie.» (Omar El Akkad, American war)

Con lo scritto di oggi cerchiamo di fare il punto della situazione su quanto avvenuto in Medio Oriente in questi ultimi giorni, non solo riprendendo quanto già ampiamente anticipato nelle precedenti Side Views in ordine alla volontà di Netanyahu di allargare il conflitto e attaccare l’Iran, ma anche proponendovi un’interpretazione del ruolo avuto dagli Stati Uniti[1].

Poiché, è ingenuo pensare che Israele possa agire senza il consenso americano, l’allarme lanciato nei precedenti scritti di un probabile conflitto tra Israele e Iran era apparso rientrare con l’inizio del secondo mandato di Trump, la sconfitta dei neocon e la volontà, espressa dal tycoon, di metter fine alle guerre iniziate sotto le amministrazioni precedenti.

https://twitter.com/WSJ/status/1920942508147630515

Tuttavia, con l’attacco sferrato da Israele ai danni dell’Iran il 12 giugno e con il diretto supporto americano concretizzatosi nel bombardamento ai siti nucleari, dobbiamo fare i conti con l’evidente slittamento dalla retorica isolazionista MAGA a quella di una pratica interventista tipicamente neocon. Di seguito argomentiamo come questi avvenimenti abbiano reso palese uno scontro interno all’amministrazione statunitense i cui esiti non sono ancora chiari.

Come di consueto, iniziamo facendo un po’ di ordine.

Per un corretto inquadramento, dobbiamo partire dal tour mediorientale di Trump di metà maggio, da tutti indicato come il punto di svolta della politica estera americana che, da almeno tre decenni, è incentrata su una visione unipolare e sul contenimento delle potenze emergenti[2].

A fondamento di questa visione, ricordiamolo, vi è la dottrina formulata da Zbigniew Brzezinski, il quale nel suo libro La grande scacchiera definì l’Eurasia come il “premio geostrategico” da cui dipende il dominio globale degli Stati Uniti[3]. Brzezinski, sulla scorta della lezione di Mackinder, identificava tre obiettivi chiave per assicurare la supremazia americana:

1. sottrarre l’Ucraina alla sfera d’influenza russa, spezzando l’integrazione storica, culturale ed economica tra Mosca e Kiev;

2. isolare la Russia dall’Europa, impedendo la nascita di un blocco eurasiatico autonomo fondato su cooperazione energetica e industriale;

3. smembrare la Russia, indebolendola internamente per impedirle di agire come potenza regionale indipendente.

A ciò si è aggiunta negli ultimi anni una quarta fase, esplicitamente stigmatizzata dallo stesso Brzezinski ma perseguita dai falchi della politica estera americana: colpire l’Iran, principale snodo strategico delle rotte commerciali ed energetiche verso la Cina, per ostacolare il progetto di un’integrazione continentale eurasiatica. La BRI (belt and road initiative), infatti, è in potenzialmente in grado di trasformare l’Isola-Mondo, da Shanghai a Rotterdam, in un’unica grande regione economica. L’unico modo per fermarla è fomentare disordini e instabilità lungo il suo percorso e sfidare gli attori chiave[4].

The Vanderberg Coalition

Elliott Abrams, uno dei principali esponenti neocon che ha caratterizzato l’ultimo mezzo secolo, nel gennaio 2025 aveva pubblicato una serie completa di raccomandazioni sulla politica in Medio Oriente per la nuova amministrazione Trump. Il nuovo rapporto chiede alla nuova amministrazione di fare quanto in suo potere per impedire all’Iran, “la più grande minaccia agli interessi americani in Medio Oriente e la causa della maggior parte dei problemi di sicurezza della regione”, di acquisire una bomba nucleare.

Oltre allo status dell’Iran come nemico numero uno nel rapporto, un disprezzo particolare è stato riservato al Qatar, che “ha lavorato per minare gli interessi statunitensi cooperando con l’Iran e offrendo rifugio a gruppi terroristici come Hamas”[5].

Donald d’Arabia

Con la visita nel Golfo, la diplomazia di Donald Trump ha iniziato a dare forma ad un nuovo approccio basato sul commercio, anziché sui dogmi ideologici o sui tradizionali alleati strategici. Una “quasi” nuova dottrina, quella di Trump, in quanto si inserisce nell’alveo del realismo politico kissingeriano che ha come obiettivo principale il mantenimento dell’equilibrio tra le potenze mondiali per evitare conflitti su larga scala.  Imperativo strategico degli USA, in tal senso, dovrebbe essere quello di evitare che due potenze rivali (es. Russia e Cina) si uniscano contro di loro, avvicinando una delle due per rompere il blocco e ristabilire l’equilibrio multipolare.  

Tra le novità più evidenti vi è senz’altro quella del team scelto da Trump, tra cui spiccano i nomi di Howard Lutnick e Steven Witkoff, composto non da diplomatici ma da imprenditori di alto profilo. Questo ha cambiato radicalmente le dinamiche: negoziatori aggressivi, pronti al rischio e focalizzati sul risultato.

Punto fondamentale, rivelato da Reuters è che gli Stati Uniti si presentano all’appuntamento non chiedendo più all’Arabia Saudita di normalizzare i rapporti con Israele come condizione per il progresso nei colloqui di cooperazione sul nucleare civile. Tale rinuncia rappresenta una concessione importante da parte di Washington[6].

I colossali accordi di investimento siglati (600 miliardi di USD per l’Arabia Saudita, 1,4 trilioni di USD per gli Emirati Arabi Uniti), sono apparsi in grado di intrecciare l’economia statunitense con quella del Golfo come mai prima d’ora, creando potenzialmente milioni di posti di lavoro americani e vincolando gli interessi di Washington alla stabilità di quelle monarchie. In cambio, gli Stati Uniti offrono garanzie di sicurezza e accesso preferenziale alla propria tecnologia più avanzata. Questo accordo rivitalizza una Pax Americana nel Golfo: potenza militare e tecnologia statunitensi per la ricchezza e l’allineamento strategico del Golfo.

Elementi fondamentali di questi accordi sono, inoltre, la revoca delle sanzioni alla Siria e l’accordo sul nucleare con l’Iran. Infatti, Arabia Saudita, Barhain, Emirati Arabi Uniti e Oman si trovano in una fase di riavvicinamento con l’Iran, grazie alla mediazione cinese[7]. Per l’Arabia Saudita è fondamentale puntare più alla stabilità regionale che al contenimento dell’Iran, con l’obiettivo di portare avanti processi di diversificazione economica (es. Vision 2030 di MBS) disinnescando quegli elementi potenzialmente in grado di dare vita domani a un nuovo teatro di guerra in Medio Oriente con un esecutivo Israele orientato a portare un attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani. Questi accordi avvengono a discapito del tradizionale alleato israeliano e segnano una radicale riconfigurazione del potere degli USA nell’Asia occidentale e sottolineano la centralità dei membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) nel piano della sua amministrazione di legare l’espansione economica alla politica. Il riallineamento del Golfo Persico di Trump appare dunque come un incubo diplomatico per Israele[8].

MAGA vs Neocon

Il 13 maggio, salito sul palco a Riyadh, Trump ha lanciato un attacco diretto ai suoi oppositori a Washington. Parlando ai leader del Golfo, il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato senza mezzi termini che “i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite e gli interventisti sono intervenuti in società complesse che nemmeno loro stessi comprendevano”, denunciando le politiche destabilizzanti dei neocon[9].

La svolta di Trump ha animato lo scontro interno sulla politica estera

Sappiamo che il ruolo di egemone degli Stati Uniti è stato finora garantito dall’esercito e dal controllo del sistema finanziario mondiale. Questi due pilatri sono oggi vacillanti. Con lo stallo in Ucraina e una posizione finanziaria netta drammatica che peggiora di oltre 2000 miliardi al trimestre, il risultato è il declino del potere di deterrenza degli Stati Uniti e la conseguente possibilità per degli attori regionali in competizione strategica, come Israele ed Iran, fino a questo momento attenti ad evitare comportamenti sanzionabili da Washington, di affermare il proprio primato nella propria sfera di influenza.

https://twitter.com/TuckerCarlson/status/1933620743406801038

La necessità di portare dei risultati all’opinione pubblica e la possibilità di un conflitto in cui riaffermare la supremazia militare, hanno animato i settori più interventisti  dell’amministrazione USA osteggiati dal movimento MAGA a far pressione perché gli Stati Uniti seguissero Netanyahu nel perseguire il suo disegno di allargare il conflitto da Gaza all’intero Medio Oriente, non solo per coprire i suoi insuccessi contro Hamas ma anche per spianare la strada alla realizzazione del Grande Israele[10]. Così, sul nucleare iraniano si è consumata la partita tra i due schieramenti presenti nell’amministrazione statunitense.

Il vicepresidente esecutivo del Quincy Institute, Trita Parsi, ha condiviso il post di Tucker Carlson e ha ribadito l’importanza dei suoi commenti sull’arricchimento dell’uranio iraniano. Carlson, infatti, non si limita a lanciare un generico avvertimento contro la guerra. Affronta l’impasse dei colloqui: la linea rossa neoconservatrice dell’arricchimento zero. Parsi ha aggiunto: “In un momento cruciale, Tucker consiglia saggiamente a Trump di abbandonare questa richiesta che ucciderebbe l’accordo”. Vi è dunque una feroce lotta politica tra i due schieramenti, e a risultare vincitrice era sembrata essere dunque quella legata ai falchi neocon e capeggiata dal Segretario di Stato Mark Rubio[11] che vogliono “arricchimento zero, smantellamento totale” e accusano i negoziatori iraniani di concessioni subdole.

https://twitter.com/tparsi/status/1930613423525507386

Il pretesto nucleare e l’esportazione del modello Ucraina

La questione dell’arricchimento dell’uranio a fini militari alla base del lancio dell’operazione Rising Lion del 12 giugno, appare in realtà come un pretesto, come emerge dalle dichiarazioni dell’intelligence americana che hanno rilevato l’insussistenza delle accuse lanciate da Netanyahu. In un recente rapporto dell’intelligence statunitense, citato dalla CNN, secondo cui l’Iran non starebbe perseguendo attivamente lo sviluppo di armi atomiche.

Dopo la guerra alla Russia combattuta fino all’ultimo ucraino, i neocon appoggiano l’apertura di un nuovo fronte contro l’Iran, a mezzo proxy israeliano, con un’operazione che ricorda proprio nelle modalità di esecuzione l’operazione Spiderweb attuata dall’Ucraina in Russia[12].

La narrativa sulla “necessità” dell’attacco è così messa in discussione non solo dalla CIA, ma anche dal sospetto che l’obiettivo reale sia la destabilizzazione del governo iraniano. Se l’Iran cade, infatti, Russia e Cina possono dire addio al multipolarismo. Soprattutto la Cina (e con essa il Pakistan, che non a caso rimane l’unico Paese ad avere assunto una posizione forte sul conflitto) si ritroverebbe con la Nuova Via della Seta monca, privata di un suo ramo fondamentale. Un chiaro obiettivo dei neocon, come abbiamo visto.

Trump temporeggia

La presidenza Trump si trova, dunque, sotto attacco politico e mediatico, non solo dall’interno degli Stati Uniti, ma anche da parte degli alleati storici come Israele, Regno Unito, Francia e Germania. L’obiettivo, secondo l’analisi di Lorenzo Maria Pacini su Strategic Culture, è quello di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto diretto con l’Iran, facendo leva su provocazioni, accuse e pressioni diplomatiche.

Trump, dal canto suo, adotta una strategia ambigua, che è possibile cogliere non tanto dalle dichiarazioni spesso contraddittorie, ma dai risultati: guadagnare tempo e monitorare le reazioni dei vari attori coinvolti.

L’opinione pubblica, intanto, viene sottoposta ad una campagna mediatica, una sorta di “guerra cognitiva”, volta a screditare il tycoon e spingerlo verso una scelta catastrofica. Netanyahu, continua ad alzare il livello dello scontro, ventilando persino l’eliminazione della Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei. Intanto, i falchi interventisti insediati all’interno della sicurezza nazionale americana valutano l’ipotesi di un intervento diretto, compreso un attacco mirato ai siti nucleari iraniani.

Tuttavia, l’Iran non è isolato. La Russia, la Cina, il Pakistan e altri Paesi mediorientali potrebbero reagire duramente a qualsiasi azione militare statunitense, con il rischio concreto di un’escalation globale.

Trump, a questo punto, deve resistere alle pressioni e non cadere nella trappola delle provocazioni[13].

Il teatro kabuki dei bombardamenti

A questo punto gli Stati Uniti bombardano i siti nucleari dell’Iran dichiarando di aver distrutto completamente le infrastrutture nemiche, mentre l’Iran minimizza i danni sostenendo che le proprie infrastrutture nucleari rimangono quasi intatte o almeno recuperabili. A sua volta, l’Iran risponde colpendo una base americana in Qatar, ma non prima di aver avvisato preventivamente i “nemici giurati”. Un paradosso che raggiunge l’apice quando il presidente Trump ringrazia pubblicamente l’Iran per la “tempestiva segnalazione” dei missili in arrivo e successivamente annuncia la tregua che viene poi violata da entrambe le parti, sempre secondo il mezzo più politicamente e legalmente rilevante, Truth Social.

Importante notare che nelle ore in cui si svolgeva il durissimo confronto tra Israele e Iran, il prezzo del petrolio non si è mosso e che la minaccia della chiusura dello stretto di Hormuz non è stata presa sul serio. Probabilmente, continua Volpi, ha pesato il ruolo di mediazione della Cina con l’Iran. Le petromonarchie del Golfo, inoltre, non hanno nessun interesse ad un’impennata del prezzo del petrolio ed è ipotizzabile abbiano agito nella stessa logica, determinando una ulteriore saldatura tra Cina e Paesi del Golfo[14].La guerra a Gaza e l’escalation tra Israele e Iran, infatti, hanno costretto le capitali del Golfo Persico ad una seria rivalutazione, come riporta The Cradle: sebbene questi stati abbiano a lungo considerato l’Iran un rivale e una minaccia, lo spettro della supremazia israeliana ha rivelato il valore deterrente di Teheran. Ecco perché, a porte chiuse, molti funzionari del Golfo ora sperano silenziosamente in un esito che preservi il ruolo dell’Iran. Non perché ammirino Teheran, ma perché temono un futuro dettato da Tel Aviv unica potenza regionale[15].

https://twitter.com/RodDMartin/status/1938979929301086556

La soluzione trovata da Trump sembra proprio andare nel senso auspicato da Cina e petromonarchie del Golfo.

Un ulteriore segnale della vittoria della nuova politica basata su accordi economici di Trump può essere ravvisato nell’accordo commerciale siglato da Washington e Pechino il fine settimana scorso, dopo i colloqui iniziati l’11 giugno, che renderà più facile per le aziende americane ottenere dalla Cina magneti e minerali di terre rare, essenziali per la produzione manifatturiera e di microchip[16].

https://twitter.com/GovtofPakistan/status/1936159807326900577

In conclusione

Nonostante le numerose proteste interne al movimento MAGA sul fatto che possa esser diventato un neoconservatore, poche persone che hanno lavorato con lui sono d’accordo[17].

L’intervento di Donald Trump nella guerra tra Iran e Israele, con la mediazione e l’annuncio di un cessate il fuoco, ha scatenato un acceso dibattito in Pakistan, dove il governo aveva formalmente candidato il presidente degli Stati Uniti al premio Nobel per la pace il merito di aver dimostrato “un’eredità di diplomazia pragmatica” e una “leadership fondamentale” per aver garantito il cessate il fuoco tra Pakistan e India in  un conflitto iniziato con l’uccisione di turisti nel Kashmir amministrato dall’India ad aprile. Il giorno dopo, comprensibilmente, lo stesso governo ha dovuto prender posizione sul bombardamento degli impianti nucleari iraniani condannando Trump.

https://twitter.com/MAGAVoice/status/1938694824745697547

Tuttavia, non è da escludere che Trump voglia davvero vincere il premio Nobel per la pace, e ne ha spesso criticato l’assegnazione al suo predecessore Barack Obama. Di certo, non vuole essere ricordato come un presidente di guerra e, per come si sono svolti, i fatti ci parlano dell’attuazione di una exit strategy dalla crisi mediorientale che gli ha consentito, da un lato, di salvare un Israele impreparato alla dura reazione iraniana, dall’altro, di rappresentare il cessate il fuoco come raggiunto attraverso la sua nuova forma di diplomazia: sicurezza e pace attraverso pressione e accordi commerciali.

Di questi tempi, viene facile chiudere con un romanzo distopico. Questa volta tocca ad American War di Omar El Akkad, ed.  Rizzoli, 2017. Un romanzo distopico che immagina una seconda guerra civile americana causata dal cambiamento climatico e dal divieto di uso dei combustibili fossili. In relazione alla geopolitica attuale, l’opera si rivela sorprendentemente profetica. In Amarica War, ci viene chiesto di considerare cosa potrebbe accadere se l’America rivolgesse le sue politiche più devastanti e le sue armi più letali contro sé stessa. La guerra asimmetrica, i campi profughi interni e l’influenza straniera ricordano dinamiche presenti oggi in vari conflitti globali, suggerendo che i rischi che affrontano altri Paesi potrebbero un giorno riguardare anche le grandi potenze occidentali.

Approfondimento a cura di Gilberto Moretti

Lugano, 29 giugno 2025


[1] Cfr. Moretti, G., Chi è Kaiser Soze? 22.10.2023; The multiverse of madness 26.11.2023; Red Right hand 28.01.2024; Folie a deux, 20.10.2024 in Side Views, brightside-capital.com.

[2] Cfr.Krikke, J., Ukraine and the battle for Eurasia. From the Heartland Theory, to the Cold War, to the Belt and Road, to the new Iron Curtain, in Asia Times, 26.04.2022.

[3] Cfr. Brzezinski, Z, La grande scacchiera, ed. Longanesi, Milano, 1998.

[4] Cfr. Brzezinski, Z., An Israeli attack on Iran would be a disaster, in The Real News Network, 17.01.2010.

[5] Cfr. Lobe, J., New neocon manifesto: Keep US troops in the Middle East forever, in Responsible Statecraft, 28.01.2025.

[6] Cfr. Pesha, M., Exclusive: Under Trump, Saudi civil nuclear talks delinked from Israel recognition, sources say, in Reuters, 08.05.2025.

[7] Cfr. Ardemagni, E., Accordo Arabia Saudita-Iran: ecco cosa cerca Riyadh, in ISPI, 11.03.2023.

[8] Aa.Vv., Trump’s Persian Gulf realignment is a diplomatic nightmare for Israel, in The Cradle, 19.05.2025.

[9] Cfr. Magrid, J., Trump slams ‘neocons’ and ‘interventionists’ during Riyadh speech, in The Times of Israel, 13.05.2025.

[10] Cfr. Masala, G., I 4 possibili scenari con il sistema finanziario USA vicino al “Grande collasso”, in L’Antidiplomatico, 29.03.2025.

[11] Cfr. Sweidan M.H., In Trump’s second term, the MAGA vs neocons battle heats up, in The Cradle, 23.05.2025.

[12] Cfr. Gagliano, G., Ucraina e Israele: le strane similitudini nelle operazioni dietro le linee nemiche, in AnalisiDifesa, 14.06.2025.

[13] Cfr. Pacini, L.M., Il conflitto Israele-Iran e il gioco di Trump, in Strategic Culture Foundation, 25.06.2025.

[14] Cfr. Volpi, A., Usa: ricorrere alla forza per sostenere l’economia non funziona più in Il Contesto, https://www.youtube.com/watch?v=zu7cpFNStpI&t=1747s

[15] Sweidan, M.H., For Arab states, an enduring Iran is far better than a victorious Israel, in The Cradle, 25.06.2025.

[16] Cfr. Wiseman, P., US, China announce a trade agreement — again. Here’s what it means, in AP, 28.06.2025.

[17] Aa.Vv., ‘The president is not a neocon’: Trump tests his global approach in Iran, in Semafor, 24.06.2025.

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