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Capital wars

(foto: Newsweek)

You might have laughed if I told you
You might have hidden a frown
You might have succeeded in changing me
I might have been turned around
It’s easier to leave than to be left behind
Leaving was never my proud

R.E.M. – Leaving New York
Around the sun album, 2004

Le misure di politica commerciale annunciate nell’ultimo mese dall’amministrazione Trump hanno, tra gli altri effetti, causato un’impennata nella volatilità delle principali classi di attivi finanziari: a seguire, a titolo esemplificativo e in senso orario, mostriamo l’indice della volatilità dell’S&P 500 (VIX), la volatilità dei Treasuries americani (MOVE Index), la volatilità delle valute (JP Morgan Global FX Vol Index) e la volatilità dell’oro (GVZ), anch’essa in rialzo ed accompagnata da un movimento positivo del metallo prezioso in controtendenza al ribasso delle principali asset class.

Come nota Bloomberg, durante questa fase di volatilità generalizzata sui mercati, un attivo finanziario sembra non risentire particolarmente di questa dinamica: si tratta del Bitcoin, il cui prezzo è rimasto sostanzialmente invariato durante la prima metà di aprile, per poi muoversi al rialzo nella seconda metà del mese ritornando sui livelli di inizio 2025 (94,000 USD).

Sebbene riconosciamo sia importante trattare con cautela i cambiamenti nelle correlazioni, soprattutto quelle di breve termine in quanto mutevoli per definizione, il grafico di sopra mostra come la volatilità dell’ “oro digitale” durante la prima metà di aprile sia stata addirittura più contenuta rispetto a quella degli indici azionari US (un’evenienza molto rara), mentre l’evidenza più in basso mostra come la correlazione tra il movimento del Bitcoin (linea viola) e quello dell’ETF che replica l’andamento del listino tecnologico US Nasdaq a leva 3 (linea gialla), rimasta molto elevata durante gli ultimi due anni, stia mostrando una divergenza sostanziale durante l’ultimo periodo. 

Gli analisti di mercato hanno osservano come un livello moderato di leva finanziaria nello spazio crypto, unito ad attese positive circa normative sempre più favorevoli nei confronti del settore negli Stati Uniti, nonché alla sua natura di asset neutrale, siano stati fattori determinanti della resilienza di prezzo di Bitcoin durante l’ultimo periodo. Riporta Bloomberg: “l’aspetto più interessante della prima settimana di aprile è che Bitcoin non si sia mosso fortemente al ribasso, in linea al resto degli altri asset di rischio. Anzi, BTC si è rafforzato rispetto agli indici azionari dal momento dell’annuncio dei dazi del 2 aprile, un’movimento piuttosto insolito considerati la forte riduzione di leva (de-leveraging) e di rischio che si sono manifestati sui mercati durante gli ultimi sei giorni”.

Con lo scritto odierno vogliamo tentare di approfondire queste dinamiche, focalizzandoci su come un’eventuale Capital War (guerra di capitale) che porti gli investitori a ribilanciare gli asset denominati in USD a favore di alternative internazionali o neutrali, possa impattare la criptovaluta.

Come evidenziato in precedenza i primi mesi dell’anno hanno visto un aumento significativo della volatilità sui mercati finanziari, accompagnata da crescenti tensioni geopolitiche e commerciali. Sebbene in una fase iniziale l’elezione della nuova amministrazione US sia stata accolta positivamente dagli investitori, in scia alle aspettative legate ai tagli dei costi promessi dal DOGE (Department Of Government Efficiency) ed alla deregolamentazione del settore privato, le decisioni di politica commerciale di Trump hanno destabilizzato i mercati. In risposta alle misure aggressive annunciate durante il “Liberation Day” di inizio aprile, le prospettive di crescita degli Stati Uniti e delle principali economie sviluppate sono state riviste al ribasso in maniera sostanziale, l’indice azionario S&P 500 ha subito un calo del -20% circa dai recenti massimi (sottoperformando il resto dei listini azionari), il rendimento del Treasury a 10 anni è risalito raggiungendo il livello di 4.5% e l’oro ha segnato nuovi massimi storici superando i 3,400 dollari l’oncia.

Il fattore sottostante a questo movimento è stato, in larga misura, un riposizionamento da parte degli investitori esteri (primo grafico sotto che mostra i deflussi record dall’equity US da parte di questi ultimi) che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno accumulato un’esposizione sostanziale agli asset americani nei propri portafogli (seconda evidenza).

Oggi, però, l’attuale contesto di riorganizzazione del “trading system” globale auspicato dal nuovo governo sta spingendo gli allocatori di capitale istituzionali, nonché le banche centrali globali, a ripensare al ruolo del USD (che da inizio anno è negativo contro tutte le principali valute, si veda evidenza nella pagina successiva) ed al sistema monetario fondato su quest’ultimo, mettendone in discussione l’affidabilità e rivedendo quindi il ruolo dei Treasury americani, da sempre considerati “pristine collateral” del sistema finanziario.

Quale ruolo per Bitcoin?

In questo contesto, riproponiamo un’interessante prospettiva condivisa di recente da osservatori di mercato indipendenti, che analizza come Bitcoin potrebbe reagire ad un cambio di regime ed una “riallocazione” dei capitali finanziari internazionali al di fuori degli USA.

La ricerca parte da un’analisi di Michael Howell (macroeconomista, specializzato nello studio dei flussi di liquidità globali che abbiamo intervistato qui) dei fattori sistematici di mercato che, storicamente, hanno influenzato maggiormente il movimento di prezzo di Bitcoin. Come si può notare dal grafico sopra, il prezzo di Bitcoin è storicamente guidato da tre fattori:

  • La propensione al rischio generale degli investitori nei confronti degli asset finanziari high beta (asset generalmente considerati a maggiore volatilità);
  • La correlazione di Bitcoin con l’oro;
  • L’andamento della liquidità globale, che secondo l’analisi è il fattore più determinante.

Un approccio semplicistico ma efficace per misurare la “postura” degli investitori nei confronti degli asset di rischio è quello di focalizzarsi sui deficit fiscali dei governi in percentuale rispetto al PIL come indicatore sintetico dell’impulso fiscale, che è stata la forza dominante sui mercati nel regime post COVID ed il driver principale dell’andamento degli asset di rischio. La linea bianca del grafico che riportiamo qui di seguito, mostra che l’espansione monetaria causata dalle misure di politica fiscale del governo US a seguito della crisi COVID spiega con un anticipo di pochi trimestri l’aumento generalizzato dei prezzi – linea gialla, inflazione US – che ha raggiunto un picco del 9%.


Infatti, deficit fiscali più elevati portano meccanicamente a maggiore inflazione, a un PIL nominale più elevato e, di conseguenza, a ricavi maggiori per le aziende, poiché il fatturato è appunto un parametro nominale e, per le imprese che beneficiano di economie di scala, questo ha rappresentato a sua volta un vantaggio relativamente alla crescita dei loro utili.  Come mostrato dall’evidenza di seguito relativa alle principali economie occidentali, gli Stati Uniti hanno registrato un deficit fiscale in percentuale del PIL più elevato rispetto a qualsiasi altro paese. 

 Con un deficit fiscale così elevato, la crescita dei ricavi delle società americane è stata particolarmente sostenuta ed ha portato ad una performance significativa del mercato azionario US rispetto alle altre economie avanzate, come da evidenza sotto.

I mercati azionari statunitensi si sono affermati quindi come il principale motore della crescita degli asset rischiosi, dell’effetto ricchezza (wealth effect) e della liquidità a livello globale. Di fatto, gli Stati Uniti sono diventati la destinazione preferita dei capitali internazionali, attratti da rendimenti più elevati e da un contesto più favorevole.

Il continuo afflusso di capitali verso gli USA, unito a un consistente deficit commerciale – che si traduce nell’importazione di beni in America in cambio di dollari, poi reinvestiti in asset denominati in USD (come i Treasury e i titoli delle big tech – “le Magnifiche 7”) — ha reso gli indici USA il “centro di gravità” globale per determinare l’avversione al rischio degli investitori.

A supporto di questa tesi, si mostra di seguito come la recente debolezza del dollaro (linea viola) abbia “accompagnato” al ribasso le società tecnologiche US (linea gialla), con una correlazione abbastanza sorprendente se si considera che, generalmente, ad un ribasso azionario corrisponde un apprezzamento del USD, visto storicamente come bene rifugio.

Ricapitolando: l’avversione al rischio degli investitori e la liquidità a livello globale nell’ultimo decennio sono state impattate in maniera sostanziale dalle politiche fiscali e monetarie degli US, ed il trend ha subito un’ulteriore accelerazione in seguito al COVID a causa del maggiore deficit fiscale degli US rispetto agli altri paesi. Alla luce di questo, Bitcoin, che è un asset globale (e non US) influenzato dai trend di liquidità, ha sviluppato una correlazione positiva con l’azionario statunitense, relazione in aumento dal 2021 come mostrato dal grafico sotto.

Tuttavia, questa correlazione potrebbe non essere particolarmente significativa (da un punto di vista statistico) se nel grafico sopra includessimo come terza variabile la liquidità globale, che abbiamo detto essere influenzata in maniera sostanziale dalle politiche fiscali negli US.

Riflettendo su cosa abbia portato Bitcoin e asset rischiosi a muoversi nella stessa direzione negli ultimi anni, Michael Howell individua un chiaro rapporto di causalità con l’espansione della liquidità globale, alimentata in larga parte dall’ampio deficit fiscale accumulato dagli Stati Uniti. Le ultime settimane, tuttavia, hanno evidenziato un interessante disaccoppiamento di questa relazione in seguito all’ andamento di prezzo di Bitcoin durante la recente fase di volatilità che ha caratterizzato i mercati finanziari: questa avrebbe dovuto infatti implicare un calo del prezzo di Bitcoin (come accaduto agli asset rischiosi statunitensi e al dollaro) come diretta conseguenza di una fuga dagli asset denominati USD e del loro rientro nei mercati d’origine. Invece, Bitcoin ha resistito piuttosto bene attorno al livello dei 90.000 USD, comportandosi più come una forma di oro digitale che come un asset tecnologico a leva. Durante le ultime sessioni di trading, caratterizzate da un’elevata volatilità, si è manifestata una dinamica per cui l’indice del dollaro era in calo, le azioni statunitensi hanno sottoperformato rispetto a quelle del resto del mondo, l’oro è rimasto in positivo e Bitcoin (linea arancione nel grafico sotto) ha tenuto
sorprendentemente bene rispetto alle azioni tech statunitensi.

 Sebbene queste siano ancora osservazioni preliminari, ben si accoppiano alla narrativa emergente secondo cui la base di investitori non US stia cercando di diversificare sempre più i propri portafogli in un contesto di guerra commerciale globale e che la liquidità globale potrebbe sempre più essere guidata dal resto del mondo piuttosto che dagli Stati Uniti. Poiché la diversificazione in altri mercati comporta altri rischi (in particolare quello di nuovi dazi), oro e Bitcoin stanno dimostrando una notevole resilienza agli occhi degli investitori, mostrandosi come i veri strumenti di diversificazione globale durante questa fase turbolenta.

L’oro sta assumendo in modo sempre più evidente questo ruolo grazie alla sua lunga tradizione come strumento di diversificazione rispetto all’ordine monetario globale, e i continui nuovi massimi storici raggiunti in diverse valute ne sono una chiara testimonianza (si veda il grafico della pagina che segue). Bitcoin, d’altra parte, sta mostrando segnali crescenti di disaccoppiamento dalla liquidità statunitense e sta tentando di affermarsi come un asset realmente globale, riflettendo l’andamento più ampio della liquidità mondiale. Se questa tendenza dovesse consolidarsi, la correlazione di BTC con l’azionario statunitense potrebbe gradualmente venire meno.

L’analisi menzionata in apertura di paragrafo conclude definendo Bitcoin “the trade after the trade”, alludendo al movimento di prezzo che ha caratterizzato l’oro durante questi primi tre mesi dell’anno ed ipotizzando come il prezzo di Bitcoin, alla luce di quanto appena discusso, potrebbe seguire su una simile traiettoria.

Ci piace riportare in chiusura una citazione di Josh Wolfe, noto venture capitalist americano: “il futuro è già qui, è solo distribuito in modo diseguale”.  In fondo, non si possono imporre dazi su Bitcoin e nello spazio digitale i confini non contano.

Approfondimento a cura di Andrea Accatino e Alban Zerweck

Lugano, 27 aprile 2025

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