(foto: Cosmopolis, film 2012)
«Lo spazio era minimo, ma lei, agile e magrolina, si spogliò in un baleno e si tolse il tatoo-chip trasparente incollato sulla pancia. Il dispositivo, una pellicola ultrasottile, elastica come la pelle umana e con un tatuaggio elettronico, le forniva un’identità e avrebbe permesso di trovarla. Disfarsene al più presto era vitale. Da quel momento, individuarla sarebbe stato più difficile.» (A. Kalatchoff, Quantica)
Quattro anni fa l’esercito francese ha creato il “Red Team Defense”, un gruppo di scrittori di fantascienza per immaginare possibili minacce future[1]. A questo proposito, l’agenzia Defense Innovation Agency (DIA) ha pubblicato un documento di 25 pagine intitolato “Guardare oltre”, dove illustrava le ragioni della nascita di questo team, ossia dare agli apparati spunti di riflessione in chiave strategica. In particolare, prova ad anticipare gli aspetti tecnologici, economici, sociali e ambientali del futuro che potrebbero generare potenziali conflitti entro il 2030-2060[2].
L’idea può sembrare bizzarra. Tuttavia, la storia ci insegna che spesso gli scrittori hanno la capacità di pensare all’inimmaginabile, e quindi alla creazione di un punto di vista alternativo, basti pensare a Jules Verne che nel suo Dalla Terra alla Luna del 1865 raffigurava tre persone inviate sulla Luna in un veicolo spaziale dalla Florida, con 104 anni di anticipo.
Questo approccio si basa su una teoria filosofica che viene definita “la legge del decimo uomo”, secondo la quale, quando dieci persone affrontano un fenomeno o una situazione, nove affermano la stessa cosa. È compito del decimo uomo investigare su quel fenomeno, col presupposto che gli altri nove siano in errore.
La notizia, sebbene datata e misconosciuta, ci serve da insolito abbrivio per svolgere delle considerazioni in ordine a una serie di rivelazioni giornalistiche, di analisi e di rapporti, per certi versi preoccupanti, che hanno attirato la nostra attenzione e le faremo appunto “da decimo uomo”, con uno scritto più vicino al divertissement letterario distopico che all’analisi geopolitica. L’obiettivo non è tanto di disegnare con certezza lo scenario prossimo venturo (anzi ci auguriamo proprio il contrario), bensì di fornire degli elementi di riflessione, speriamo utili, partendo da fatti reali, perché si avverta quanto meno la pericolosa plausibilità di alcune derive che possono minare profondamente il sistema democratico occidentale e alzare così la nostra soglia di attenzione.
Le notizie di cui sopra riguardano, innanzitutto, una spiacevole procedura sempre più frequente: il cosiddetto “debanking”, ossia la chiusura da parte delle banche dei conti dei clienti con opinioni non gradite all’establishment. Il debanking è un fenomeno denunciato dalla stampa britannica e che starebbe riguardando USA, UK, Canada e ultimamente anche in Francia e Germania. Nel Regno Unito, questa pratica è diventata diffusa, con le banche che chiudono oltre 1.000 conti ogni giorno lavorativo. I dati della Financial Conduct Authority indicano un aumento significativo, passando da meno di 50.000 conti chiusi nel 2016 a quasi 350.000 nel 2022[3].
RED TEAM
Il concetto di squadra rossa non è una novità. È emerso all’inizio degli anni ’60 nelle simulazioni per l’esercito degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Le squadre rosse sono associate al “pensiero contrarian” e alla lotta al pensiero di gruppo, la tendenza dei gruppi a formulare e mantenere ipotesi anche di fronte a prove contrarie. Un esempio di un gruppo che non è stato chiamato squadra rossa, ma che probabilmente è stato uno dei primi esempi di formazione di un gruppo per combattere il pensiero di gruppo, è l’israeliano Ipcha Mistabra (letteralmente l’avvocato del diavolo) che si è formato dopo i fallimenti decisionali israeliani durante la guerra dello Yom Kippur nel 1973. L’attacco colse Israele quasi di sorpresa, nonostante le prove evidenti di un attacco imminente, e quasi portò alla sconfitta di Israele. Ipcha Mistabra è stata fondata dopo la guerra e ha avuto il compito di presentare sempre un’analisi contraria, inaspettata o non ortodossa della politica estera e dei rapporti di intelligence, in modo che in futuro fosse meno probabile che le cose venissero trascurate.
Non ha funzionato granché, evidentemente.
Funzionari governativi e attivisti hanno iniziato ad utilizzare mandati ambientali, sociali e di governance per costringere le banche a tagliare i legami con industrie politicamente sfavorite come le compagnie petrolifere e i produttori di armi da fuoco. Ora, sembra che questa minaccia di cancellazione si stia diffondendo anche a opinioni politiche e religiose.
Nel Regno Unito, la questione è venuta alla ribalta dopo che l’ex leader dell’Ukip, Niegel Farage, ha affermato che Coutts, una banca di proprietà del gruppo NatWest, si è mossa per chiudere il suo conto perché non era d’accordo con le sue convinzioni politiche[4].
Negli Stati Uniti, è il caso del Comitato nazionale per la libertà religiosa (NCRF), un gruppo di difesa senza scopo di lucro che esiste per difendere il diritto di tutti in America di vivere liberamente la propria fede, che ha aperto un conto corrente JPMorgan Chase nell’aprile 2022: alcune settimane dopo l’apertura, la banca ha chiuso il conto senza spiegazioni[5].
Le banche affermano ufficialmente di compiere tali azioni in nome della “lotta al riciclaggio”, delle “frodi bancarie” e del “finanziamento al terrorismo”. È questa, se vogliamo, l’opinione maggioritaria dei nove di cui dicevamo in premessa.
Tuttavia, spesso i conti vengono chiusi senza motivo apparente o per motivi politici come quelli già descritti. In Francia, ad esempio, il debanking è diventato particolarmente diffuso dopo l’elezione di Emmanuel Macron. Questo è evidente nel caso di numerosi attivisti e movimenti cattolici e identitari che sono rimasti finanziariamente paralizzati negli ultimi mesi, l’ultima colpita è stata Academia Christiana[6].
Il processo di debanking coinvolge spesso la partecipazione dei media, con le segnalazioni che si verificano in concomitanza con l’apparizione di associazioni o individui sui mezzi di comunicazione. Da quanto apprendiamo, una semplice lettera inviata alle banche può portare alla chiusura dei conti correnti di profili ritenuti “sospetti”.
Si paventa, dunque, il forte rischio che un gruppo molto ristretto di soggetti assuma un potere di ricatto tale da impedire la libera circolazione delle idee e l’espressione del proprio pensiero. Pensiamo anche ai social: account chiusi o sospesi spesso per ragioni assai dubbie, volte a strizzare l’occhio a questo o quel governo, a questa o quella parte dell’opinione pubblica. Oppure pensiamo alla recente approvazione del European Digital Identity Wallet, con i suoi possibili esiti in salsa cinese. Un rischio, lo diciamo en passant, che andrebbe a corroborare quanto sostenuto dalla copiosa letteratura cypherpunk nata a sostegno del progetto Bitcoin in chiave di lotta politico-libertaria contro i tentativi di accentramento e controllo da parte delle varie istituzioni governative.
In tal senso, per sondare la serietà del rischio, come cartina tornasole proviamo a centrare il ragionamento “da decimo uomo” su due aspetti tra loro legati che raramente vengono evidenziati adeguatamente: l’ossessione per la narrazione ufficiale e il panico morale.
Negli anni ’80 e ’90, in reazione alle preoccupazioni relative allo spionaggio governativo, alla censura e alle limitazioni alla libertà di parola, è nato il movimento cypherpunk. Il movimento sostiene l’applicazione diffusa di una solida crittografia e di tecnologie di miglioramento della privacy al fine di salvaguardare i diritti delle persone e promuovere una società più aperta e decentralizzata. Il termine “cypherpunk” è una combinazione di “cypher”, che significa codice o crittografia, e “punk”, che si riferisce alla sottocultura anti-establishment.
L’ossessione per il controllo della narrazione
In un illuminante articolo del 2022, l’analista Aurelien rintraccia tale atteggiamento come il portato del processo di infantilizzazione della società. Un processo di cui possiamo renderci conto tutti i giorni guardando i feed delle notizie dei più importanti giornali, pieni di banalità adolescenziali. Questo processo è sotto gli occhi di tutti ma, probabilmente, ne sottovalutiamo l’impatto in politica.
L’origine va cercata negli eventi del 1968. Al centro delle contestazioni di quegli anni, infatti, vi erano concetti esplosivi, oggi pienamente assorbiti e operanti, di liberazione ed emancipazione, all’insegna del sex, drug and rock n’roll, della contrapposizione tra oppresso e oppressore, della lotta contro l’autorità e i suoi principi, in particolare l’autorità paterna e i principi religiosi e politici e la conseguente rivendicazione di una serie di diritti civili. Da queste spinte, nascerà anche quella che viene spesso definita come controcultura, intesa come movimento in antitesi alla cultura allora dominante, che oggi definiremmo anti-establishment, paradossalmente destinata a divenire ai nostri giorni essa stessa cultura dominante.
Tutto ciò è osservabile nella penetrazione accademica di nuovi insegnamenti interdisciplinari che hanno coinvolto la sociologia, l’economia, le scienze politiche, la psicologia e l’arte. I programmi accademici, a loro volta, hanno generato ulteriori branche di studio e concetti inediti. Ad esempio, possiamo citare il Self-Fulfilling Prophecy (Profezia che si auto adempie), il Magical Thinking (Pensiero magico), Glass Ceiling (il Tetto di cristallo), Manterrupting (Uomini che interrompono le donne), Racialization (appropriazione culturale o etnica o razziale), Intersezionalità, Inclusività e tanti altri che abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi anni[7]. Non solo, dunque, troviamo l’esaltazione della giovinezza e della novità come virtù in sé ma, soprattutto, troviamo l’affermarsi del primato assoluto dei desideri individuali e del potere quasi magico del volere stesso. Questo genere di cose ha portato in vari modi all’ossessione tutta new age dell’idea che “tu crei la tua realtà” se adotti il giusto approccio mentale.
Un atteggiamento infantile che ha trionfato anche nella dimensione politica e oggi è arrivato a toccare un ambito importante come quello della guerra e della pace. Venuta meno l’ultima generazione ad aver per davvero indossato una divisa, per la nuova generazione di leader europei la guerra non è mai stata una minaccia personale ma solo una storia in TV da qualche altra parte nel mondo. I riferimenti sulla guerra, infatti, non provengono direttamente dai resoconti dei protagonisti della Seconda guerra mondiale ma dalla cultura popolare, fatta di film e riviste, che ha raccontato la guerra come un affare di piccola scala, di incursioni di commando, missioni di bombardamento, fughe di prigionieri e operazioni di resistenza[8].
Per l’autore dell’articolo, non sorprende, ad esempio, che la classe politica occidentale abbia assunto tale punto di vista new age sulla guerra: l’approccio è di fantasia, narrativo, dove cose un tempo ritenute serissime, come il terreno, il tempo, i numeri, la potenza di fuoco, siano oggi trattate alla stregua di banalità. Per fare un esempio, se vogliamo davvero sbarazzarci dell’attuale classe politica russa e ci crediamo lo otterremo. Soprattutto, non bisogna lasciar spazio ad analisi in cui si sostiene che i russi stiano vincendo, altrimenti potrebbero farlo sul serio.
Un’esagerazione? Non proprio, se pensiamo che su TikTok dilaga la moda del Manifesting con oltre cinque miliardi di visualizzazioni dell’hasthag medesimo. La pratica consisterebbe appunto nel riuscire ad ottenere ciò che si desidera attraverso la forza del pensiero[9].
“La vacca sacra della cultura americana è, attualmente, l’Ego: l’autostima è inviolabile, sicché ci affanniamo a trasformare le accademie in un sistema in cui nessuno può fallire”, così scriveva Robert Huges nel suo celebre La Cultura del Piagnisteo[10].
Panico morale
Il panico morale è la conseguenza psicologica di questo tipo di forma mentis post-sessantottina, e l’attacco alla libertà dei social media ne costituisce un caso da manuale: l’esplosione di preoccupazione morale per una presunta minaccia da parte di un agente di corruzione che è sproporzionata rispetto al suo reale pericolo o potenziale danno. Sebbene i problemi rilevati possano essere reali, le affermazioni esagerano spesso la gravità, l’entità o l’inevitabilità del danno. In preda al panico morale, afferma il sociologo Stanley Cohen, “l’atipico diventa tipico”. Le esagerazioni si costruiscono da sole, amplificando le paure in un circolo vizioso di bias di conferma.
I portatori del panico arrivano addirittura a distorcere le prove fattuali o addirittura le fabbricano per giustificare (iper)reazioni alla minaccia percepita[11].
Il rapporto Rasmussen
A conferma di questa tendenza ossessiva, un recente rapporto condotto da Scott Rasmussen, per conto del Committee to Unleash Prosperity, ha definito per la prima volta, come pensa la vera “élite” della società, che controlla la maggior parte delle nostre narrazioni sociali, della politica e dell’“ortodossia” generale. Durante due sondaggi nazionali settimanali, Rasmussen ed il suo team hanno notato un’anomalia: su ogni 1.000 intervistati circa, ce ne sarebbero sempre tre o quattro molto più radicali di tutti gli altri. Le risposte radicali sono arrivate da persone che hanno una laurea (non solo studi universitari), un reddito familiare superiore a 150.000 dollari all’anno e vivono in grandi città. Quando Rasmussen ha aggregato le risposte di più di 20 sondaggi, si è reso conto che queste persone costituivano un’élite unica, l’1%. L’1% dell’élite è sorprendentemente giovane. Il 67% ha tra i 35 ed i 54 anni. Sono bianchi per l’86%. Sono per la maggior parte democratici (73%).
Il divario tra l’1% dell’élite e il resto dell’America è sorprendente. Mentre il 57% di tutti gli elettori afferma che in America non c’è abbastanza libertà individuale, il 47% dell’1% delle élite sostiene invece che c’è troppa libertà. Se si chiede alla parte del gruppo più radicale e ossessionata dalla politica, il 69% dice che c’è troppa libertà individuale in America.
Detto questo, non sorprende che tale élite abbia grande fiducia nel governo. Circa il 70% ritiene che il governo faccia la cosa giusta nella maggior parte dei casi[12]. Questa verità è stata confermata dalle risposte ad altre domande[13].
Per illustrare la portata del divario tra l’1% e il resto del paese, si considerino le opinioni sulle questioni climatiche (e si comprenda che a queste idee si oppone una percentuale compresa tra il 63% e l’83% della maggior parte degli americani).
Il 77% dell’1% vorrebbe imporre severe restrizioni e razionamenti sull’uso privato di gas, carne ed elettricità; il 72% è favorevole al divieto dei veicoli alimentati a gas; il 69% è favorevole al divieto delle stufe a gas; il 58% è favorevole al divieto dei veicoli utilitari sportivi; il 55% è favorevole al divieto dei viaggi aerei non essenziali; il 53% è favorevole al divieto dell’aria condizionata privata.
Secondo Rasmussen, i più radicali di questo 1% hanno studiato nelle principali università americane: Harvard, Yale, University of Pennsylvania, Northwestern, John’s Hopkins, Columbia, Stanford, Berkeley, Princeton, Cornell, MIT e l’Università di Chicago. È la stessa élite che domina le università, i mezzi di informazione, la magistratura, le agenzie di intelligence, le fondazioni giganti e la maggior parte delle grandi aziende. Sebbene siano relativamente molto pochi, si sposano, i loro figli frequentano le stesse scuole e si assumono e si promuovono a vicenda. L’identificazione da parte di Rasmussen dell’1% dell’élite comincia a spiegare la profondità della tensione tra la maggior parte degli americani e il piccolo gruppo che controlla le principali leve del potere e che ha la possibilità di esercitare un’influenza enorme sul restante 99%[14].
Il quadro che emerge dal rapporto di Rasmussen è quello di una superclasse che non solo è immune e insensibile ai problemi dei propri connazionali ma anche e soprattutto che è disposta a imporre loro politiche impopolari[15]. In realtà, Rasmussen svela qualcosa di ancora più allarmante e dirompente: secondo i suoi dati, il 35% dell’1% dell’élite (e il 69% del gruppo risultato politicamente più radicale) ha affermato che preferirebbe imbrogliare piuttosto che perdere un’elezione. Tra gli americani medi, il 93% rifiuta gli imbrogli e accetterebbe la sconfitta in un’elezione onesta.
A confermare questo atteggiamento radicale arriva un articolo di Foreign Affairs, la rivista di riferimento del Council on Foreign Relations, un think tank fondato nel 1918, all’epoca dell’amministrazione di Woodrow Wilson, che riunisce il gotha del mondo imprenditoriale americano, dei funzionari governativi e dei principali influencer della cultura pop e ha come scopo quello di studiare le relazioni internazionali ed elaborare strategie globali per combattere le tendenze isolazioniste[16].
L’articolo è una testimonianza esatta del tipo di ipocrisia inerente a gran parte della classe dirigente. Si parla di “obiettivi meritevoli” perseguiti con “mezzi indegni” per il bene di obiettivi liberali e democratici. Il problema di tutta evidenza è: chi decide quali siano gli “obiettivi meritevoli” e il prezzo da pagare per il loro raggiungimento? [17]
Per concludere…
Abbiamo ora abbastanza materiale per consentirci un’incursione nello scenario di un futuro distopico. Ci aiuta a fare questo un romanzo d’anticipazione particolarmente centrato sui temi che trattiamo, Quantica, del giornalista svizzero, da poco scomparso, Alex Kalatchoff, collaboratore della RAI e della Radio Svizzera, appassionato di scienza e tecnologia. Tanto che, nel corso di decenni di lavoro, ha accumulato una serie di competenze ed esperienze nel trattare argomenti scientifici, o di carattere sociale e ambientale, lo hanno infine portato alla stesura del libro.
La vicenda si configura come un thriller ambientato nel 2037, dove assieme al dipanarsi degli eventi legati ad una catena di omicidi e all’indagine sui mandanti di questi crimini, si sviluppa il rapporto tra il protagonista, Marc Lafitte, e l’AI da lui creata. L’aspetto più interessante per la nostra conclusione. Nel corso della storia, il protagonista viene a conoscenza di uso ben poco nobile della tecnologia, che è già stato suggerito con la citazione iniziale: l’esistenza di una Fondazione di super ricchi che gestisce un potentissimo computer quantistico “educato” con una serie di dati a gestire la catastrofe climatica ed il progetto Restore Planet. Tuttavia, questi dati sono stati appositamente falsificati in modo che il programma diventasse funzionale ai reali scopi della Fondazione: costituire un nuovo equilibrio politico, economico e ambientale. Per garantire l’evoluzione ed il progresso della società, gli scienziati al servizio della Fondazione hanno individuato nella sovrappopolazione e nell’inquinamento ambientale i motivi principali di un irreversibile collasso del pianeta, aggravato da un probabile conflitto mondiale. La soluzione viene individuata nell’accelerazione predeterminata della crisi economica, in un taglio delle risorse energetiche, con il confinamento e l’abbandono di buona parte delle popolazioni ritenute inutili e ostili ai loro disegni.
Solo un romanzo, indubbiamente e per fortuna, che illumina di luce sinistra la realtà che stiamo vivendo e, tuttavia, attraverso le lenti deformanti della fantasia ci consente di coglierne aspetti da non sottovalutare.
Approfondimento a cura di Gilberto Moretti.
Lugano, 10 marzo 2024.
Fonti:
[1] Cfr. Aa.Vv., French sci-fi team called on to predict future threats, in BBC News, 19.07.2019.
[2] Cfr. Cappi, G., Parigi vara il “Red Team Defense”: la “squadra” di futurologi al servizio di Macron, in Il Giornale, 16.07.2023.
[3] Cfr. Myers, E., MPs point debanking finger at FCA, in Politico, 21.02.2024.
[4] Cfr. Wise, A., The debanking saga: What happened and where do the banks stand now?, in Indipendent, 24.12.2023.
[5] Cfr. Brownback, S., Tedesco, J, Stop the Troubling Trend of Politically Motivated Debanking, in Newsweek, 15.03.2023.
[6] Cfr. Loy, M., Il «debanking» arriva in Francia: conti correnti chiusi a chi dissente, in La Verità, 04.02.2024.
[7] Cfr. Savioli, V., L’Uomo Residuo. Cancel Culture, “Politicamene Corretto”, Morte dell’Europa, ed. Il Cerchio, 2023.
[8] Cfr. Aurelien, Peter Pan va in Ucraina, in italiaeilmondo.com, 12.12.2022.
[9] Cfr. Ferrara, A., Il magico potere del Manifesting, la meditazione per ottenere quello che desideri, in Ansa.it, 13.12.2023.
[10] Cfr. Huges, R., La Cultura del Piagnisteo. La saga del Politicamente Corretto, ed. Adelphi, 1994.
[11] Cfr. Mueller, M., Challenging the Social Media Moral Panic: Preserving Free Expression under Hypertransparency, in Cato Institute, 23.07.2019.
[12] Gingrich, N., The Elite 1 Percent Behind the Cultural Civil War, in Intellectual Takeout, 01.02.2024.
[13] Cfr. Rasmussen, S., The Elite 1% and the Battle for America’s Soul, Commettee to Unleash Prosperity, 19.01.2024.
[14] Cfr. Simplicius, La disconnessione delle super élite americane, in italiaeilmondo.com, 06.03.2024.
[15] Cfr. Schorr. I., Shocking survey reveals the reason elites are out of touch – and it isn’t why you think, in New York Post, 19.01.2024.
[16] Sul ruolo geopolitico dei prodotti mediatici di consumo si veda Natali, G., Geopolitica Pop. Conflitti, simboli e identità dal K-pop a Masha e Orso, ed. Treccani, 2023. Sulla contrapposizione tra wilsoniani internazionalisti e jacksoniani isolazionisti si veda Pezzoli, A., Lose Yourself, in Side Views, brightside-capital.com, 27.10.2020.
[17] Cfr. Brands, H., The Age of Amorality. Can America Save the Liberal Order Through Illiberal Means?, in Foreign Affairs, 20.02.2024.