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| | Macro views

I want it all

(foto: Wall Street, film 1987)

Adventure seeker on an empty street
Just an alley creeper, light on his feet
A young fighter screaming, with no time for doubt
With the pain and anger can’t see a way out
It ain’t much I’m asking, I heard him say
Gotta find me a future move out of my way
I want it all, I want it all, I want it all, and I want it now

I want it all, Queen
The miracle album, 1989

Poche strategie aziendali hanno generato tante polemiche negli ultimi anni come i riacquisti di azioni o share buybacks: una pratica attraverso la quale le società acquistano azioni proprie, andando così a ridurre il cosiddetto flottante, ovvero l’ammontare di azioni in circolazione.

Gli oppositori di tali azioni sostengono che avvantaggi in modo schiacciante il top management: nel 2018, la senatrice statunitense Tammy Baldwin propose di introdurre il Reward Work Act, che avrebbe vietato il riacquisto di azioni sul mercato sostenendo che fosse sbagliato per le grandi aziende intascare massicce agevolazioni fiscali e premiare la ricchezza dei massimi dirigenti con più riacquisti di azioni. Dall’altra parte, i sostenitori sottolineano che questa operazione offre alle società la flessibilità di restituire la liquidità in eccesso agli shareholder. Nella consueta lettera annuale agli azionisti del 2016, Warren Buffett ha notato che “mentre alcune persone si sono avvicinate a definirli (cfr. riacquisto di azioni) non-americani, caratterizzandoli come misfatti aziendali che deviano i fondi necessari per gli sforzi produttivi, non sono a conoscenza di alcun progetto allettante che negli ultimi anni sia evaporato per mancanza di capitali (prego di contattarmi nel caso aveste un candidato).” L’Oracolo di Omaha è tornato sul tema anche nella lettera del 2022 affermando che “quando ti viene detto che tutti i riacquisti sono dannosi per gli azionisti o per il paese, o particolarmente vantaggiosi per gli amministratori delegati, stai ascoltando un analfabeta economico o un demagogo dalla lingua d’argento (personaggi che non si escludono a vicenda)”.
In questo scritto facciamo un passo indietro dalle accese discussioni pubbliche e cerchiamo di capire l’impatto del riacquisto di azioni sui mercati azionari e se possano in qualche modo essere considerati una forma di manipolazione legale del prezzo delle azioni.

Per prima cosa, è importante notare che il riacquisto delle azioni non è l’unico modo che le aziende hanno per ricompensare gli azionisti. Il metodo più classico e comune è remunerare la fiducia degli investitori tramite dividendi. Il grafico qui sopra ci permette di visualizzare quale via sia stata privilegiata dalle società dell’indice S&P500 negli ultimi 5 anni. Dal 2018, il valore del riacquisto di azioni è cresciuto del 25%, da USD 800 bn a USD 1’000 bn a metà del 2022. C’è da dire che la recente impennata dell’attività di riacquisto è stata in parte causata dai tagli alle imposte sulle società voluta dall’amministrazione Trump, che hanno permesso alle aziende statunitensi di rimpatriare USD 1’000 bn dall’estero. Ciò non toglie che gli stock buybacks (nel grafico rappresentati dalle barre verdi) abbiano superato i dividendi (barre viola) come mezzo preferito dalle aziende americane per ritornare denaro agli azionisti.

Qual è la motivazione principale che spinge le aziende a ricomprare le proprie azioni? In un sondaggio del 2000 (un po’ datato ma le conclusioni rimangono valide tutt’oggi) condotto dall’Università di Chicago, i dirigenti americani citano la sottovalutazione delle azioni della società, la flessibilità finanziaria, la disponibilità di liquidità in eccesso e la gestione del rischio come alcuni importanti fattori trainanti delle loro decisioni di riacquisto di azioni. Tra tutti i motivi sopra elencati, la sottovalutazione da parte del mercato delle azioni è riconosciuto dal 86.4% come il fattore principale per cui un buyback viene accordato. Lo stesso Warren Buffett nella lettera agli azionisti del 2011 lo riconosce come fattore fondamentale: “favorisco i riacquisti quando sono soddisfatte due condizioni: in primo luogo, un’azienda dispone di ampi fondi per occuparsi delle esigenze operative e di liquidità della propria attività; in secondo luogo, le sue azioni vengono vendute con uno sconto materiale rispetto al valore intrinseco della società, calcolato in modo conservativo”.

I riacquisti di azioni in sé e per sé non sono necessariamente una pratica negativa, tuttavia possono risultare un impiego della cassa meno produttivo rispetto ad alternative più operative: invece di utilizzarla per investimenti volti ad espandere la produzione, aumentare le vendite, acquisire concorrenti o sviluppare nuovi prodotti o servizi, viene utilizzata per ridurre il numero di azioni in circolazione e gonfiare artificialmente gli utili per azione. Di seguito un esempio che ci aiuta a capire meglio tale dinamica:

•          La società A guadagna $1/azione, con 10 azioni in circolazione.

•          Utile per azione (Earnings per Share, EPS) = 0,10 USD/azione ($ 1/10 azioni)

•          La società A utilizza tutta la sua liquidità per riacquistare 5 azioni.

•          L’anno dopo, ceteris paribus, la società A guadagna $0,20/azione ($ 1/5 azioni)

•          Il prezzo delle azioni aumenta dal momento che il mercato sconta un EPS che è salito del 100%.

•          Tuttavia, poiché la società ha utilizzato tutto il suo denaro per riacquistare le azioni, non avrà più nulla per far crescere la sua attività.

•          L’anno successivo la società A guadagna ancora $ 1/azione e l’EPS rimane a $0,20/azione.

•          Il prezzo delle azioni scende a causa della crescita dello 0% del EPS nel corso dell’anno.

Ci rendiamo conto che questo è un esempio un po’ estremo, ma mostra il punto che il riacquisto di azioni ha un effetto limitato, una tantum, sulla valutazione della società.

Come mostrato nel grafico sotto, il conteggio delle azioni delle società pubbliche è diminuito drasticamente nell’ultimo decennio mentre le società si sono affrettate a sostenere gli utili per battere le stime di Wall Street in un decennio a crescita anemica. La linea arancione ci mostra il differenziale aggiunto per azione dato dai buyback dal 2011 mentre le azioni circolanti (linea blu) sono drasticamente diminuite essendo state tolte dal mercato.

A conferma del fatto che i buybacks abbiano un effetto limitato sulle valutazioni, un nuovo studio dal titolo “Share Repurchases on Trial” mostra come, analizzando i rendimenti azionari di migliaia di società dal 1988 al 2020 e confrontando quelle che hanno riacquistato azioni con quelle che non l’hanno fatto, nell’anno in cui è avvenuto un buyback, le società che hanno effettuato riacquisiti ampi e frequenti hanno avuto rendimenti leggermente inferiori, non superiori. La conclusione di questa ricerca alimenta perciò la domanda del perchè le aziende si ostinino a ricomprare le loro azioni se non vi è un chiaro vantaggio reale per gli azionisti.

I cambiamenti delle strutture salariali avvenute a inizio secolo hanno reso i dirigenti aziendali dipendenti dalla compensazione basata sulle azioni della società (stock awards nel grafico sotto). Gli insiders vendono azioni date loro come parte della loro struttura retributiva, consentendo perciò di convertirle in “ricchezza effettiva”.

A tal proposito, il Financial Times scrive che: “I dirigenti aziendali forniscono diverse ragioni per i riacquisti di azioni, ma nessuna di esse ha il potere esplicativo di questa semplice verità: piani di remunerazione tramite azioni costituiscono la maggior parte della loro retribuzione e nel breve termine i riacquisti fanno salire i prezzi delle azioni”. La Securities and Exchange Commission (SEC), l’ente americano che ha l’obiettivo di mantenere l’ordine nei mercati finanziari, ha segnalato come i dirigenti aziendali monetizzino maggiormente dalla vendita delle proprie azioni dopo che le loro aziende hanno annunciato il piano di buyback. Il commissario Jackson, incaricato dalla SEC nell’indagare questa tendenza, affermò nel marzo del 2019 che: “se i dirigenti ritenessero che un riacquisto sia la cosa giusta da fare, dovrebbero mantenere le loro azioni a lungo termine. Invece, abbiamo scoperto che molti di loro utilizzano i riacquisti per incassarne i proventi. Ciò crea il rischio che i loro interessi economici– piuttosto che le esigenze a lungo termine di investitori, dipendenti e comunità finanziaria – guidino le decisioni sui programmi di buyback“. Interessante notare che quando il top management vende a seguito di un riacquisto, è più probabile che quest’ultimo produca un aumento di prezzo a breve termine piuttosto che un aumento del valore delle azioni a lungo termine: la sottoperformance delle azioni nello scenario in cui i dirigenti vendono le azioni (insider selling) è di oltre l’8% rispetto alle azioni dove il top management non ha monetizzato dalla vendita di azioni (no insider selling).

Tornando ai giorni nostri, oltre che al fattore liquidità (ne abbiamo parlato nella Side View “Only game in town), molti analisti hanno attribuito la performance positiva da inizio anno sui mercati azionari al riacquisto record di azioni che per il 2023, per le aziende del S&P500, è previsto che raggiunga USD 1’000 bn per la prima volta in un anno solare. Alla prima settimana di marzo, i buyback hanno totalizzato oltre USD 261 bn, un record a questo punto dell’anno.

Allo stesso tempo, come evidenziato nel Pie in the Sky di marzo, secondo i dati compilati dal Washington Service, mentre le azioni statunitensi sono scese a febbraio, solo 450 dirigenti aziendali hanno acquistato azioni delle società per cui lavorano, mentre chi le ha vendute è stato quattro volte superiore. Questo è il rapporto più alto tra venditori e acquirenti da aprile 2021.

Mentre Buffett ha ragione sul fatto che i riacquisti avvantaggino gli azionisti quando le azioni vengono comprate ad un prezzo inferiore rispetto al loro valore intrinseco, tuttavia questo non è stato il caso per la maggior parte dei buybacks. Il denaro che avrebbe potuto essere speso per la crescita futura è stato invece utilizzato a esclusivo beneficio dei dirigenti pagati sulla base di EPS fallaci e gonfiati da questa dinamica. Mentre Buffett sostiene questa pratica, c’è una differenza significativa tra ciò che sta facendo per gli stakeholder di Berkshire e ciò che sta accadendo nel resto del mercato. Questo è probabilmente il motivo per cui la SEC vietò i riacquisti di azioni fino al 1982, in quanto una forma di manipolazione del mercato azionario.

La SEC, operando sotto i repubblicani di Reagan, approvò infatti la legge 10b-18, che rese legale il riacquisto di azioni. Fino all’approvazione di quest’ultima, il Securities Exchange Act del 1934 considerava il ricorso in larga scala alla pratica descritta in questa Side Views una forma di manipolazione delle azioni. La legge del 1982 permetteva ad una società di riacquistare non più del 25% del suo volume medio giornaliero nelle quattro settimane precedenti e di non procecedere al buyback all’inizio o alla fine della giornata di negoziazione. All’epoca, i commissari della SEC sostevano che la regola avrebbe incoraggiato i prezzi delle azioni a salire in modo controllato, avvantaggiando prevalentemente gli investitori. Nel 1982, il presidente della SEC era tale John Shad, un ex dirigente di E.F. Hutton (all’epoca la seconda più grande società di brokeraggio negli US). Incuriosisce che qualcuno che avesse lavorato per una società che avrebbe beneficiato direttamente del cambiamento delle regole (prezzi più alti delle azioni equivalgono a commissioni più alte) fosse il responsabile dell’agenzia (i.e. SEC) creata per proteggere gli investitori. Col senno di poi, sembra un conflitto di interessi fatto e finito.

Conflitto di interessi che ritroviamo nella storia di una società che ci racconta Ben Hunt nel suo blog Epsilon Theory nell’ormai lontano 2019. L’esempio fatto all’inizio, dove spiegavamo come il prezzo delle azioni di una società potesse salire nonostante profitti stagnanti grazie al riacquisto di azioni, ci è utile per comprendere la dinamica che ha coinvolto una nota società americana attiva nel settore dei semiconduttori: Texas Instruments (TXN).

Nel periodo analizzato da Hunt (2014-2018), Texas Instruments ha generato USD 25.5 bn di disponibilità liquide derivanti da attività operative passando da USD 3.9 bn nel 2014 a USD 7.2 bn nel 2018. Tutto ciò con numeri sui ricavi tutto tranne che stellari: crescita zero dal 2014 al 2015 (USD 13 bn in entrambi gli anni), un leggero miglioramento dal 2015 al 2016 (meno del 3%), una buona crescita dal 2016 al 2017 (11% circa) per poi calare al 6% dal 2017 al 2018. Il flusso di cassa era perciò guidato non dall’aumento dei ricavi ma bensi dal taglio dei costi operato dal top management. Per dare un dato, il costo delle merci vendute (COGS) è passato dal 48% dei ricavi nel 2014 al 35% alla fine del 2018. Aggiungendo poi la riduzione delle tasse del 2017 (dal 16% del 2017 al 7% del 2018 – Tax Cuts and Jobs Act) che ha permesso all’azienda di risparmiare USD 1.2 bn, unita al risparmio sugli interessi da pagare sul debito conseguenza della politica accomodante della Federal Reserve, Texas Instruments aveva a disposizione un buon ammontare di liquidità con il quale creare opportunità per migliorare il trend stagnante dei ricavi. Indagando tra i meandri dei bilanci d’esercizio, Ben Hunt ha individuato che dal 2014 al 2018, l’azienda ha utilizzato USD 9.1 bn dei USD 25.5 miliardi per distribuire dividendi agli azionisti e USD 15.4 bn in buybacks, che dal 2014 al 2018 equivalgono al riacquisto di 228.6 bn di azioni ad un prezzo medio di acquisto di $67.37. Nello stesso arco di tempo, Texas Instruments ha venduto 90.8 mln di azioni al management e ai membri del consiglio di amministrazione per un totale di USD 2.5 bn ad un prezzo medio di vendita di $27.51. La differenza tra il prezzo medio di acquisto e il prezzo medio di vendita, moltiplicata per il numero di azioni, costituisce il vantaggio economico avuto dal top management. Tale importo equivale a USD 3.6 bn.

Nel giungere alla conclusione dello scritto odierno, vi lasciamo proprio con lo spunto di Hunt che alla domanda: “i riacquisti di azioni influenzano il mercato azionario artificialmente? Possono essere considerati un mezzo di manipolazione di mercato?” risponde “è la domanda sbagliata. La domanda giusta è se i riacquisti di azioni siano o meno il miglior uso del capitale se si prende la prospettiva di uno “steward” piuttosto che la prospettiva di un manager. Cosa che nessuno fa oggi. Nemmeno i consigli di amministrazione di queste società (soprattutto non i consigli di amministrazione di queste società). Tutti sono in imbarazzo per Softbank che paga Adam Neumann (ex CEO n.d.r.) USD 1.7 bn solo per andarsene. La mia opinione impopolare: la storia di Adam Neumann si ripete in modo non esasperante e meno clamoroso ogni giorno in ogni società del S&P 500. E questa storia va avanti da un decennio.

Approfondimento a cura di Nicola Lampis Lugano, 26/03/23

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