Tomorrow people, where is your past?
Tomorrow people, how long will you last?
Tomorrow people, where is your past? (Where is your past?)
Tomorrow people, how long will you last?Tomorrow people, Ziggy Marley
“Conscious Party” album, 1988
Nei precedenti scritti come “Only game in town” e “Money” abbiamo cercato di spiegare i meccanismi per cui, nonostante il ciclo di rialzo dei tassi di interesse più importante dagli anni ’70 e la riduzione del bilancio della banca centrale americana (i.e. Quantitative Tightening), le condizioni finanziarie e i livelli di liquidità non si siano deteriorati a tal punto da creare grandi scossoni al sistema finanziario americano e globale.
A fare da contraltare alle mosse restrittive della Federal Reserve ci ha pensato infatti il governo americano, utilizzando gli elementi del bilancio della banca centrale responsabili della creazione di liquidità e indebitandosi a livelli mai visti durante periodi non recessivi: il deficit federale nel 2022 (quando la Federal Reserve ha iniziato ad alzare i tassi di interesse) si attestava a 1.4 trilioni di dollari mentre l’anno successivo a 1.7 trilioni. Questi numeri sono rispettivamente il 40% e il 70% in più rispetto al deficit del 2019, anno che ha preceduto la pandemia globale (quando il Congresso ha approvato spese di emergenza per circa 6 trilioni di dollari) e sugli stessi livelli dell’indebitamento in risposta alla Grande Crisi Finanziaria del 2008 quando il deficit ha toccato 1.42 trilioni di dollari nel 2009.
Gli addetti ai lavori hanno rispolverato il termine “Fiscal Dominance” per descrivere quello che sta accadendo oggigiorno: una situazione in cui le decisioni di politica fiscale di un governo, in particolare per quanto riguarda i livelli di spesa e di debito, influenzano o limitano in modo significativo la capacità della banca centrale di condurre una politica monetaria indipendente volta a controllare l’inflazione.
Storicamente, il dominio fiscale cresce quando un governo accumula dei livelli di debito molto alti e con deficit in aumento. Questo crea delle pressioni sulla banca centrale di monetizzare il debito o stampare altre “banconote” per finanziarie il deficit, con il rischio di far piombare l’economia in stagnazione alzando i tassi (i.e. stagflazione).
Riportiamo a seguire alcuni commenti di analisti che ci aiutano a definire questo particolare fenomeno:
- Come sottolinea James Dorn di Cato Institute (importante think tank US di stampo liberale): “le autorità fiscali normalmente dominano le banche centrali in tempo di guerra. Questo è stato certamente il caso durante le due guerre mondiali. La Federal Reserve ha mantenuto bassi i rendimenti dei titoli di Stato monetizzando un’ampia quota del debito statunitense“. Dorn evidenzia inoltre gli anni ’60 e i primi anni ’70, periodi in cui “la Fed si impegnò in politiche monetarie espansive per finanziare i deficit fiscali, che portarono all’inflazione“.
- Greg Ip, Chief Economics Commentator del Wall Street Journal, considera l’Argentina un caso da manuale di Fiscal Dominance. Per finanziare i deficit fiscali, il tesoro argentino emette obbligazioni che vengono acquistate dalla banca centrale. Questa monetizzazione del debito ha portato a un’inflazione devastante, raggiungendo un tasso a 12 mesi del 276% a febbraio scorso.
- Eric Leeper (professore di Economia alla University of Virginia) nel suo paper dal titolo “Fiscal Dominance: How Worried Should We Be?” identifica altri due esempi di fiscal dominance: dopo la prima guerra mondiale, la Germania si rese conto che non poteva ripagare i suoi debiti solo con le tasse convenzionali, così stampò rapidamente denaro per finanziare nuove spese. Allo stesso modo, negli ultimi anni il presidente turco Erdoğan ha eroso l’indipendenza della banca centrale, ha spinto per abbassare i tassi di interesse e ha ampliato la spesa pubblica. Come ha affermato Leeper, “Erdoğan ha effettivamente convertito una banca centrale indipendente in un bancomat fiscale“.
Nello scritto di oggi cerchiamo di mettere in luce le cause principali che manterranno il deficit americano strutturalmente più elevato che nelle ultime decadi e spiegheremo perché le probabilità di ridurlo significativamente in tempi brevi siano molto basse. Le considerazioni proposte riprendono la pubblicazione di settembre della newsletter di Lyn Alden “Why Nothing Stops This Fiscal Train”[1].
Contesto attuale – Perché i livelli di deficit sono così alti?
Lo scorso giugno, l’Ufficio di Bilancio del Congresso (o Congressional Budget Office – CBO) ha rivisto al rialzo le previsioni di deficit del governo degli Stati Uniti per l’anno fiscale 2024 da 1.5 trilioni di dollari a 1.9 trilioni di dollari, pari al 6.7% del PIL. Si tratterebbe del deficit più alto dal 2021, quando quest’ultimo ha raggiunto i 2.8 trilioni di dollari in risposta ai lockdown dovuti alla pandemia.
Secondo le stime dell’Istituto, entro il 2034, il deficit dovrebbe raggiungere i 2.9 trilioni di dollari o il 6.9% del PIL, per un totale di ben 22.1 trilioni di dollari nel periodo 2025-2034. La proiezione del CBO vede gli interessi che il governo pagherà sul debito rappresentare oltre il 50% del deficit di bilancio nel prossimo decennio: tutto ciò ipotizzando assenza di recessioni e tassi di interesse inferiori rispetto al livello attuale.
Lyn Alden identifica sei fattori per cui è ragionevole attendersi un deficit strutturalmente più elevato in futuro:
1. Impatto dell’invecchiamento della popolazione sui programmi federali come il Social Security program (quest’ultimo rappresenta circa il 21% della spesa federale):
Man mano che la nazione invecchia ci sono meno lavoratori che sostengono ogni pensionato. Mentre il fondo di previdenza sociale è stato sostenuto per decenni da una crescita demografica modesta negli Stati Uniti, questa forza si sta man mano affievolendo.
Mentre la maggior parte dei benefici della Previdenza Sociale sono finanziati dalle tasse sui salari raccolte dai lavoratori di oggi, il programma ha anche accumulato, come mostra il grafico, 2.8 trilioni di dollari in riserve dato che le entrate del programma superavano i suoi costi. L’eccedenza è stata investita interamente in titoli del Tesoro che fruttavano interessi. Nei prossimi undici anni, tali riserve, secondo i Trustee che le detengono, verranno completamente prosciugate.
2. Spesa sanitaria inefficiente:
Secondo una ricerca del Commonwealth Fund, fondazione privata americana il cui scopo dichiarato è quello di “promuovere una maggiore efficienza e qualità del sistema sanitario”, gli Stati Uniti spendono quasi il 18% del PIL per l’assistenza sanitaria: eppure gli americani muoiono più giovani e sono meno sani dei residenti di altri paesi ad alto reddito.
3. Finanziamento delle guerre post 9/11:
Il Watson Institute for International & Public Affairs[2] ha calcolato una stima del costo di tutte le operazioni di guerra intraprese dagli Stati Uniti dal 11 settembre 2001 in poi: 8 trilioni di dollari (circa 4 volte il PIL italiano) di cui, come mostrato nella tabella a fianco, circa 2 trilioni saranno impiegati da qui al 2050 per finanziare i sussidi ai veterani di guerra.
4. Incremento degli oneri sul debito:
Negli ultimi quattro decenni, gli Stati Uniti hanno avuto un rapporto debito/PIL in aumento (linea blu), ma tassi di interesse in calo (linea rossa). Ciò ha mantenuto la spesa per interessi gestibile in termini assoluti e soprattutto in percentuale del PIL. Tuttavia, a causa della stretta monetaria attuata dalla Federal Reserve negli ultimi due anni, il tasso di interesse sul debito a cui il governo deve far fronte è salito dal 1.3% al 3.4%, il livello più alto dal 2008. Di conseguenza, ad oggi, il Tesoro americano paga la cifra record di 3 miliardi al giorno di interessi passivi sul debito. Questo importo è il triplo rispetto a dieci anni fa ed è raddoppiato in soli due anni e mezzo. In base ai dati della tesoreria di Stato, l’esborso accumulato sugli interessi alla fine del secondo trimestre di quest’anno è di 1.12 trilioni di dollari (vs. 848 miliardi un anno fa), circa il 4% del PIL.
Secondo Lyn Alden, un paese con un debito ben superiore al 100% del PIL ha due possibilità in questo scenario:
- La prima è quella di mantenere i tassi di interesse molto bassi indipendentemente dall’andamento dell’inflazione e svalutare tutti i detentori di valuta e di debito (i.e. Debasement).
- La seconda è cercare di aumentare significativamente i tassi di interesse quando necessario e contribuire così a una spirale fiscale di spesa per interessi sempre più elevata portando la Banca Centrale a monetizzare il debito (i.e. Fiscal Dominance)
In entrambi i casi, lo scenario base è che, viste le politiche fiscali e monetarie accomodanti, l’inflazione possa di fatto scappare di mano innescando il processo di “sud-americanizzazione” di cui abbiamo già parlato nella sideview “Don’t cry for me Argentina”.
5. Divisione politica tranne che sul taglio delle spese:
Il partito repubblicano, che un tempo spingeva per i tagli alla previdenza sociale, ora ha incorporato, tra i punti del programma per le elezioni del 2024 (punto 14), la protezione di programmi come il Social Security e il Medicare. D’altro canto, il partito democratico, storicamente a favore di tagli alla spesa militare, nel loro programma elettorale 2024, ha discusso in dettaglio della crescente concorrenza della Cina su tutti i fronti, anche militare.
E mentre nessuno dei due partiti sembra intenzionato a voler diminuire la spesa per la difesa, Mark Cancian – che ha lavorato nell’ Office of Management and Budget della Casa Bianca durante l’amministrazione Obama – stima che quest’ultima dovrebbe aumentare di circa 25 miliardi di dollari all’anno solamente per tenere il passo con l’inflazione. Ciò significa che gli Stati Uniti sono sulla buona strada per raggiungere un budget per la difesa di 1 trilione di dollari entro i prossimi anni, indipendentemente dalla spesa supplementare.
La questione diventa ancora più complessa se si valuta che gli investimenti fatti nel settore (che rappresentano il 14% della spesa governativa) sono difficilmente rintracciabili e quindi valutabili dal punto di vista della profittabilità. Il Dipartimento della Difesa ha difficoltà a rintracciare i suoi 3.8 trilioni di dollari di asset e ha fallito il suo sesto audit consecutivo l’anno scorso.
6. Finanziarizzazione delle entrate fiscali
Le entrate fiscali degli Stati Uniti (linea blu del primo grafico) sono più correlate ai prezzi degli asset finanziari (linea rossa) rispetto alla maggior parte delle altre economie sviluppate dove la correlazione è più evidente con altre variabili macroeconomiche come l’occupazione. Negli Stati Uniti, il mercato azionario ha raggiunto il picco nel 2021, ha toccato il minimo nel 2022 e poi è salito di nuovo nel 2023, il tutto mentre il tasso di disoccupazione è rimasto ai minimi storici. Le entrate fiscali, come mostrato nel grafico a sinistra, con un certo ritardo, hanno sperimentato lo stesso andamento dell’azionario. Tale dinamica non sorprende, dato che gli americani sono molto più esposti all’andamento del mercato azionario rispetto ad investitori di altri paesi e attualmente tale esposizione si assesta sui massimi storici (grafico più in basso).
Ecco che, un mercato azionario laterale o in ribasso, potrebbe rappresentare un problema per le tasche del governo americano che si ritroverebbe con livelli di spesa crescenti ma con entrate derivanti dal gettito fiscale in diminuzione, di fatto allargando ancora di più il deficit già elevato.
Conclusione
Valutato che sembra molto complicato che si possa scendere dagli attuali livelli di indebitamento, sorge spontanea una domanda: “questo stock di indebitamento è davvero sostenibile sul lungo periodo?”.
La stessa Federal Reserve di St.Louis in un paper del quarto trimestre del 2023[3] ammette che il protrarsi del disavanzo fiscale, se non controllato, porterà a un problema di Fiscal Dominance. Il Bureau of Fiscal Service prospetta uno scenario ben peggiore nel Financial Report datato 16 Febbraio 2023 dove si afferma che: “in base alla politica attuale e sulla base delle ipotesi fatte in precedenza, [il debito pubblico in rapporto al PIL] dovrebbe raggiungere il 566% entro il 2097. Il previsto continuo aumento del rapporto debito/PIL indica che l’attuale politica è insostenibile”.
In uno scenario in cui l’ammontare di debito è elevato e i tassi di interesse sopra lo zero, il governo ha necessità di finanziare i suoi deficit utilizzando metodi che non richiedono il pagamento di interessi. Questo perché, quando il mercato obbligazionario inizia a credere che il debito pubblico sia insostenibile, le aste di obbligazioni del governo “falliscono” nel senso che il tasso di interesse richiesto dal mercato sulla nuova offerta di obbligazioni è così alto che il governo ritira l’offerta e si rivolge alla stampa di denaro (i.e. money printing) come alternativa, facendo così salire l’inflazione.
Secondo la casa di ricerca Hedgeye[4], deficit fiscali elevati richiedono al Tesoro di trovare acquirenti per il debito. Il debito federale americano detenuto da investitori stranieri e internazionali è in costante declino dal suo picco del 33% nel 2007 e ora si attesta al 22%. Se questa tendenza continuerà, eserciterà una maggiore pressione sulla Fed affinché monetizzi l’emissione di titoli del Tesoro, una tendenza che è aumentata sia in frequenza che in entità negli ultimi due decenni (tramite il Quantitative Easing per esempio) insieme all’aumento vertiginoso del debito/PIL. La stampa di denaro per finanziare la spesa del governo è intrinsecamente inflazionistica. Sebbene la relazione a lungo termine tra la creazione di moneta e credito e l’inflazione sia volatile sia nei suoi ritardi che nella proporzionalità, gli effetti della massiccia spesa in deficit e della creazione di moneta associata alla pandemia sono stati ben correlati in proporzione, e proprio in linea con il ritardo teorico previsto (circa 12 mesi) con l’inizio dell’inflazione. Gli asset reali, a differenza di quelli nominali, hanno una buona esperienza a lungo termine nell’evitare le devastazioni della svalutazione monetaria, basta guardare alla relazione su un lungo orizzonte temporale tra l’offerta di moneta e i prezzi dell’oro, delle azioni e delle abitazioni.
E se non bastasse l’ammissione dei principali enti governativi americani circa l’insostenibilità della traiettoria del debito americano, l’oro, considerato la riserva di valore per eccellenza contro il rischio di svalutazione monetaria, risulta la miglior asset class per performance quest’anno a fine agosto battendo perfino i principali listini azionari globali, reagendo positivamente (e cinicamente) alle notizie riguardanti il deterioramento dello stato di salute del debito americano. Durante la giornata del 12 settembre scorso, il Tesoro degli Stati Uniti ha riportato un deficit di bilancio di 380 miliardi di dollari per il solo mese di agosto, superiore alle attese di 285 miliardi e circa quattro volte al di sopra degli 89 miliardi registrati nell’agosto 2023. Durante la stessa sessione in cui il Tesoro ha pubblicato questo dato, l’oro si è apprezzato del +2% chiudendo la seduta ad un nuovo massimo storico di 2’558 dollari all’oncia.
Gli investitori europei, BOT people in testa al reggimento, sono davanti ad una nuova ed avvincente sfida: restare ancorati alle proprie credenze allocando i propri risparmi a titoli di debito come da tradizione o accettare che “non puo’ essere mai come ieri?” (Cit: Carmen Consoli e Mario Venuti, Polydor, 1998). Come sempre solo il futuro conosce la risposta, ma il passaggio da BOT people a Spritz people, può essere molto più rapido di ciò che si possa immaginare…
La chiusa la lasciamo a Warren Buffett, idolatrato oracolo d’oltreoceano, che in 120 secondi spiega tutto quello che serve.
Approfondimento a cura di Alex Pezzoli e Nicola Lampis
Lugano, 29 settembre 2024
[1] https://www.lynalden.com/september-2024-newsletter/
[2] https://watson.brown.edu/costsofwar/figures/2021/BudgetaryCosts
[3] https://files.stlouisfed.org/files/htdocs/publications/review/2023/10/02/fiscal-dominance-and-the-return-of-zero-interest-bank-reserve-requirements.pdf
[4] https://app.hedgeye.com/