Immagine originariamente apparsa su The Economist
Hang on my darling
Jimi Hendrix, Spanish Castle Magic
Hang on if you want to go
You know it’s really groovy place
And it’s just a little bit of a Spanish Castle Magic
“Together, we can unlock a massively bigger creator economy”: con questa frase Mark Zuckerberg ha recentemente annunciato il pivot nella strategia di Facebook, dando il via ufficiale alla corsa al Metaverse già annunciata da mesi e di cui abbiamo trattato anche in questo scritto dello scorso maggio. Questa nota di attualità apre la porta a diversi ragionamenti legati proprio agli sviluppi della Creator Economy, un mercato da più di 100 BN USD (dati Forbes), vero oggetto delle analisi che proponiamo oggi.
Chiunque sia iscritto a Facebook, Twitter, Instagram o Youtube (solo per citare alcuni tra i social network più conosciuti) può dire di aver preso parte, anche involontariamente, alla Creator Economy: un’espressione tramite la quale l’utente diventa un creatore di contenuti distribuibili tramite canali digitali (per gli addetti ai lavori UGC – User Generated Content).
Piattaforme come quelle sovra menzionate hanno completamente stravolto le modalità di utilizzo della rete di cui, fino a quel momento, gli utenti si servivano principalmente per usufruire di contenuti presenti sui siti web (Web 1.0, o “information economy”), aprendo la strada al cosidetto Web 2.0 e alla “platform economy”.
Nei paragrafi successivi proveremo a descrivere come il mondo della blockchain e degli asset digitali (Web 3.0) stia cercando di creare un’alternativa più equa e migliore di quella esistente, facendo leva sulle proprie caratteristiche di decentralizzazione e disintermediazione ed aggiungendo all’equazione la possibilità di scambiare valore economico in maniera diretta tramite tokens ed NFTs.
Ma prima facciamo un passo indietro…
“Senator, we run ads”
Con queste parole, qualche anno fa, un sorridente Mark Zuckerberg ha provato a spiegare ai non più giovanissimi senatori americani il motivo per cui Facebook potesse vantarsi di essere gratuito e allo stesso tempo registrare profitti da miliardi di dollari ad ogni trimestrale.
La spiegazione è figlia del modello di business tipico delle piattaforme social, che basano i propri ricavi sull’advertising. Ogni singola azione sviluppata dagli utenti al loro interno genera dati che vengono raccolti, organizzati e messi a disposizione dei reparti marketing delle aziende. Più utenti che trascorrono più tempo navigando all’interno delle piattaforme sono sinonimo di più dati di cui poter disporre.
Gli 84 BN USD di ricavi annuali da pubblicità di Facebook sono dunque possibili grazie al lavoro non pagato di quasi 3 miliardi di utenti (o creator) che generano ogni giorno contenuti dai quali altri utenti sono attratti e con i quali interagiscono, lasciando dati ed alimentando il network effect descritti qui sotto.
NETWORK EFFECT
Le piattaforme sono luoghi di incontro tra utenti all’interno dei quali avviene uno scambio continuo di informazioni e, quindi, di dati. Il valore di un network assume tanto più valore quanto più numerosi sono i partecipanti al network stesso, con una progressione descritta dalla legge di Metcalfe. Effetti di questo tipo sono raggruppati in due gruppi:
– Diretti, che si creano tra gruppi di utenti della stessa natura (come utenti di una piattaforma di messaggistica, in cui più cresce il numero di utenti che la adottano e più quest’ultima assume valore);
– Indiretti, che riguardano gruppi di utenti di diverso tipo. È il caso ad esempio dei marketplace, in cui devono confluire allo stesso tempo compratori e venditori, motivo per cui sono più complessi da raggiungere.
Prendendo in prestito un termine tipico dei marketplace digitali, il take-rate di queste aziende, ovvero la percentuale di ricavi che riescono a trattenere per i servizi offerti (ovvero la piattaforma di distribuzione di contenuti), è del 100%. Alcune piattaforme, tuttavia, prevedono qualche forma di pagamento per i creator anche se, per ottenere risultati tangibili, sono richiesti numeri importanti: d’altronde servono grossi volumi di utenti per fare gola agli inserzionisti. Qualche dato per esemplificare la dinamica appena descritta:
– Servono circa 1M di visualizzazioni su Youtube per guadagnare 2.000 USD;
– Spotify generalmente paga 0.003 / 0.004 USD per stream e solo lo 0.2% dei circa 7 milioni di artisti sulla piattaforma guadagna 50.000 USD in royalties all’anno (secondo dati tratti da The Economist);
– Apple Music, il principale competitor di Spotify, secondo quanto riportato dalla rivista specializzata Rolling Stones, paga 0.01 USD per ogni stream.
In generale, per raggiungere 1.000 USD al mese servono volumi importanti in tutte le piattaforme social (grafico tratto da https://newcreatormanifesto.com/):
Una possibile soluzione per aiutare i creator a vivere grazie al proprio talento creativo (uno slogan che ricorre spesso anche nei comunicati stampa delle aziende appena descritte) è stata fornita da piattaforme come Substack, Patreon, Buy Me A Coffee o Twitch, il cui modello di business non è incentrato su ricavi legati alla pubblicità ma si basa sul modello subscription: ci si può “abbonare” ai creators e ai loro contenuti e la piattaforma trattiene una percentuale (e non il 100%) dei ricavi da sottoscrizione a copertura dei costi per l’infrastruttura messa a disposizione.
Il grafico sotto (sempre tratto da https://newcreatormanifesto.com/) aiuta a capire meglio come cambia la dinamica in termini di volumi necessari sempre per raggiungere 1.000 USD su base mensile.
Escono dal gioco gli inserzionisti e il rapporto creator-community si consolida, pur non essendo ancora diretto e disintermediato al 100% ma governato e reso possibile da un ente centralizzato.
Web 3.0 e Token Economy
Perchè il Web 3.0 è così importante e può rappresentare un cambiamento di paradigma con effetti di larga scala su, virtualmente, qualsiasi settore? Innanzitutto, soffermiamoci brevemente sugli effetti collaterali dovuti all’uso di piattaforme centralizzate.
Queste ultime seguono un ciclo di vita prevedibile: all’inizio del ciclo, fanno tutto il possibile per reclutare utenti e terze parti come creatori, sviluppatori e aziende, con l’obiettivo di crescere e rafforzare il network effect.
Man mano che le piattaforme crescono lungo la S-curve di adozione, il loro potere su utenti e terze parti cresce costantemente. Quando raggiungono la parte superiore della S-curve, le loro relazioni con i partecipanti alla rete cambiano da somma positiva a somma zero: per continuare a crescere è necessario estrarre dati dagli utenti e competere con gli (ex) partner.
Nel Web 3.0, invece, la proprietà ed il controllo sono decentralizzati. Utenti e creator possono possedere “pezzi” di servizi Internet tramite token, sia fungibili che non fungibili (gli NFTs di cui abbiamo già parlato qui).
Non solo, ma questi ultimi “allineano” gli incentivi dei partecipanti al network: gli utenti diventano dei veri e propri “ambasciatori” dei progetti ai quali partecipano e gli effetti di rete e la maggior partecipazione determinano l’apprezzamento del token. Questo risolve il problema principale delle reti centralizzate, in cui il valore viene accumulato da poche aziende monopoliste che finiscono poi per “combattere” i propri utenti e partner.
Nel caso specifico della Creator Economy, questo meccanismo permette anche agli artisti / creators di avere accesso diretto alla propria community di fan senza necessariamente “prenderlo in prestito” dalle piattaforme ed essere forzatamente legati alla reputation e al capitale sociale(followers, fans…)accumulati al loro interno.
Negli esempi proposti di seguito proviamo ad espandere ed approfondire questa dinamica, con un focus sui settori della musica e dello sport.
“Fixing the broken record”
Tra i settori che la blockchain ha la possibilità di rivoluzionare vi è certamente quello della musica. Perchè? Pensiamo basti citare il seguente dato: da un rapporto di Citigroup del 2018 si evince che gli artisti ricevono solo il 12% di tutti i ricavi diretti generati dall’industria musicale (43BN USD nel 2017). Altre fonti più recenti stimano che, ad oggi, questa percentuale si aggiri attorno al 20%, valore comunque basso. Pur trattenendo solo “una commissione”, social media, piattaforme di streaming, agenzie pubblicitarie e di comunicazione nonchè tutte le società collegate agli eventi live depauperano l’artista che, per monetizzare il proprio talento e per compensare i mancati guadagni, è costretto a tour infiniti o alla vendita di accessi VIP “Meet and Greet” che, per ovvie ragioni, sono limitati.
Nel 2020 il COVID ha anche azzerato questa possibilità e, per alcuni artisti, la blockchain ha rappresentato una via di fuga: l’esempio più eloquente delle potenzialità che questa tecnologia può offrire è rappresentato dal caso di RAC, all’anagrafe André Allen Anjos, DJ e produttore di musica dance ed elettronica vincitore di un Grammy, con 3.4M di ascoltatori mensili su Spotify.
RAC ha emesso il proprio community token, $RAC, che non può essere acquistato ma soltanto “guadagnato”: è stato distribuito retroattivamente a tutti i fan che avessero supportato l’artista in passato o acquistato merchandising ufficiale ed oggi viene assegnato a chi supporta l’artista su Patreon: il token garantisce accesso esclusivo a contenuti nonchè chatroom private e sconti.
Non solo: a maggio 2020, Anjos ha pubblicato il suo nuovo album “BOY” ed ha deciso di farlo in maniera “diretta”, provando ad applicare il concetto di scarsità al mondo della musica tramite gli NFT. L’album è stato pubblicato rendendo disponibili in edizione limitata 100 cassette (“Tapes”) sottoforma di tokens sul marketplace di NFTs Zora. Ogni token, che aveva un prezzo iniziale di 28 USD ed è arrivato a toccare i 13.000 USD in pochi mesi, rappresentava una copia della cassetta ed il proprietario poteva riscattarla per l’oggetto fisico in qualsiasi momento. Inoltre, dalla vendita degli NFT legati al suo ultimo album “YOU”, del 2021, André ha incassato circa 700k USD, più di quanto ricavato dalla vendita dei suoi album nei dieci anni precedenti, secondo quanto riportato da Bloomberg.
Un altro artista che sta perseguendo la stessa strada di RAC è Justin Blau (3Lau), DJ e produttore house-electro con 2.5M di ascoltatori mensili su Spotify, che a Febbraio del 2021 ha venduto per 11.7M USD un album sottoforma di 33 NFTs: acquistandoli, gli acquirenti potevano ottenere dischi in vinile in edizione limitata, musica inedita ed accesso ad esperienze speciali, come la possibilità di “commissionare” all’artista una canzone personalizzata con la direzione creativa del compratore.
Inoltre, ad agosto 3Lau ha anche fondato una piattaforma (“Royal”) che si propone di democratizzare l’accesso all’ownership musicale permettendo agli utenti di investire nei diritti d’autore dei propri artisti preferiti e di ricevere royalties insieme al cantante tramite smart contracts ed NFTs.
Tra i seed investors della società vi sono Peter Thiel, tech venture capitalist seriale, ed il noto fondo d’investimento sugli asset digitali Paradigm.
Fan Tokens
Anche il mondo dello sport non è esente da questa dinamica che permette di creare un rapporto diretto con la propria community di fan. In questo caso il driver principale non è tanto legato alla disintermediazione dei middle men, ma alla possibilità di ottenere maggior coinvolgimento e partecipazione dei tifosi creando, allo stesso tempo, fonte di ricavi addizionali per i club: l’esempio più importante è rappresentato da Socios.com, società che si occupa di valorizzare i rapporti fra le società sportive ed i propri tifosi attraverso l’utilizzo di fan token, ridisegnando completamente il concetto di programma fedeltà per come siamo abituati a conoscerlo.
Socios, che ad oggi annovera partnership con le principali squadre di calcio in Europa ma che sta espandendo i propri servizi anche verso altri sport, ha deciso di puntare in maniera importante sulla Serie A: la società si è infatti assicurata la medaglia di bronzo tra le sponsorizzazioni più care della Lega per il 2021 mettendo sul piatto 20M EUR per sostituire lo storico simbolo della Pirelli sulla maglia dell’Inter, seconda solo a Jeep (Juventus) e Mediacom (Fiorentina).
Anche i club stessi sembrano prendere sul serio questo nuovo modo di interagire con i propri fan: è infatti notizia di quest’estate che una parte non specificata del “welcome package” che il PSG ha riservato al neo acquisto Leo Messi è stata erogata sottoforma di token $PSG.
Ma come funziona Socios? Tramite la moneta digitale nativa dell’app, Chiliz ($CHZ), gli utenti possono partecipare alle Fan Token Offering (FTO), tramite le quali vengono emessi i governance token della propria squadra (ed i ricavi derivanti dalla vendita vengono suddivisi a metà tra Socios ed il Club): l’ownership di questi token permette all’utente di partecipare attivamente a decisioni che riguardano la squadra stessa, come la scelta della colonna sonora dopo un gol segnato in casa o la formazione da mettere in campo in occasione di un’amichevole: per quanto siano scelte a relativamente basso impatto, è un modo innovativo per avvicinare fan e team, rendendo i primi ancor più protagonisti e riconoscendo il valore del loro engagement con il brand.
Più si interagisce e più si guadagnano token, più token si possiedono e più aumentano le possibilità di sbloccare benefici unici anche di natura non monetaria. Pensiamo ad esempio al valore percepito di una cena con il proprio giocatore preferito riservata ai tifosi che detengono più token, o al VIP access che garantisce una visita negli spogliatoi prima di un match: incalcolabile. Citando le parole di Alexandre Dreyfus, fondatore di Socios.com, “la cosa più di valore per un fan è riconoscergli il fatto di essere un fan”, e fare leva sul senso di appartenenza a una community è un driver di valore fortissimo.
“Your margin is my opportunity”
Possiamo affermare che l’innovazione apportata da tokens ed NFTs ha la possibilità di cambiare interi modelli di business e modificare in maniera permanente il rapporto creator/fans in tutti i settori. Sport e arte in generale sono certamente due esempi importanti ma il discorso potrebbe allargarsi a, potenzialmente, tutti i brand che hanno una community affezionata di utenti. L’altro elemento di rottura con lo status quo è legato al fatto che il token permette ai membri della community di partecipare direttamente ai ritorni economici derivanti dalla crescita del network, fino ad ora riservati solo agli azionisti.
Parafrasando la famosa frase di Jeff Bezos “Your margin is my opportunity”, possiamo affermare che l’elevato take-rate delle piattaforme che hanno caratterizzato l’epoca del Web 2.0 possa aprire ad immense opportunità di crescita per il Web 3.0 ed i suoi partecipanti.
Chiudiamo con una serie di tweet sulle prospettive future del Web 3.0 di Chris Dixon, General Partner di Andreessen Horowitz (a16z) che si focalizza sugli investimenti nel mondo degli asset digitali.