“Gas naturale? Le parole vengono ripetute con qualche esitazione, come la prima lezione in una lingua straniera, vocali e consonanti dal suono strano e insolito, che sgorgano con difficoltà. Chi conosce il folklore locale fa delle rapide connessioni. In montagna c’è una sorgente segreta ma famosa che produce delle bolle, apparentemente senza ragione. Nei boschi a nord di Deer Run, in un luogo chiamato the Huffs, dalle rocce filtrano vapori inebrianti. The Huffs sono molto popolari tra i ragazzini, che vanno lì a bere. Gli adolescenti sostengono che le esalazioni li fanno sballare, e forse è vero.” (Jennifer Haigh, L’America sottosopra)
I prezzi di tutte le materie prime energetiche sono aumentati durante il mese scorso, alcuni con margini record, e ciò a causa della carenza di gas sui mercati. Conseguentemente, con l’inverno alle porte, cresce la preoccupazione per i rincari in bolletta e le possibili interruzioni delle forniture.
Con lo scritto di oggi ci proponiamo di analizzarne le cause, con particolare attenzione agli aspetti geopolitici, avviando un ragionamento che coinvolge il più ampio tema della transizione energetica in atto e che proseguirà nel mese di novembre, periodo in cui si svolgerà il vertice mondiale sul clima a Glasgow.
Ci sono molte ragioni per la stretta energetica globale ma la narrazione mainstream mette la Russia sul banco degli imputati in quanto accusata di una riduzione delle forniture.
Andiamo con ordine. Sicuramente, il ciclo rialzista dei prezzi si inserisce nel quadro della ripartenza dell’inflazione sulla scia della fase di crescita economica del 2021. Durante il rallentamento dovuto alla pandemia da Covid-19, i prezzi di molte materie prime erano crollati per lo shock economico e per la destrutturazione delle catene del valore globale, mentre la ripresa delle attività produttive in varie aree del mondo ha determinato un rapido aumento della domanda di materie prime e di energia. Tale crescita della domanda ha dovuto fare i conti con i ritardi dell’offerta di gas naturale imputabili al rallentamento delle produzioni e delle manutenzioni degli impianti causato dalla pandemia, nonché dalle scorte al minimo in tutte le economie avanzate. Per quanto riguarda l’Europa, si aggiungano i problemi relativi ai giacimenti del mare del Nord e al progressivo esaurimento di uno dei più importanti giacimenti di gas naturale in Europa a Groeninghen nei Paesi Bassi (Cfr. Gozzi, A., La crisi del gas rischia di diventare una crisi sistemica, in Eunews, 07.10.2021).
La decisione della Russia di non far transitare più gas attraverso l’Ucraina o di rifornire i suoi siti di stoccaggio europei ha senza dubbio esacerbato la crisi. L’impatto è stato evidente anche in paesi relativamente lontani come la Spagna e il Regno Unito, che hanno una dipendenza diretta minima dal gas russo. Alcuni osservatori sostengono, infatti, che Mosca stia cercando di fare pressione sul governo tedesco per accelerare la certificazione del nuovo gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania.
Sebbene i lavori sul gasdotto siano stati recentemente completati, il regolatore tedesco ha affermato che ci vorranno fino a quattro mesi per completare il processo di certificazione. Il gasdotto è, quindi, al centro delle tensioni geopolitiche, poiché sia gli Stati Uniti che l’Ucraina sostengono che consente alla Russia di aggirare il gasdotto ucraino, minacciandone la sicurezza. Inoltre, gli Stati Uniti temono che il gasdotto aumenti la dipendenza dell’Europa dal gas russo: il fatto che Gazprom e il Cremlino abbiano affermato che le vendite di gas possono essere aumentate dopo l’approvazione supporta l’opinione che le consegne di gas vengano utilizzate come strumento per esercitare pressione. Le preoccupazioni sulle forniture future non sono del tutto prive di fondamento: la durata del periodo di certificazione, con una decisione che cade proprio nel bel mezzo dell’inverno europeo, porta con sé il rischio che la Russia possa deviare il transito di gas attraverso l’Ucraina al Nord Stream 2 non appena il gasdotto entrerà in funzione commerciale. Mosca è contrattualmente vincolata al pagamento della capacità prenotata via Ucraina fino al 2024, tuttavia, i termini dell’accordo concluso alla fine del 2019 non prevedono che Gazprom utilizzi effettivamente tale capacità.
Un’analisi dell’ICIS ha scoperto che se il transito ucraino viene deviato verso il Nord Stream 2 e i flussi di gas reindirizzati dalla Germania verso l’Europa centrale e orientale, la regione potrebbe subire una carenza di approvvigionamento tra 15-45 miliardi di metri cubi o più durante il picco della domanda (Cfr. Sabadus, A., Nord Stream 2, German hub merger could leave Ukraine, CEE out in the cold, ICIS, 14.09.2021).
Nel frattempo, come avevamo scritto nella Side View In Geneva with(out) love, l’affermazione dei Verdi alle elezioni tedesche potrebbe essere un ulteriore fattore di complicazione. Il loro leader, Annalena Baerbock, ha sostenuto una linea dura nei confronti della Russia. Ciò, a sua volta, aumenta anche il rischio che la Russia possa per prima alzare la posta in questa partita a scacchi geopolitica. Si può intanto ipotizzare che forse Mosca non sarebbe del tutto scontenta di vedere un’ulteriore divisione e debolezza economica in Europa, soprattutto se questo è un precursore per finire con una posizione ancora piu’ dominante nelle forniture energetiche dell’UE.
LA CRISI CON L’UCRAINA
Le tensioni tra Russia e Ucraina nel 2009 provocarono il blocco delle forniture russe all’Europa passanti per l’Ucraina stessa. Alcuni Paesi dell’Europa orientale per i quali la Russia era fornitore unico si ritrovarono senza gas. In Europa occidentale vi era disponibilità di gas grazie ad altri fornitori ma non vi erano gli interconnettori che la unissero alla parte orientale. Dopo la crisi, la UE ne costruì di nuovi. Inoltre, per diversificare, vennero creati terminal per importare gas naturale dal mercato globale (30 terminal), riducendo il potere negoziale della Russia.
È di questi giorni la notizia, riportata da Reuters, che i leader dell’Unione Europea discuteranno l’idea di istituire una riserva strategica di gas dell’Ue e il disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità dai prezzi del gas, rimarcando polemicamente il mancato aumento dell’offerta da parte della Federazione Russa (Cfr. Strupczewski, J., EU leaders to discuss strategic gas reserve at summit-Commission, in Reuters, 05.10.2021). Dal canto suo, il presidente russo punta il dito contro l’Europa per l’attuale crisi energetica che sta affrontando il continente. Infatti, secondo Mosca, a partire dalla crisi Ucraina, l’Europa ha sbagliato a distaccarsi dagli accordi di fornitura di gas a lungo termine optando per il mercato spot (dove la compravendita è immediata). A Gazprom non piace il mercato spot, preferendo appunto i contratti a lungo termine che possono durare dai venticinque ai trent’anni. Così facendo, l’Unione europea riteneva di mettere in grossa difficoltà la Federazione Russa, la quale invece si è adeguata velocemente al nuovo contesto, senza invece tenere conto dei rischi ai quali l’Unione andava incontro. Putin, inoltre, ha affermato che per la società sia economicamente svantaggioso trasportare gas naturale per le condotte vecchie, come quelle sul territorio ucraino; le nuove tubature di NS2, sostiene, permettono di ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera di 5,6 volte (Cfr. Soldatkin, V., Russia says Nord Stream 2 clearance may cool gas prices in Europe, in Reuters, 06.10.2021.). Peraltro, va sottolineato che stessa Commissione europea ha riconosciuto che Gazprom sta rispettando i contratti pur non avendo prenotato nuova capacità di esportazione.
A contribuire all’aumento dei prezzi del gas naturale in Europa, oltre alle politiche russe di limitazione dei flussi, è anche la forte domanda di gas naturale liquefatto (GNL) in Asia, che ha attirato a sé carichi che altrimenti si sarebbero diretti nel Vecchio continente. È vero che il mercato asiatico è ancora in larga parte caratterizzato da contratti a lungo termine e che i gasdotti siberiani che riforniscono l’Europa sono diversi da quelli che approvvigionano la Cina (Power of Siberia), tuttavia questo aumenterà la capacità di leva della Federazione russa.
La grave carenza di elettricità in Cina è il risultato della regolamentazione draconiana in merito all’estrazione del carbone, esacerbata dal divieto punitivo di Pechino sulle importazioni di carbone australiano (ricordiamo che l’Australia è impegnata nelle operazioni di contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico). A settembre Pechino ha dovuto imporre a oltre la metà delle province cinesi un razionamento dei consumi e molte industrie hanno dovuto interrompere la propria attività. Anche per questo, le previsioni per il terzo trimestre 2021 ipotizzano addirittura una crescita zero del PIL cinese. Tuttavia, in questi giorni, Pechino ha ordinato alle sue imprese di aumentare la produzione di carbone (Cfr. ISPI, Cina e carbone: contrordine, compagni! 08.10.2021).
Appare evidente, infatti, che una delle cause principali della crisi di offerta di gas è da imputarsi al crollo degli investimenti negli idrocarburi sotto la pressione dell’agenda verde adottata dal consenso internazionale. Insomma, non è tanto un problema di offerta ma di vincoli sulla domanda.
In tal senso va inquadrato il forte rallentamento della produzione di gas naturale negli Stati Uniti, il motore di crescita globale per tali forniture nell’ultimo decennio attraverso la rivoluzione del fracking. In effetti, gli Stati Uniti stavano praticamente “nuotando” nel gas naturale fino a pochi anni fa, quando la capacità di esportazione di GNL ha iniziato ad aumentare. Le cose sono cambiate in modo piuttosto drammatico negli ultimi mesi e, con l’elezione di Biden, gli Stati Uniti non stanno più aumentando le forniture, con la produzione che rimane ben al di fuori dei massimi pre-pandemia.
Gli investimenti energetici negli Stati Uniti sono diminuiti poiché i grandi investitori istituzionali boicottano gli investimenti nei combustibili fossili.
Allo stesso tempo, la domanda globale continua a crescere mentre il mondo tenta di spostarsi verso un futuro a zero emissioni di carbonio. Praticamente l’intera élite politica mondiale ha aderito all’agenda sulla neutralità del carbonio, incluso il governo cinese, che sembra credere che il sostegno alla neutralità del carbonio (che la Cina ha promesso entro il 2060) mitigherà l’ostilità nei confronti della Cina in Occidente.
Il rally dei prezzi ha coinciso con il rilascio, durante l’estate, del pacchetto Fit for 55 dell’Unione Europea, una serie di misure per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Allo stato attuale, questo obiettivo ambizioso è semplicemente irrealizzabile senza che il gas naturale fornisca un importante ponte per allontanarsi dai combustibili più inquinanti come carbone e petrolio.
Pertanto, è probabile che l’innalzamento dei prezzi del gas naturale diventi strutturale e permanga: l’agenzia di rating S&P Global Ratings in settembre ha pubblicato un’analisi nella quale afferma che i prezzi dell’energia in Europa continueranno a crescere anche nel 2022 e nel 2023, mentre diminuirà l’offerta. Gli obiettivi ambientali più ambiziosi dell’Europa, legati alla transizione verso un’economia green, accelereranno la chiusura degli impianti di generazione termica e nucleare che le rinnovabili non riusciranno completamente a rimpiazzare nei prossimi tre anni, portando a una maggiore volatilità di prezzo legata alle condizioni atmosferiche dalle quali le fonti come l’eolico ed il solare dipendono per il loro output (Cfr. The Energy Transition and What It Means for European Power Prices and Producers: September 2021 Update, S&P Global, 17.09.2021).
CURIOSITÀ: GASLIGHTING
Nell’attuale periodo storico, è importante comprendere come l’accettazione sociale di fatti ritenuti inevitabili sia fondamentale per l’attuarsi di progetti di ristrutturazione sistemica. In questo senso, non può essere escluso a priori l’utilizzo di vere e proprie tecniche di manipolazione attraverso i media o i social network.
Quando la manipolazione avviene ad opera di una personalità forte a danno di una debole, il termine con cui ci si riferisce al comportamento del manipolatore è “Gaslighting”. Il termine deriva dal titolo del film “Gaslight” (tradotto in italiano con “Angoscia”), del 1944. In tale film un marito abbassava ed alzava le luci a gas di casa facendo poi finta di niente e riuscendo così piano piano a far dubitare la moglie delle proprie capacità mentali.
Il mercato dell’energia suggerisce che la dura realtà dei vincoli di approvvigionamento travolgerà l’agenda green prima che inizi. Ad esempio, quella dal carbone è una dipendenza che Pechino non riesce a lasciarsi alle spalle. Ancora oggi quasi il 60% dell’energia in Cina proviene dal carbone (in Ue siamo all’11%). Questo a sua volta significa che di tutto il carbone che il mondo ha consumato nel 2020, più della metà (il 54%) è stata utilizzata da Pechino e ciò nonostante la Cina, con i suoi campi di eolico, sia potenzialmente il produttore leader di energia rinnovabile.
A tre settimane dall’inizio di COP26, gli interrogativi sulla velocità (e sostenibilità) della transizione verde non fanno che moltiplicarsi. Tutte le agenzie di previsione concordano sul fatto che anche con le politiche più aggressive sul cambiamento climatico, il mondo continuerà a utilizzare petrolio e gas per qualche tempo. Infatti, se perdura l’eccesso di domanda, Bruxelles non potrà porre troppi vincoli alle importazioni di gas sulla base di criteri come il dazio verde (Cbam) proposto dalla Commissione. Inoltre, per quanto riguarda il mercato degli ETS, già con prezzi ai livelli attuali servirebbe un prezzo delle emissioni a circa 100 euro/tCO2 (oggi a circa 55 euro) per incentivare il passaggio dal carbone al gas. Tuttavia, e questo ci appare essere l’obiettivo, con un gas a costo elevato e con il crollo della sua immagine di combustibile di transizione diventa ragionevole accelerare i tempi nel raggiungere gli obiettivi posti dal Green Deal anche dal punto di vista delle scelte individuali dei consumatori, che potrebbero muoversi più rapidamente verso soluzioni di efficientamento e alternative disponibili (Cfr. Giuli, M., Il gas che manca: prospettive e implicazioni, Affari Internazionali, 15.09.2021).
Come sempre chiudiamo con un romanzo e L’America sottosopra di Jennifer Haigh (Bollati Boringhieri, 2018) ci sembra il più adatto. Sotto i terreni appartenenti agli agricoltori di Bakerton in Pennsylvania, a un paio di chilometri di profondità, c’è un giacimento di gas naturale dal nome imperiale, il Marcellus. Un vero tesoro, e finalmente si è trovato il modo di portarlo alla luce. I proprietari devono solo affittare i terreni alla Dark Elephant Energy. La vita continuerà in modo normale per gli agricoltori, ma periodicamente potranno incassare sostanziosi assegni. Firmano in tanti, senza nemmeno preoccuparsi di leggere attentamente il contratto: da un lato, si millanta di una trivellazione indolore, incolore, insapore, inodore mentre, dall’altro, gli agricoltori immaginano di affrancarsi finalmente dalle fatiche quotidiane nuotando in un mare di dollari. Jennifer Haigh, attraverso una molteplicità di voci, ci regala un vivido affresco dell’America rurale di oggi, terreno di caccia delle più grosse compagnie energetiche.