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Give peace a chance

Let me tell you now
Ev’rybody’s talking about
Revolution, evolution, masturbation
Flagellation, regulation, integrations
Meditations, United Nations
Congratulations
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance

Give peace a Chance, John Lennon
Apple Records, July 4th 1969


L’elemento geopolitico che sta attirando maggiormente la nostra attenzione in queste settimane è senza dubbio il cambio di narrativa che in Europa sta, lentamente ma inesorabilmente, preparando le menti di tutti noi alla necessità di andare in guerra e di andarci subito, prima che per caso Trump vinca le elezioni e si metta a negoziare la pace con Putin, come sottolineato in una recente intervista dal vicedirettore dell’EMP Taskforce on National and Homeland Security David T. Pyne: “ Sì, Trump è assolutamente impegnato a negoziare la fine della guerra in Ucraina subito dopo il giuramento come Presidente. La sua promessa di porre fine alla guerra non è mera retorica. Sarebbe la sua massima priorità in politica estera fin dal primo giorno di presidenza. Direbbe a Zelensky che non può aspettarsi ulteriori aiuti dagli Stati Uniti finché non accetta un cessate il fuoco e un armistizio permanente con la Russia. Il Presidente Trump ha fatto una campagna elettorale per promuovere la pace nel mondo ed evitare che gli Stati Uniti inciampino in una terza guerra mondiale che inevitabilmente si aggraverebbe fino al livello nucleare e ho tutte le ragioni per credere che sia molto sincero in questo impegno. Il Presidente Biden, invece, ha portato gli Stati Uniti e i suoi alleati sull’orlo dell’abisso nucleare con la Russia e la Cina senza che vi fosse alcun interesse di sicurezza degli Stati Uniti o della NATO in gioco nella disputa in corso sul confine ucraino con la Russia”[1].

La rassegna stampa del mainstream non lascia scampo ad interpretazioni, come evidenziato nei ritagli di stampa che seguono[2]. L’obiettivo dell’articolo, dunque, è soffermarsi su un tema a nostro avviso centrale e, cioè, chi questa guerra la vada sul serio a combattere.

Da dove partire? Iniziamo guardando alla demografia, perché fino a prova contraria un po’ di soldati servono. Può essere l’Italia, come sempre, un buon punto di partenza per fare le valutazioni in merito: qui, infatti, sono tanti anni che il tema non tange più nessuno.

Ricordiamo che la chiamata alle armi nel Bel Paese riguarda i civili dai 17 anni che si ritrovino iscritti nelle liste di leva fino ad un massimo di 45 anni. L’articolo 11 della Costituzione sancisce il principio alla base delle regole di ingaggio: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. I civili potrebbero esser chiamati alle armi soltanto se “il personale volontario in servizio fosse insufficiente e vi fosse l’impossibilità di colmare le vacanze dell’organico in funzione delle predisposizioni di mobilitazione”. Mentre la Pet Economy fa faville (1bn di euro all’anno spesi per il mantenimento dei cuccioli contro 633MM destinati ai bambini, si veda https://www.ilbollettino.eu/2023/05/12/pet-economy-in-italia-vale-35-miliardi/ ), la schiera di target da arruolare, purtroppo, si assottiglia sempre di più a causa dell’inverno demografico che colpisce lo Stivale come tutto il mondo occidentale. Il grafico qui sotto è davvero impietoso nell’indicare una tendenza forte e chiara verso l’estinzione.

Il declino demografico italiano è un tema trito e ritrito, di certo non una scoperta, ma è la base di partenza per il ragionamento. L’aspetto da approfondire è, tuttavia, un altro: preso atto che ci sono sempre meno civili in età di leva, chi sarà in grado di convincerli e/o motivarli?

Di sicuro non la politica: chi ci segue da tempo sa che il nostro slogan è “people are leaving institutions”. Riteniamo, ovviamente, poco probabile che la leadership politica di questa fase storica sia in grado di catalizzare i consensi e smuovere le coscienze. La tabella che segue, mettendo l’attenzione sul “disapproval rating” dei politici occidentali, non ha bisogno di interpretazioni.

Servono, dunque, motivazioni ideali (“la patria”, “il futuro della nostra collettività”) ma la realtà è che, come sottolinea un fine analista come Alessandro Leonardi su “X”: “il risultato di quattro decadi a pompare 24 ore su 24 l’individualismo estremo, le tendenze narcisistiche, la competizione a tutti costi, le società sono state totalmente sgretolate come collettività”. In un mondo che ha messo “l’io” come pietra angolare dell’avanzamento sociale, non può sorprendere né l’atomizzazione sociale né il serio disinteresse per la propria comunità che a ciò si accompagna. In sintesi, si raccoglie ciò che si ha seminato. In tutto l’Occidente. Leonardi insiste: “Ora in Occidente, dove le grandi visioni/fedi/ideologie hanno cessato di esistere, dove la collettività si è frantumata, questa quota è ancora più grande e pensa solo al proprio orticello. Non a combattere e a morire per tutelare l’assetto occidentale[3].

Le evidenze a supporto naturalmente non mancano, in Italia come in tutto Occidente e, dunque, anche in Ucraina: la maggior parte degli italiani, come ben evidenziato dal grafico qui sotto, non è così allineata con la leadership politica circa l’impellente necessità di scendere in campo. La situazione non è molto diversa negli altri Paesi dell’Occidente: si vedano, a riguardo, le statistiche sull’attitudine dei britannici circa il servizio militare in caso di guerra, dove il numero dei civili pronti a scendere in campo per l’Union Jack si riduce ad un risicato “high single digit” (7%).

Come dicevamo, l’Ucraina, prossima all’entrata nella NATO, si allinea naturalmente alle tendenze occidentali.

Senza dubbio, sarà interessante apprezzare gli equilibrismi dialettici delle attuali classi politiche che, salvo non decidano di rinsavire, dovranno convincere i propri elettori/soldati che la logica dell’inclusività, dei buoni sentimenti e degli arcobaleni sempiterni, dovrà essere convertita in qualcosa di molto meno inclusivo, dove la tanto amata libertà individuale dovrà essere ulteriormente ridimensionata per decreto e dove i tanto disprezzati comportamenti violenti dovranno essere assimilati da ognuno di noi e diventare parte integrante del nostro vissuto quotidiano.

La dimensione tragicomica di tutto questo appare evidente ma, purtroppo, duemila anni di storia economica ci spingono a pensare che le probabilità che ciò si riveli solo una creazione hollywoodiana o una sorta di cinepanettone in salsa EU non sono molto alte.

In tutte le fasi storiche caratterizzate dalla fine del “ciclo del debito di lungo termine” (Ray Dalio), quando insomma il debito inizia ad arrivare ad ordini di magnitudine che richiedono ai policy maker di iniziare a ragionare sulle modalità di rientro, inflazione e guerre rispondono sempre “presente” all’appello. I numeri inflattivi degli ultimi anni non possono, dunque, stupire. Per questo motivo, una narrativa così pressante sulla necessità di fare la guerra a tutti i costi non rappresenta certo un’anomalia. Magari, proprio i classici potranno essere lo spunto per aiutare nel cambio di narrativa, “si vis pacem, para bellum”, è un detto che di sicuro risuona per molti di noi.

Anzi forse ha già risuonato…

Got GOLD?

Approfondimento a cura di Alex Pezzoli

Lugano, 12 Aprile 2024


[1] Cfr. Vivaldelli, R., “Biden nasconde il rischio di una guerra nucleare”: parla David T. Pyne, in Inside Over, 07.04.2024.

[2] Cfr. Tito, C., La mossa di Stoltenberg: “Fondo Nato da 100 miliardi per Kiev”, in LaRepubblica, 02.04.2024; Del Re, G.M., Il Consiglio Europeo. L’Europa si prepara all’ipotesi guerra. Stallo su difesa comune, in Avvenire, 21.03.2024; Redazione, Ucraina, Stoltenberg: dobbiamo prepararci a una guerra lunga, in Ansa, 17.09.2023; Redazione, Ucraina, l’annuncio di Macron: “Non escludo l’invio di truppe francesi”, in Adnkronos, 14.03.2024; Redazione, Tensione Nato-Russia, 100mila soldati nell’Est Europa: cosa sappiamo sulla Response Force,in Skytg24, 27.03.2024.

[3] Alessandro Leonardi è un’analista, giornalista pubblicista e speaker radiofonico. Ha scritto per diverse testate giornalistiche locali e nazionali. Dal 2012 ha condotto diversi programmi radiofonici sulla webradio istituzionale “NeverWas Radio”. Si occupa principalmente delle crisi sistemiche (geopolitiche, macroeconomiche, sociali e ambientali) del Sistema industriale-tecnologico.

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