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In the middle of the east

Murales Buenos Aires

(Murales ad opera di Maximiliano Bagnasco, Buenos Aires, 2022)

“I’ll captivate, you’re hypnotized
Feel powerful, but it’s me again”

(Middle of the night, Elley Duhé)

«Per te le carovane scaricheranno le gemme e le spezie del paese giallo, le armature della Siria, gli avori di Bisanzio. Nei bazar di Isfahan rotoleranno sotto i tuoi piedi pellicce, ambra, miele e schiavi bianchi…. Dormirai tra i mendicanti e nello splendore dei palazzi. Attraverserai villaggi dimenticati, con strade strette e case cieche. Penetrerai il segreto dei potenti, l’intimità dei serragli, la voluttà degli harem. Vedrai soffrire allo stesso modo principi e mendicanti e ti convincerai così (se qualche dubbio rimanesse nella tua mente) che siamo eternamente uguali di fronte al dolore…. Imparerai il disprezzo per la piccolezza dei potenti, conoscerai il rispetto per la grandezza dei piccoli» (G. Sinoué, La via per Isfahan)

Iniziamo il 2023 con l’immagine simbolo della vittoria argentina ai Mondiali del Qatar e che ha suscitato feroci polemiche relative alla veste tradizionale “imposta” a Leo Messi al momento del sollevamento della Coppa, momento già diventato iconico da diventare un murales nelle vie di Buenos Aires. Da questa, prendiamo spunto per guardare a un’area centrale dal punto di vista geopolitico nell’anno appena iniziato. Infatti, sebbene l’agenda mondiale delle notizie nel 2022 sia stata dominata dalla guerra in Ucraina, le sue ripercussioni sono evidentemente di vasta portata e il suo impatto è stato sentito profondamente in Medio Oriente, con le forniture energetiche della regione e le industrie di armi che hanno svolto un ruolo chiave nella guerra (pensiamo ai droni iraniani e turchi). Il torneo di calcio in Qatar, quindi, ha attirato l’attenzione non solo degli appassionati di sport, ma anche degli osservatori sullo stato dei rapporti tra gli stati arabi del Golfo e le potenze globali.

IL BISHT DI MESSI
Poco prima che Lionel Messi salisse sul palco per alzare il trofeo della Coppa del Mondo, l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, ha messo un mantello nero, chiamato “bisht”, sulle spalle della stella del calcio argentino.
Cos’è il bisht? Le origini risalgono al tempo del profeta Maometto: i soldati e i generali che si comportavano bene erano avvolti da questo mantello dopo la battaglia.
Più trasparente è il tessuto e più ornato il rivestimento, maggiore è l’onore. Per i qatarioti, avvolgere Messi con i loro abiti più onorifici è stata un’opportunità per condividere la loro cultura e l’importanza geopolitica dell’area segnata dai Mondiali stessi.

Cerchiamo di fare il punto della situazione e capire cosa sta succedendo in quest’area strategicamente fondamentale e, segnatamente, le motivazioni di quello che appare in tutta evidenza come un progressivo allontanamento tra le monarchie del Golfo e il tradizionale alleato americano. Storicamente, le relazioni tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti erano basate su un accordo, risalente alla fine degli anni Quaranta, che prevedeva di usare l’enorme peso di Riyad nel mercato petrolifero per garantire prezzi dell’energia stabili e ragionevoli in cambio della protezione militare di Washington e sintetizzato nella formula: petrolio in cambio di sicurezza. Questo accordo servì gli interessi sia dei sauditi che degli americani, fino quando sono iniziati ad emergere i dubbi sulle garanzie di sicurezza che gli Stati Uniti erano disposti a fornire al Regno dei Saud.

Iniziamo questo excursus con la “primavera araba” nel 2011. La convinzione in Arabia Saudita era che l’amministrazione Obama non fosse riuscita a proteggere il regime egiziano di Mubarak, uno stretto alleato sia di Riyad che di Washington. Ciò è stato visto come un’apertura ai Fratelli Musulmani, considerata una minaccia per il dominio saudita.

Cartina tratta da Limes

Poi è arrivato il “Pivot to Asia” del presidente Barack Obama nel 2015, che ha segnalato che il Medio Oriente stava perdendo il suo valore strategico per gli Stati Uniti rispetto alla crescente importanza del quadrante Indopacifico. Nello stesso anno, Riyad considerò l’accordo nucleare iraniano JCPOA sostenuto da Washington come ostile ai suoi interessi (Cfr. Side View, Atomic cocktail, in brightsidecapital.com, 20.03.2022).

GULF COOPERATION COUNCIL (GCC)
Creata il 25 maggio 1981, su impulso dell’Arabia Saudita e pressione degli Stati Uniti, l’organizzazione ha scopi di integrazione economica, militare, politica e sociale. Il Consiglio comprende sei monarchie sunnite: tre costituzionali (Qatar, Kuwait e Bahrein), due assolute (Arabia Saudita e Oman), una stato di monarchie assolute federate (Emirati Arabi Uniti) che raccoglie sette emirati. La sede dell’Organizzazione è Ryad.

Parallelamente, nel 2015 sono arrivati gli attacchi missilistici e droni Houthi (entrambi forniti dall’Iran) alle infrastrutture saudite, culminati nel 2021 negli attacchi missilistici alle strutture petrolifere della Saudi Arabian Oil Company (Aramco). L’amministrazione Trump ritenne di non rispondere militarmente agli attacchi missilistici iraniani e a Ryad apparve chiaro che gli USA non sarebbero corsi in soccorso dell’Arabia Saudita in caso di bisogno, violando il patto “petrolio in cambio di sicurezza” (Pulsone, J., La crisi del Golfo è davvero finita? in Geopolitica.info, 16.01.2021). 

Arriviamo così all’embargo diplomatico ed economico contro il Qatar a cui hanno messo fine Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto firmando una Dichiarazione di “solidarietà e stabilità”. Il 5 gennaio 2021, infatti, l’antica città saudita di Al Ula ha ospitato il 41° vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) che ha sancito la riconciliazione tra Doha e Riyad e gli altri Paesi del Golfo. La crisi con il Qatar esplose nel giugno 2017 quando Doha fu accusata di finanziare il terrorismo e di intrattenere relazioni pericolose con l’Iran, principale rivale regionale.

Poco dopo la sua elezione a presidente, Biden ha espresso la volontà di riaprire i negoziati sul nucleare iraniano bloccati precedentemente da Trump e ha pubblicato il rapporto in cui si nominava il principe ereditario Mohamed Bin Salman come mandante dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, avvenuto nel 2018, e si rifiutava di trattare con il principe ereditario.

Per finire, ricordiamo il ritiro degli USA dall’Afghanistan nell’agosto 2021.

In breve, le successive amministrazioni statunitensi, sia democratiche che repubblicane, hanno progressivamente dimostrato un apprezzamento minimo per le preoccupazioni sulla sicurezza saudita.

In questo quadro generale, si è reso indispensabile per i sauditi rinsaldare le alleanze, ormai deteriorate, all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo e tentare di allontanare il Qatar dall’orbita iraniana dato che, l’embargo aveva dato come risultato il consolidamento delle relazioni tra questi due Paesi. Dal punto di vista saudita, infatti, le garanzie di sicurezza statunitensi non sono più affidabili.

L’Arabia Saudita si è trovata a guardare alla scena internazionale complessiva nella prospettiva di un conflitto prolungato in Ucraina con una plausibile nuova Guerra Fredda, con l’Occidente da una parte e la Russia e la Cina in ascesa dall’altra.

La guerra in Ucraina, infatti, ha stravolto la geopolitica del Golfo e le sue tradizionali divisioni, con il campo filoccidentale composto dalle monarchie conservatrici del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) e dai loro alleati Giordania, Egitto, Marocco e Israele mediante gli Accordi di Abramo e quello imperniato sull’Iran e i suoi alleati presenti in Iraq, Siria, Libano, Yemen e i diversi gruppi sciiti nei paesi del GCC. Questo quadro si è ulteriormente frammentato con la guerra, con gli attori locali più intenti a badare ai propri interessi nei loro rapporti con le potenze globali e con una conseguente perdita di presa sulla regione da parte delle potenze occidentali (Cfr. Mamedov, E., Il Patto Usa-Golfo è saltato, per ora, in Limes n. 10/2022).

ACCORDI DI ABRAMO
Gli accordi di Abramo sono una dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, raggiunta il 13 agosto 2020. Successivamente il termine è stato utilizzato per riferirsi collettivamente agli accordi tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (l’accordo di normalizzazione Israele-Emirati Arabi Uniti) e Bahrein, rispettivamente (l’accordo di normalizzazione Bahrein-Israele). La dichiarazione ha segnato la prima normalizzazione delle relazioni tra un paese arabo e Israele. Gli accordi originali di Abramo sono stati firmati dai Ministri degli Esteri di Emirati Arabi Uniti e Bahrein, dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il 15 settembre 2020.

Nel frattempo, Israele sta insediando un governo di destra, sollevando interrogativi sul futuro delle relazioni migliorate con alcuni Stati arabi, ma finora senza effetti visibili: la tradizionale visione di un totale allineamento al campo occidentale deve ancora fare i conti con il forte desiderio di Tel Aviv di mantenere buoni rapporti con Mosca. Questo desiderio è motivato principalmente dal fatto che Israele vuole continuare ad attaccare obiettivi in Siria senza conseguenze, ed è alla base della sua riluttanza a fornire qualsiasi sostegno significativo all’Ucraina sotto attacco.

Infine, c’è il nodo irrisolto del conflitto israelo-palestinese. La risonanza popolare di tale questione continua e l forti espressioni di solidarietà con i palestinesi durante la Coppa del Mondo ne hanno fornito prove recenti.

Non appare strano, quindi, che agli appelli occidentali di intensificare la produzione per abbassare i prezzi dell’energia per far fronte alla crisi energetica e all’inflazione, l’Opec+ guidata da Ryad abbia risposto con il taglio della produzione di due milioni di barili al giorno.

È in tale contesto che all’inizio di dicembre si è svolta la visita del Presidente cinese Xi Jinping che ha incontrato il GCC per discutere di commercio e investimenti. All’ordine del giorno c’erano anche colloqui sulla creazione di legami politici più stretti e un più profondo rapporto di sicurezza.

La crescente dipendenza dei Paesi del Golfo dal commercio con la Cina è stata accompagnata da una riduzione del suo desiderio di seguire l’esempio politico e culturale dell’Occidente, non solo col rifiuto di condannare apertamente l’invasione russa dell’Ucraina ma segnando il proprio distacco dai valori occidentali, minacciando Netflix di azioni legali per “promozione dell’omosessualità”, mentre, proprio in occasione dei Mondiali, il Qatar ha attivamente vietato le bandiere arcobaleno a sostegno della diversità sessuale.

Quali saranno, quindi, i possibili sviluppi politici ed economici di questa relazione?

A gettare uno sguardo sugli scenari che si possono aprire, il 27 dicembre arriva, suscitando un certo clamore, la nota dell’analista di Credit Suisse Zoltan Pozsar. Quest’ultimo, mettendo sotto la lente di ingrandimento le dichiarazioni di Xi durante la visita a Ryad, avverte che l’inevitabile transizione da un mondo unipolare a un mondo multipolare sarà guidata dai cosiddetti “G7 dell’Est” (i BRICS) (Pozsar, Z., War and Commodity Encumbrance, Credit Suisse, 27.12.2022). La Russia e la Cina, in particolare, hanno un’agenda finanziaria finalizzata al superamento del dominio del dollaro. Questa relazione ha portato a un nuovo concetto, già noto a chi legge le nostre Side Views, chiamato Bretton Woods III, che ha un impatto sul settore delle materie prime e potrebbe causare una maggiore inflazione in Occidente.

Il rapporto tra Russia e Cina si è quindi consolidato con una serie di mosse, in particolare la decisione della Cina di sviluppare una “relazione speciale” con l’Opec+. Sicché, la visita del presidente Xi ai leader sauditi e del GCC segnerebbe ufficialmente la nascita del petroyuan, facendo una sorta di eco all’incontro tra Franklin Delano Roosvelt con il re Abdul Aziz Ibn Saud nel 1945 a bordo dell’incrociatore USS Quincy e che era basato sulla già ricordata offerta di garanzie di sicurezza degli USA a fronte dell’accesso a forniture di petrolio a prezzi accessibili, il paradigma su cui poi si è retto il dominio del dollaro: gli USA importavano petrolio pagandolo in dollari che Riyad poi spendeva nell’acquisto i buoni del tesoro USA.

Ora, gli Stati Uniti sono meno dipendenti dal petrolio arabo grazie alla rivoluzione del fracking, mentre la Cina è il più grande importatore di petrolio. Inoltre, il governo saudita ha spostato la sua attenzione dal sostenere il governo e le banche degli Stati Uniti all’investimento in società private, diminuendo le disponibilità del regno in Buoni del tesoro statunitensi e depositi bancari. Il principe ereditario saudita ha recentemente annunciato che il paese potrebbe limitare i suoi investimenti negli Stati Uniti e gli altri stati GCC agiscono in modo simile.

Il nuovo paradigma tra Cina, Arabia Saudita e GCC è dunque diverso. Il Medio Oriente non è più povero come ai tempi di Roosvelt, quando liquidità e sicurezza erano prioritari per una regione emergente. Oggi, equità e rispetto sono le parole d’ordine ed è quanto ha offerto la Cina con la sua idea di cooperazione energetica multidimensionale: non solo prendere petrolio per contanti e armi ma anche investire nella regione e sfruttare il potenziale intellettuale della regione, ad esempio nell’esplorazione congiunta delle potenzialità estrattive nel Mar Cinese Meridionale ovvero nella cooperazione sulla produzione localizzata di nuove apparecchiature energetiche. In altri termini, si tratta di “petrolio per sviluppo” (impianti e posti di lavoro) al posto dell’ormai superato “petrolio in cambio di armi e sicurezza” (Cfr. anche Eurasia Group, Top Risks 2023, in eurasiagroup.net).

Il presidente cinese Xi ha discusso delle ambizioni della Cina di collaborare con le nazioni del GCC in materia di energia nei prossimi tre o cinque anni in un discorso che ha pronunciato al vertice Cina-GCC. Importazioni di petrolio greggio a lungo termine dal Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC), esplorazione in partenariato nel settore a monte, servizi di ingegneria, stoccaggio a valle, trasporto e raffineria e regolamento in RMB nel commercio di petrolio e gas tramite la piattaforma Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange, più gli swap di valuta.

Il leader cinese ha promesso che la Cina abbandonerà la sua dipendenza dalla valuta statunitense mentre persegue la crescita economica. Ha anche affermato che il renminbi verrebbe utilizzato per pagare l’aumento degli acquisti di petrolio e gas dai membri del GCC.

Questo è un cambiamento significativo perché il GCC non dovrebbe più vendere le proprie esportazioni in dollari USA e darebbe loro accesso ad un mercato molto più ampio per il loro petrolio e gas poiché la Cina acquista la maggior parte di queste materie prime. Corollari di questa svolta sarebbero, in primo luogo, un aumento della domanda di renminbi da parte del GCC per acquistare petrolio e gas dalla Cina, rendendolo potenzialmente più forte del dollaro; in secondo luogo, la necessità da parte del GCC di trovare il modo per riutilizzare il proprio renminbi perché non potrebbe trasformarlo in dollari. Un modo per farlo sarebbe quello di investire denaro in progetti per migliorare le infrastrutture della Cina nonché trasformarlo in oro. Guarda caso, proprio mentre Xi atterrava a Ryad, la People’s Bank of China (PBoC) ha rivelato che nel corso del 2022 aveva ripreso gli acquisti in oro e, pertanto, la moneta cinese sarà convertibile in oro sullo Shangai e Hong Kong Gold Exchange. In altri termini, il RMB sarà la moneta di riferimento per l’acquisto di pannelli solari e turbine eoliche, per lo sviluppo di data center, apparecchiature per le telecomunicazioni o progetti spaziali per creare posti di lavoro, oppure, più semplicemente, sarà convertibile in lingotti d’oro.

Si sta verificando, insomma, quanto già avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale, quando gli USA prestarono soldi alla Gran Bretagna per acquistare armi per combattere la Germania: oggi si combatte il cambiamento climatico e solo grazie al RMB l’Arabia Saudita potrà, ad esempio, costruire Neom entro il 2025, la città futuristica ed eco-friendly libera dalle macchine, dalle emissioni di CO2 nel bel mezzo del deserto. La Cina può scambiare la valuta locale con la sua con cui comprare la tecnologia necessaria e quando l’Arabia inizierà a vendere petrolio per renminbi potrà ripagare le linee di scambio (Cfr. Curcio, C., Cos’è Neom, la città del futuro che l’Arabia Saudita vuole costruire in mezzo al deserto, in TAG43, 22.02.2022).

Tutto ciò significa che proprio entro il 2025 il GCC potrebbe essere pagato in renminbi per tutto il petrolio e il gas che sarà in spedizione verso la Cina.

In chiusura, un ulteriore fattore da tenere sotto controllo nel 2023 è legato alle relazioni tra Iran e Arabia Saudita. I disordini in Iran, scatenati dalla morte della studentessa curda Mahsa (Jina) Amini, avvenuta mentre era in custodia della polizia morale di Teheran, e la convinzione della Repubblica islamica che siano state fomentate da Ryad attraverso reti persiane finanziate dai sauditi, hanno portato un congelamento dei colloqui bilaterali. Se le tensioni tra Arabia Saudita e Iran si aggraveranno, sarà importante vedere cosa potrebbe fare il Qatar per cercare di allentare tali attriti.

Il romanzo che accompagna questo scritto sul profilarsi di un nuovo ordine geopolitico mediorientale è La via per Isfahan di Gilbert Sinouè, ed. Neripozza. Protagonista di questo romanzo storico è Abu Obeid el-Jozjani, il discepolo prediletto di Abu Alì ibn Sina, il grande Avicenna, il principe dei medici e dei filosofi, la cui saggezza e il cui sapere abbagliarono, agli inizi del secondo millennio, califfi e visir, principi e mendicanti, capi militari e poeti, suscitando ammirazione e stupore tra le genti d’Occidente. Basato sul manoscritto autentico di Jozjani, è l’avvincente racconto della vita e delle gesta di uno dei sommi sapienti dell’Islam, al tempo in cui l’Islam era una grande e tollerante civiltà. Di città in città, tra deserti e montagne, Sinouè racconta la straordinaria vita di Ibn Sina fino all’ultima tappa del suo cammino: Isfahan, la sublime città persiana dove Avicenna muore a cinquantasette anni.

Side View a cura di Gilberto Moretti

Lugano, 15 gennaio 2023

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