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Ides of March

The snow won’t go away, my nose runs down my face                                              
No one sees me here, it doesn’t even matter                                                                                      
And every step I take, I stay in the same place
I can’t begin to start again, why can’t I just be perfect?                                                                                                                                                        
I will never recover from this, I will never believe in this again                                                             
I can never go back to the way I used to be before this started

Silverstein – Ides of March (2005)

Tutto cambia perchè niente cambi, gattopardescamente… Ad esempio:

“In a move of unprecedented scope, the world’s major central banks lowered their benchmark interest rates Wednesday, a coordinated effort to halt a collapse of share prices and a freeze in credit markets that threatens to set off the first global recession since the early 1970s.” New York Times, 9 ottobre 2008

Oppure:

“La Bank of Canada, la Bank of England, la Bank of Japan, la Banca Centrale Europea, la Federal Reserve e la Banca Nazionale Svizzera annunciano oggi un’azione coordinata per migliorare ulteriormente le condizioni di liquidità attraverso meccanismi di swap lines in dollari statunitensi.” (Board of Governors of the Federal Reserve, 20 marzo 2020)

oppure

“The Bank of Canada, the Bank of England, the Bank of Japan, the European Central Bank, the Federal Reserve, and the Swiss National Bank are today announcing a coordinated action to enhance the provision of liquidity via the standing U.S. dollar liquidity swap line arrangements” (Federal Reserve Website, 19 marzo 2023, 5pm)

Le azioni concertate delle banche centrali continuano a susseguirsi dunque, a un ritmo probabilmente sempre più rapido ed incessante, nonostante chi c’era durante Lehman ricordi perfettamente la liturgia per cui tutti si erano cosparsi il capo di cenere, promettendo di lavorare duro per fare in modo che situazioni simili non si potessero mai più ripetere. E invece…

C’è poi un altro elemento di fortissima similitudine tra Lehman e i giorni nostri ed è la forte sensazione che le autorità monetarie proprio non ne azzecchino una…

È sempre bello ricordare il momento di gloria della ECB nel 2008 con M. Trichet, nocchiero di grande esperienza in cabina di comando, ad alzare i tassi due mesi prima del collasso di Lehman, pensando che fosse l’inflazione il nemico da battere:

July 3 2008 — “The European Central Bank raised its key interest rate by a quarter of a percentage point to 4.25 percent. Inflation climbed to a new record high of 4 percent in the euro zone, double the ECB’s target, prompting fears of a wage-price spiral”.

Ai giorni nostri, in un mondo occidentale sempre più dipendente dalla leadership americana, è invece la Fed a tracciare il solco e a regalarci perle inarrivabili:

  • Prima l’inflazione non è assolutamente un problema (primavera 2021)
  • Poi diventa temporanea (simposio di Jackson Hole, agosto 2021)
  • Poi c’è ma è colpa di Putin, “the Putin inflation” grazie alla guerra (inverno 2022)
  • Infine, è il nemico da battere, tanto la stabilità finanziaria questo giro è assicurata (marzo 2023)
  • Però, nel dubbio, riduciamo del 66% il tightening sulla liquidità ritirata nell’ultimo anno e mezzo (sempre marzo 2023), si veda il grafico qui sotto

Con lo scritto odierno, partendo da queste premesse, che sono le radici alla base del vero grande problema di questa fase di mercato, cioè la perdita di fiducia sempre più marcata della popolazione nelle istituzioni, vogliamo riportare al centro il capostipite degli asset digitali e cioè il Bitcoin per analizzare il posizionamento dello stesso in questo contesto, partendo da una price action particolarmente brillante nel corso delle ultime settimane. E ricordando che chi lo ha concepito, lo ha fatto pensandolo proprio come “antidoto” rispetto alle crisi finanziarie.

Operation Choke Point 2.0

Nello scritto che abbiamo dedicato agli asset digitali il mese scorso ci siamo soffermati sulle recenti azioni dei regolatori statunitensi nei confronti del mondo delle crypto ed abbiamo messo a confronto due punti di vista divergenti: alcuni proponenti dell’asset class avevano interpretato questi eventi come semplice “applicazione delle leggi esistenti sui titoli finanziari”, senza ravvisare una vera e propria minaccia; invece, altri operatori di mercato come Nic Carter, partner di Castle Island Venture e grande esperto del mondo di Bitcoin, erano stati più tranchant nel proprio giudizio. In un articolo pubblicato a inizio febbraio, Nic aveva parlato di un vero e proprio “attacco coordinato” volto a emarginare l’industria degli asset digitali, rendendo sempre più difficile a quest’ultima l’accesso al sistema bancario (definendo queste misure “Operation Choke Point 2.0”, richiamando l’operazione messa in atto dall’amministrazione Obama nel 2013 per scoraggiare la crescita di alcuni settori come il gioco d’azzardo).

Carter ha pubblicato poi un nuovo articolo sul tema il 23 marzo, a seguito del fallimento di Silicon Valley Bank (SVB), Silvergate e Signature Bank, notando come, sebbene in diversa misura, per tutti e tre gli istituti di credito il denominatore comune fosse la grande prossimità al mondo degli asset digitali.

Infatti, se per SVB il legame con le crypto era meno diretto (la “tech bank” vicina al mondo del Venture Capital annoverava tra i propri depositanti alcuni player come l’emittente di stablecoin Circle, che aveva depositi presso l’istituto per 3.3BN USD), Silvergate e Signature erano invece il punto di contatto principale per facilitare i trasferimenti da valuta fiat a valuta crypto nonché gli unici istituti di credito che avevano mostrato un’apertura importante nei confronti della nascente industria degli asset digitali.

Domande senza risposta

Sebbene l’obiettivo della pubblicazione odierna non sia quello di analizzare nel dettaglio le cause che hanno portato al fallimento ciascuno dei tre istituti (pensiamo il tema sia già stato trattato in abbondanza sulle principali testate giornalistiche internazionali), non possiamo ignorare la lettura laterale di Carter alla luce degli ultimi eventi, specialmente in riferimento a quello che, dei tre, sembra il caso meno chiaro, ovvero quello riferito alla chiusura di Signature Bank.

Fondata nel 2001, Signature Bank era tra i tre istituti quello più “tradizionale” e quello che, almeno in apparenza, aveva la situazione di bilancio meno precaria: a fine 2022 aveva depositi totali per 110BN USD, dei quali solo il 20% proveniva da clienti crypto, mentre il resto era riconducibile principalmente a clienti attivi nel mondo del real estate. Signature gestiva la piattaforma Signet che, come la rete SEN nel caso di Silvergate, facilitava la conversione fiat-crypto 24/7/365. Domenica 12 marzo (e non il venerdì pomeriggio dopo la chiusura del mercato, come avviene tipicamente in queste situazioni) la banca è stata messa improvvisamente in “amministrazione controllata” dal Dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York (NYDFS) sorprendendo, sembrerebbe, persino l’istituto preposto a questo tipo di operazioni (Società federale di assicurazione dei depositi, FDIC).

La chiusura repentina dell’istituto nonché l’azzeramento di valore nell’equity della banca (4.3BN USD) non hanno insospettito solo Nic Carter, ma il mondo degli asset digitali ha trovato un valido quanto inaspettato alleato in Barney Frank (ex presidente del Comitato per i Servizi Finanziari della Camera, e promulgatore della legge Dodd-Frank del 2010 istituita per favorire maggiore trasparenza nel sistema bancario).

Quest’ultimo, che era parte del Consiglio di Amministrazione di Signature, ha in seguito rilasciato un’intervista che ha fatto scalpore al New York Magazine. I suoi commenti non lasciano assolutamente dubbi sul fatto che, a suo modo di vedere, l’istituto sia stato vittima di un attacco politico, motivato principalmente dal desiderio di inviare un messaggio molto forte all’industria delle criptovalute. Nell’intervista, Mr. Frank ha dichiarato quanto segue:

  • L’NYDFS non ha mai affermato che Signature fosse insolvente
  • Nonostante i prelievi di denaro che erano ancora in sospeso dal venerdì, la banca avrebbe potuto aprire e sarebbe stata operativa il lunedì mattina successivo
  • L’NYDFS ha “reagito in modo eccessivo” all’incapacità di Signature di fornire prontamente “sufficienti dati”: dati incompleti non sono un motivo abbastanza valido per chiudere una banca
  • L’NYDFS “non vuole che le banche siano coinvolte nel mondo degli asset digitali” e Signature è stata chiusa per mandare un forte messaggio agli altri istituti di credito

Persino il comitato editoriale del Wall Street Journal, testata notoriamente poco amichevole nei confronti degli asset digitali, ha trovato le dichiarazioni di Mr. Frank sufficientemente “preoccupanti” a tal punto da dedicare a queste ultime due editoriali di follow-up (uno nel tweet sopra, intitolato “L’esecuzione crypto di Signature Bank”).

Inoltre, conclude Carter, risulta abbastanza strana la disparità di trattamento applicata a Signature rispetto ad altre banche che erano in una situazione problematica, come First Republic o PacWest: a questi due istituti è stato infatti dato tempo per ottenere nuovo capitale, ed il 17 marzo First Republic è riuscita a raccogliere 30BN USD da banche americane più grandi, mentre a Signature questa opzione non è stata concessa.

Back to Basics

Il mese di marzo ha rappresentato la più grande sfida alla stabilità finanziaria globale dal 2008: si sono verificati il secondo e il terzo maggior default bancario per controvalore nella storia americana, la fusione “forzata” dei due maggiori istituti di credito svizzeri, una riorganizzazione radicale delle banche regionali i cui effetti non sono ancora chiari ma che porteranno ad ulteriore consolidamento e, forse, a maggiore inerente fragilità nel sistema bancario e si è assistito alla più elevata volatilità dal 2008 (misurata dal MOVE Index) nel mercato di quelli che dovrebbero essere i titoli più sicuri al mondo, i Treasuries americani.

Tutti questi eventi contribuiscono ad alimentare, come dicevamo, un sentimento crescente che, oggi più che mai, caratterizza la società nella quale viviamo: la perdita di fiducia da parte del pubblico nelle istituzioni. Qualsiasi entità il cui potere si basa sulla fiducia si trova oggi, ancor più di ieri, ancor più che prima della crisi COVID, in una posizione estremamente delicata… e gli indizi sono ovunque.

La fiducia è un sentimento precario, poco occorre per incrinarla irrimediabilmente: le uscite dei depositi dalla Silicon Valley Bank, come dal Credit Suisse, come da tante altre banche regionali di piccola o media dimensione, non sono causate solamente dalla ricerca di tassi di interesse che le banche non sanno più garantire perché incapaci di gestire in modo profittevole le attività bancarie più tradizionali, ma sono anche e soprattutto “fly to quality” verso altri lidi, ritenuti più sicuri, come ad esempio le grandi banche statunitensi di interesse sistemico. Ma restare nel sistema, se non se ne ha fiducia davvero fino in fondo, anche con le spalle più coperte, è davvero l’unica alternativa ? E qui il tema si fa magari più intrigante…

Al tempo di Lehman, un gruppo di “informatici anarchici” si rallegrava di una nuova invenzione che aveva come obiettivo quello di offrire un sistema monetario alternativo sottoforma di un registro pubblico ed immutabile le cui regole non potevano essere decise o modificate da nessuna istituzione centralizzata. Un asset che non è passività di nessuno e che può essere custodito individualmente. Dalle ceneri della grande crisi finanziaria nasceva infatti Bitcoin, il cui primo blocco richiamava un titolo della prima pagina del giornale The Times del 03/01/2009:

Dovrebbe non sorprendere dunque un movimento di prezzo del Bitcoin durante una fase contraddistinta da crisi finanziarie a catena.

Il grafico sopra mostra la correlazione tra Bitcoin ed oro (linea gialla) e quella tra Bitcoin ed indici azionari (Nasdaq ed S&P500, linee viola e azzurra): dal momento dello scoppio della crisi la correlazione con gli indici azionari si azzera fino a diventare negativa, mentre invece si muove in forte territorio positivo quella con l’oro, che nello stesso periodo guadagna circa il +10%.

C’è chi porta questi ragionamenti all’estremo, ed è Balaji Srinivasan, imprenditore seriale americano nonché ex Chief Technology Officer di Coinbase e General Partner di Andreessen Horowitz: le istituzioni finanziarie non hanno la nostra fiducia, la concentrazione di flussi nelle mani di poche banche commerciali controllate dai governi è l’ennesima forma di controllo sociale e di repressione dei principi di libertà e autonomia tipici del capitalismo per antonomasia, a luglio parte l’esperimento di moneta digitale della Federal Reserve che porterà un’ulteriore stretta rispetto a questi principi: fate dunque i vostri conti… e scappate di corsa, ed il Bitcoin è l’unica via di fuga che stanno cercando di tappare con l’operazione Choke 2.0.

Chiudiamo con un suo Tweet, assolutamente intuitivo e con un link del podcast in cui esplicita la sua posizione, per i più tecno-anarchici dei nostri lettori.

Approfondimento a cura di Andrea Accatino e Alban Zerweck

Lugano, 02/04/2023

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