(foto: Midnight in Paris, film 2011)
«Ad essere onesti, quando ero giovane, le elezioni non avrebbero potuto essere meno interessanti; la mediocrità delle “offerte politiche” era quasi sorprendente. Un candidato di centrosinistra sarebbe stato eletto, avrebbe servito uno o due mandati, a seconda di quanto fosse carismatico, poi per ragioni oscure non avrebbe completato un terzo. Quando la gente si stancava di quel candidato, e del centrosinistra in genere, si assisteva al fenomeno del cambio democratico, e gli elettori insediavano un candidato del centrodestra, anche per uno o due mandati, a seconda del suo personale appeal. Le nazioni occidentali avevano uno strano orgoglio per questo sistema, anche se equivaleva a poco più di un accordo di condivisione del potere tra due bande rivali, e sarebbero persino entrate in guerra per imporlo alle nazioni che non condividevano il loro entusiasmo.» (Michel Houellebecq, Sottomissione)
Il flaneur, invenzione letteraria ottocentesca, è un vagabondo casuale, un osservatore e cronista della vita di strada della città moderna e la città, ovviamente, non può che essere Parigi. Il flaneur vaga curioso seguendo il capriccio di un’osservazione disinteressata, è un “botanico da marciapiede”, per usare proprio l’espressione di Charles Baudelaire che per primo ha codificato questo tipo letterario.
E con questa curiosità disincantata oggi gettiamo uno sguardo oltralpe alle elezioni presidenziali francesi che sono iniziate con il primo turno il 10 aprile e che vedono per la seconda volta Emmanuel Macron e Marine Le Pen sfidarsi al secondo turno previsto proprio per oggi 24 aprile. Ce ne occupiamo perché l’appuntamento elettorale francese ha indubbiamente una rilevanza globale, sia per il peso politico della Francia in Europa e nel mondo, sia per il particolare momento in cui avviene.
La leadership francese conta moltissimo per il futuro del progetto europeo, tanto che anche per i commentatori statunitensi il ballottaggio delle presidenziali ha sollevato la prospettiva di un nuovo scossone nelle alleanze transatlantiche, che potrebbe mettere alla prova l’unità occidentale contro la Russia di Putin.
Ciò che queste elezioni possono dirci, tuttavia, riguarda anche i cambiamenti nelle tendenze e nei valori politici del Paese, così come il modo in cui l’opinione pubblica francese vede il fallimento della classe dirigente in generale. Sebbene al ballottaggio appaia più probabile la vittoria di Macron, perché dovrebbe scattare il tradizionale cordone sanitario ossia la regola non scritta di bloccare i candidati di destra per la carica più alta della Francia, in realtà, alcuni analisti ritengono non sia così scontata. In altri termini, il ricompattamento su Macron del tradizionale fronte antilepenista è a rischio a seguito del radicale mutamento del quadro politico francese che vede, dopo il primo turno, il quasi azzeramento dei due partiti storici dell’establishment, il partito socialista da una parte e quello neogollista dei Les Republicains dall’altra, a tutto vantaggio dei movimenti populisti: a destra, del Rassemblement National di Marine Le Pen, evoluzione moderata del Front National e frutto del percorso di dediabolisation del movimento; a sinistra, de La France Insoumise guidata dall’anziano ma ancor battagliero e comunicativamente efficace Luc Melenchon, che ha mancato il ballottaggio per un soffio ed è tuttavia il partito più votato dai giovani francesi (Cfr. Ioanes, E., Macron and Le Pen’s inevitable face-off exposes a major shift in French politics, in Vox, 10.04.2022).
L’attenzione di Le Pen e Melenchon sull’inflazione e la perdita di potere d’acquisto ha decisamente pagato in termini di voti, anche nelle aree dove il tasso di disoccupazione è diminuito: l’aumento del costo del gas, dell’assistenza all’infanzia e dei trasporti è ciò che preoccupa gli elettori, soprattutto quelli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, più dei controversi rapporti tra Putin e i populisti (Cfr. Laurent, L., Macron Knows Inflation Is Le Pen’s Best Weapon, in Bloomberg, 14.04.2022). Il timore comune tra le fila progressiste è che un’ipotetica vittoria di Marine Le Pen al ballottaggio possa danneggiare il ruolo della Francia a livello europeo e internazionale. Tuttavia, proprio Melenchon, con la sua affermazione “non un voto in più alla Le Pen”, ha probabilmente già fatto vincere Macron (Cfr. da Landriano, G., La verità dalle elezioni francesi: anche a Parigi la classe media è morta, ma i gatekeeper di sinistra sono vivissimi, in scenarieconomici.it, 11.04.2022).
Senza addentrarci ulteriormente nelle dinamiche della politica interna, il probabile secondo mandato a Macron suggerisce di guardare a tre direttrici geopolitiche:
- ascesa sulla storica rivale Germania;
- leadership all’interno dell’Unione Europea;
- rinnovato impegno in Africa e nel Mediterraneo.
La rivale Germania.
Quando Angela Merkel si è dimessa dopo quasi vent’anni alla guida della più grande economia d’Europa, molti hanno commentato che Macron avrebbe approfittato del vuoto di potere per diventare il leader de facto dell’Europa, pur con un percorso non facile in quanto l’ex Cancelliere tedesco aveva cementato la Germania nel suo ruolo di leadership, in particolare finanziariamente e diplomaticamente.
Poi, Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina e vent’anni di impegno russo-tedesco sono passati da un successo politico a un’enorme responsabilità. In meno di un mese, l’eredità del riavvicinamento della Merkel è crollata, distruggendo la credibilità della Germania come leader dell’Europa e costringendo Scholz a fare marcia indietro. In Francia, gli avversari di Macron all’estrema destra e all’estrema sinistra sono stati costretti a sconfessare completamente o quasi Vladimir Putin e i rapporti intrattenuti con questo.
La Repubblica Federale ha subito un duro colpo mentre l’Occidente si univa dietro un massiccio pacchetto di sanzioni con l’obiettivo di paralizzare l’economia russa. Berlino, infatti, era partner numero uno di Mosca per quanto riguarda le importazioni di gas e petrolio e aveva appena supervisionato il completamento dell’oleodotto Nord Stream II dopo la costruzione del Nord Stream I nel 2011 e 2012. Dopo essersi ritirata dal nucleare, il passaggio della Germania alle energie rinnovabili doveva beneficiare di una dipendenza temporanea dalle esportazioni russe, di conseguenza qualsiasi arresto delle importazioni avrebbe un impatto enorme sui portafogli dei tedeschi. Posizione quest’ultima che ha generato preoccupazione nelle burocrazie statunitensi in ragione della necessità di subordinare le traiettorie del Vecchio Continente alle proprie esigenze strategiche: non dimentichiamo che la Germania è, secondo Washington, la chiave per dominare l’Europa ed impedire il suo scivolamento ad est. Se Berlino si liberasse dalla presa degli Stati Uniti, magari in accordo con Mosca, metterebbe in discussione l’impero a stelle e strisce. Ricordiamo che a gennaio la Repubblica Federale ha rifiutato di approvvigionare Kiev con armamenti letali e ha chiesto di essere esentata da eventuali sanzioni sul gas, posizione riaffermata di nuovo in queste settimane dai datori di lavoro e sindacati tedeschi (Cfr. Askew, J., German employers and unions unite to oppose EU Russian gas boycott, in euronews.com, 19.04.2022).
La tendenza di Berlino a eludere il blocco di appartenenza ha fomentato la diffidenza degli americani, che vi hanno scorto la vocazione a tramare d’intesa con Mosca. L’America ha necessità di scongiurare l’emergere di una superpotenza eurasiatica, poiché potrebbe sfidarne la preminenza negli oceani Atlantico e Pacifico, massimi capisaldi della sicurezza statunitense. Ciò la costringe a sorvegliare contemporaneamente due teatri, Europa e Indo-Pacifico, e conseguentemente pretendere un riarmo europeo per evitare di distrarre risorse che verranno sempre più dirottate al confronto con la Cina, privilegiando la Marina rispetto ad Esercito ed Aeronautica.
In tale contesto, l’America non può più consentire l’egemonia tedesca e potrebbe essere disposta a collaborare con altri Stati Europei per garantire la sua presa sull’Europa (Cfr. Mariotto, G., L’America teme che Berlino faccia da sé, in Limes n.3/2022).
La leadership in Europa.
Con la crisi energetica derivante dalle sanzioni alla Russia, il nucleare francese dà ora all’Eliseo un’enorme influenza. L’economia francese è sostanzialmente meno vulnerabile al disaccoppiamento dalla Russia rispetto al resto d’Europa. Attualmente, la Francia è un esportatore netto di energia verso tutti i paesi limitrofi tranne la Germania; il crollo delle esportazioni russe vedrà senza dubbio quella relazione invertirsi completamente, tanto che la Germania diventerà importatore netto di energia elettrica dal 2023 (Cfr. Perlasca, G., La Germania “Verde” dovrà importare energia elettrica dal 2023, in scenarieconomici.it, 15.01.2022), lasciando la Francia come una superpotenza energetica incontrastata in Europa, instaurando in breve tempo una duratura supremazia.
Il 27 febbraio, Scholz dopo settant’anni di pacifismo tedesco si è impegnato ad aumentare la spesa militare al 2% del PIL. Indubbiamente, l’intenzione è quella di creare una nuova industria militare tedesca, ma non sarà possibile in tempi brevi vista l’urgenza della situazione. Infatti, se partiamo dall’assunto che la produzione di alcuni sistemi d’arma molto complessi inizierà soltanto nel 2030 o nel 2040 si capisce che questa programmazione non risponde alla realtà e l’economia tedesca è impreparata a iniziare a sfornare carri armati (Cfr. Politi, A., Il riarmo tedesco: la svolta e la stasi, in Limes n. 3/2022).
L’incapacità della Germania di espandere efficacemente la propria capacità di produrre armi in velocità è un vantaggio della Francia e di Macron nella sua corsa alla leadership europea. Avendo sostenuto una tradizione di indipendenza strategica sin dalla presidenza di Charles De Gaulle, Parigi è l’unica potenza europea veramente in grado di proiettarsi su scala globale con un’industria all’altezza: guida il mondo (tranne Russia e Regno Unito Stati) nell’esportazione di armi, e come tale l’elenco delle armi che è in grado di produrre su larga scala è sostanziale. La decisione della Germania di riarmare suggerisce che Berlino acquisterà armi a Parigi per il prossimo futuro.
Con il dibattito incombente sulla creazione di forze armate per l’UE, tale integrazione diventa ancora più significativa in quanto avvantaggia qualsiasi leadership francese con una visione espansionistica della potenza europea.
Inoltre, Europa, Spagna, Portogallo, Italia e Grecia possono beneficiare della maggiore influenza francese nelle istituzioni finanziarie poiché molto probabilmente rappresenterebbe un sollievo dopo un decennio di misure di austerità imposte dalla Germania, prestiti anemici e tassi di interesse elevati.
La padronanza di tecnologie chiave come l’intelligenza artificiale (AI), il cloud computing e il 5G stanno giocando un ruolo sempre più importante nelle relazioni internazionali. Le tecnologie emergenti, con le loro numerose applicazioni, promettono di rafforzare notevolmente il potere economico e capacità militari degli Stati. D’altra parte, queste tecnologie hanno anche implicazioni sociopolitiche: sia il loro uso che la loro regolamentazione possono amplificare la partecipazione democratica ma anche le tendenze totalitarie dei governi.
Il governo Macron, infine, ha lanciato negli ultimi cinque anni numerose iniziative mirate al rafforzamento della capacità del Paese di innovazione e resilienza tecnologica e riducendo la dipendenza dai leader tecnologici globali come Stati Uniti e Cina, nella convinzione si debba andare oltre questa contrapposizione alla luce dell’interruzione delle catene di approvvigionamento globali causata dalla pandemia di Covid-19 e dei rischi per
la sicurezza nazionale delle dipendenze da aree tecnologiche considerate critiche.
Sotto la guida di Emmanuel Macron, la Francia è emersa come pioniere europeo nella geopolitica della tecnologia. Il governo francese agisce anche come forza trainante a Bruxelles, con l’obiettivo di promuovere quindi la sovranità tecnologica dell’UE. La Francia probabilmente continuerà questo corso proattivo dopo le elezioni presidenziali dell’aprile 2022 con la promozione del Paese come hub tecnologico, forte regolamentazione delle piattaforme tecnologiche statunitensi e lo sviluppo di tecnologie strategiche.
Un elemento chiave è rendere la Francia uno dei luoghi più attraenti per gli investimenti tecnologici e quindi aumentare la capacità innovativa e la forza economica del Paese (Cfr. Fischer, S.C., France: A European Pioneer in the Geopolitics of Technology, in ETH Zurich CSS Anlyses in Security Policy, n. 302, April 2022).
L’impegno in Africa e nel Mediterraneo.
Nel frattempo, le carenze di gas e petrolio in Europa incentivano la ricerca delle restanti risorse non sfruttate, la maggior parte delle quali si trovano nell’Africa occidentale. Le relazioni della Francia con le sue ex colonie in quella regione, però, non sono serene: in Mali e nel Sahel, gli equilibri di potere locali e internazionali stanno rapidamente mutando. In estrema sintesi, meno francesi (ed europei), più russi (e cinesi) (Cfr. Ardemagni, E., Meno Francia, più Russia: l’Africa per le monarchie del Golfo, in Aspenia online, 16.03.2022).
Tuttavia, la Francia ha una leva. In primo luogo, è la superpotenza agricola europea. Le esportazioni francesi potrebbero essere di enorme beneficio per alleviare le sofferenze e rafforzare la rete francese di ex partner coloniali. Ciò lascia i francesi nella posizione di dettare i termini dell’impegno economico, il che significa che le loro infrastrutture postcoloniali in Africa, come il franco CFA e i conseguenti squilibri di potere, dureranno. Inoltre, con la carenza di fertilizzanti derivante dall’invasione dell’Ucraina, gran parte della produzione alimentare della regione dell’Africa occidentale diventerà impraticabile, con conseguente carenza di cibo e fame di massa (Sull’argomento si veda la side view Food for thoughts). In secondo luogo, la Francia è, come accennato in precedenza, l’unica potenza europea in grado di proiettare potenza militare. In altre parole, è in grado di sostenere la stabilità africana, attraverso la forza militare, se necessario. Dato l’aumento della produzione di armi e delle spese militari, nonché la scarsità di risorse energetiche in Europa, ciò offre alla Francia tutte le ragioni per stabilire legami militari ed economici più profondi con l’Africa occidentale facendo da contrappeso agli investimenti della Cina nel continente.
In tale contesto strategico, il controllo del Mediterraneo è fondamentale per affermare la propria egemonia europea e per mantenere un dialogo costante con le colonie, il cui possesso ha condizionato e continua tuttora a condizionare la politica estera francese La dottrina della Pax Mediterranea, un termine usato dal presidente Macron per descrivere l’ambizione che ha l’Eliseo di tornare ad avere un ruolo egemone in quella che considera da sempre la propria sfera d’influenza, ha come obiettivo quello di riunire le nazioni europee (o quantomeno quelle in possesso di un’eredità latina) per promuovere in primo luogo i propri interessi, e per porre un freno ai progetti espansionistici della Turchia e alla sua idea strategica di Patria Blu.
TRATTATO DEL QUIRINALE
La Francia continua a pensarsi proiettata via mare nostrum verso l’Africa, serbatoio di memorie coloniali, intrecci d’affari e influenza geopolitica. In tal senso, il Trattato di cooperazione italo-francese firmato da Macron e Draghi rappresenta l’occasione utile a forgiare compromessi sui molti dossier aperti a cominciare da quelli mediterranei e africani.
Se queste sono direttrici ed opportunità che prescindono in parte dal risultato elettorale, chiudiamo con il capitolo spinoso dell’Alleanza Atlantica, vero punctum dolens di questa corsa all’Eliseo. Nell’attuale momento conflittuale, si comprendono i timori americani dell’eventuale elezione all’Eliseo di Marine Le Pen che ha riformulato il suo antico desiderio di riavvicinamento con Mosca in chiave anticinese e ha dichiarato di volere che la Francia esca dalla struttura di comando integrata della NATO (Cfr. Aarup, S.A., Le Pen vows to keep Russia close to prevent an alliance with China, in Politico, 18.04.2022).
Membro fondatore della NATO, la Francia ha da tempo un rapporto complesso con l’Alleanza. Sebbene fedele, ha sempre svolto un ruolo distintivo, non esitando a criticarne il modo di operare, dal ritiro di Charles de Gaulle dal comando militare integrato al rientro avvenuto poi con Sarkozy nel 2009 fino ai vari commenti mediatici di Emmanuel Macron sul suo stato di morte cerebrale.
L’atteggiamento francese nei confronti dell’Alleanza, fedele ma critico rispetto al nuovo corso statunitense di orientamento verso l’Indo-Pacifico a, sarà, quindi, fondamentale nei prossimi anni.
In conclusione, un leader debole in Europa come Olaf Scholz e uno altrettanto debole in tutto l’Occidente come Biden, unitamente alla fine del lungo periodo di pace nel continente, sono il combinato disposto in grado di rappresentare un enorme vantaggio per la Francia e per l’attivismo di Macron, qualora venisse rieletto, in vista della leadership europea.
Per la lettura conclusiva non potevamo non scegliere Michel Houellebecq, cinico scrittore francese che ha conquistato l’attenzione della critica e del pubblico con il suo stile dissacrante e provocatorio. Sottomissione non è il suo ultimo romanzo ma la sua trama è particolarmente indicata: sullo sfondo troviamo la Francia del 2022 e il Front National è da tempo il primo partito con il 30% ma l’ascesa all’Eliseo del suo leader, Marine Le Pen, è fermata dal “fronte repubblicano”, l’alleanza di destra e sinistra contro l’avanzare del Fronte. È andata così nel 2017, andrà così anche nel 2022 ma questa volta la Le Pen si trova ad affrontare Mohammed Ben Abbes, leader del partito dei Fratelli musulmani. La Francia è cambiata e si deve confrontare con l’affermarsi dei codici culturali islamici e il protagonista, poco prima del secondo turno del ballottaggio, riflette, passeggiando per Parigi, su questi cambiamenti.
Lugano, 24 Aprile 2022